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www.ildialogo.org PER CAMMINARE SULLA VIA DELLA PACE, DOPO “UN NUOVO INIZIO” RICORDANDO DANILO DOLCI IN CALABRIA TERRA DI UTOPIA E PROFEZIA,di Raffaello Saffioti

Editoriale
PER CAMMINARE SULLA VIA DELLA PACE, DOPO “UN NUOVO INIZIO” RICORDANDO DANILO DOLCI IN CALABRIA TERRA DI UTOPIA E PROFEZIA

di Raffaello Saffioti

L’editoriale de “il dialogo” di Giovanni Sarubbi e Rocco Altieri, “Un nuovo inizio” del 18 gennaio 2021, con l’aggiunta del Centro Gandhi, “Una convergenza feconda e necessaria”, del 19 gennaio 2021: da dove nasce?
Precedenti dell’editoriale possono essere considerati due altri editoriali:
- quello di Rocco Altieri, del 13 gennaio 2021, col titolo: “L’importanza del ‘Dialogo’ di Giovanni Sarubbi per la crescita della cultura della nonviolenza”;
- il mio del 6 gennaio 2021, col titolo: “Camminare sulla via della pace nel tempo della pandemia”.
In questo articolo avevo citato il Messaggio di Papa Francesco per la LIV Giornata Mondiale della Pace, col titolo “La cultura della cura come percorso di pace”.
Rocco Altieri, nell’incipit del suo editoriale aveva scritto:
“L’appuntamento per l’assemblea del prossimo sabato, il 16 gennaio 2021, si avvicina e ci chiede di raccontare le tappe del percorso di avvicinamento tra il Centro Gandhi e ‘Il Dialogo’, che non è estemporaneo ma si è sviluppato in un lasso di tempo di almeno nove anni, grazie alla feconda collaborazione di tre amici: Raffaello Saffioti, Giulia Guzzo e Giovanni Sarubbi.
Se dobbiamo indicare una data e un luogo di inizio di questa convergenza dobbiamo andare all’anno scolastico 2012/13 dove a San Giovanni in Fiore (Cosenza) ritornò Raffaello Saffioti, che negli anni settanta vi era stato docente di scienze umane nel locale istituto magistrale, incontrando Giulia Guzzo, una sua ex allieva molto determinata e volitiva, diventata nel frattempo docente nella locale scuola primaria, e Maria Smeriglio, una dinamica e sensibile docente di religione, per dare vita nel nome del genius loci, l’Abate Gioacchino di spirito profetico dotato, e di Danilo Dolci, educatore maieutico, a una serie di attività educative ispirate al ripudio della guerra: ‘Se vuoi la pace educa alla pace’. Nacque così l’‘Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo’”.
***
Ricordare Danilo Dolci in Calabria
E’ alla fine del 1986 che Dolci inizia la sua attività in terra di Calabria, partendo da Palmi (leggere: Maria Rosa Caruso, “Danilo Dolci in Calabria”, in Frammenti della «città» futura, a cura di Antonio Mangano, Lacaita, 1990).
Ma Dolci aveva incontrato la Calabria prima del 1986, forse senza saperlo, attraverso uno dei figli illustri di questa terra: nel 1958 aveva incontrato, a Viareggio, lo scrittore di Palmi Leonida Répaci, fondatore del Premio Viareggio, per il premio all’opera Inchiesta a Palermo, e nel 1979 per il premio internazionale a Creatura di creature. Pure a Viareggio, in occasione del premio, aveva incontrato Antonio Altomonte, altro scrittore calabrese, anche questo di Palmi, che scrisse di lui sulla terza pagina del quotidiano “Il Tempo”.
In Palpitare di nessi (Armando, 1985) Dolci riferisce di un suo Seminario “alla nuova Università di Cosenza”, invitato da Paolo Sylos Labini (pp. 140-141).
L’incontro di Dolci con la Calabria è stato un incontro felice, dovuto ad affinità elettiva, e sicuramente l’attività svolta in terra di Calabria e l’humus culturale di questa regione hanno favorito la produzione bibliografica dell’“ultimo” Dolci.
Dolci nell’ultimo decennio della sua vita ha soggiornato per lunghi e frequenti periodi in Calabria, spostandovi il baricentro della sua attività, intervallata da viaggi in varie parti del mondo. Della tradizione culturale calabrese fu un interprete geniale e maieuta.
C’è da lamentarsi che i suoi studiosi non abbiano colto la novità di questo periodo.
Dolci a San Giovanni in Fiore
Sono molti i miei articoli pubblicati da “il dialogo” dal 2013 in poi.
Il libro dell’Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo, col titolo La montagna, la luce e il fiore, da me curato, con Prefazione di Giovanni Sarubbi (Pubblisfera edizioni, San Giovanni in Fiore, 2015), documenta le esperienze di nonviolenza nella terra di Gioacchino da Fiore.
Da leggere, tra gli altri:
  • “Nella città di Gioacchino da Fiore rivive lo spirito profetico della Calabria”, su “il dialogo” del 31 maggio 2013 (link).
  • “Il ripudio della guerra da una scuola alla città”, su “il dialogo” del 6 agosto 2013, per la “Giornata della pace”, nel 68° anniversario dell’esplosione atomica su Nagasaki (link).

 
  • “La montagna la luce il fiore. Dal Monte Tabor alla Sila al Subasio il messaggio di Gioacchino da Fiore”, su “il dialogo”, del 31 gennaio 2014 (link).
***
Dolci su Gioacchino da Fiore
In Sorgente e progetto. Per una ricerca autoanalitica dall’intima Calabria all’industria del Nord, a cura di Danilo Dolci (Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 1991) leggiamo:
“Nell’era atomica non è la pace, nonviolenta espressione dei conflitti, quel nuovo vitale bisogno che può promuovere, attraverso la realizzazione di nuovi rapporti – anche produttivi – la sana trasformazione del mondo?” (p. 6)
E su Gioacchino da Fiore:
“E’ utile il profeta, la scoperta del dire meditante che ricerca e interpreta presagi? E’ come domandarsi se il vedere – nelle ampie prospettive dei diversi spazi e tempi – giova.
… Si può discutere un interpretare ma fra le ginestre di Corazzo e i boschi di San Giovanni in Fiore otto secoli fa è germinata una nuova ermeneutica del mondo, che rischiamo ignorare, dissipare. L’economia – ci avvisa – è la scienza-arte della salute: di ciascuno, insieme”. (p. 76)
“Dell’oscura Calabria Gioacchino e Francesco sono soltanto due dei profeti, seppure eccezionali di splendore.
Se il veggente esprime il desiderio di strutture pacifiche del mondo, nel secolo in cui Gandhi solidifica gli strumenti di lotta e innovazione pacifica, dalla Calabria ancora rigermogliano esperienze concrete a illuminarci”. (p. 79)
“Se i futurologi – sempre esistiti nei più diversi modi – studiano tendenze, chi attento al vicino e al più lontano con gli occhi dell’ascesi comunitaria osserva pur studiando alternative necessarie, è un costruttore etico, un poeta dell’etica profonda. Tra quelle di Agostino e Bonaventura, non è ancora esaurita l’ermeneutica del calabrese abate Gioacchino: l’annunzio che inventa costruendo il comunicare”. (p. 219)
Dolci e gli ulivi di Calabria
Dolci non fu solo interprete della tradizione culturale della Calabria, ma anche della sua natura.
Fu affascinato dagli ulivi della Piana di Gioia Tauro che furono per lui uno dei motivi ispiratori del poema Occhi ancora rimangono sepolti (Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 1987). Su quegli ulivi incombeva il pericolo della loro distruzione, derivante dal progetto della costruzione di una Centrale a carbone.
L’ulivo e il fiore, anche con le immagini, sono molta parte del poema.
In esso la “voce narrante” forse esprime “la coscienza della terra, intesa come espressione della particolare cultura locale (comprensiva dunque prospetticamente anche di chi qui appare), saggezza profonda di questa terra”.
Dolci e l’idea di “Calabria, parco di pace tra due mari”.
I due volumi di Variazioni sul tema Comunicare, (Edizioni Qualecultura-Jaca Book, Vibo Valentia, 1991) a cura di Danilo Dolci, contengono “contributi e verifiche di gruppo” sulla Bozza di Manifesto..
Furono innumerevoli gli incontri, i seminari, nelle scuole e nei paesi, in cui Dolci sottopose a discussione la sua Bozza di Manifesto.
Proseguiva il cammino sulle orme di Gioacchino da Fiore, a San Giovanni in Fiore, in Calabria e oltre.
Il mio articolo “Gioacchino da Fiore il genius loci della Calabria e il ripudio della guerra”, pubblicato da “il dialogo” il 26 settembre 2013, documentava l’esperienza degli incontri e dei seminari.
All’articolo era allegata l’Appendice col titolo “L’idea di Calabria Parco di pace tra due mari Realismo di un’utopia”.
***
Leonida Répaci e “le palme gigantesche della Calabria”
Leonida Répaci, considerando la storia della Calabria, ha scritto in Calabria grande e amara (Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2002, pp. 77-8, 81):
“Nella civiltà della Calabria … sono molti i secoli in cui la nostra storia, come Sibari sotto il letto del Crati, appare interrata.
Avviene della storia come dell’archeologia. Bisogna fare gli scavi per nutrirla, per colmare i vuoti, per correggere l’usura delle idee invecchiate, delle soluzioni interessate, per trovare, nei momenti e nelle mode delle civiltà umane dissepolte, quel tanto di universale e di perfezionante che rappresenta la giustificazione delle pene durate dagli uomini su questa terra per realizzare il progresso.
Sonno secolare, abbiamo detto, interramento di reliquie che equivale per la Calabria a un’assenza dalla storia.
Ma, da questa assenza, simile a un tappeto di lava, caduto su ogni cosa creata per spegnerla, ecco improvvisamente sorgere, di tanto in tanto, una palma gigantesca, svettante con la sua cima tra le nuvole, ecco rizzarsi una torre che dà la vertigine dell’altezza. Quella palma, quella torre, si chiama ora Cassiodoro e ora San Nilo, ora Gioacchino da Fiore e ora San Francesco di Paola, ora Telesio e ora Campanella. Sono gli uomini universali, gli uomini necessari, gli uomini chiave, nel cui genio, nella cui fede, nella cui opera si riconosce un secolo e, a volte, un’era, sono i vertici della piramide della civiltà; sono i fiori più rari della pianta umana; son coloro che riassumono nel loro messaggio il travaglio oscuro delle generazioni che li precedettero; sono il mare dove tanti fiumi, tanti torrenti, tanti ruscelli, tante sorgenti, versano la loro acqua, e, con l’acqua, i torpori, le febbri, le desolazioni, i rigogli, i profumi, gl’incanti delle terre che attraversano.
… C’è nel pensiero e nell’azione di questo ‘calabrese di Dio’ [di Gioacchino da Fiore] come uno scatto frenato, un bisogno di eludere attraverso la spiritualità dell’indagine storico-escatologica una realtà umana e dolente. Nel respingere il presente per un futuro che già s’intravede, Gioacchino ha il viso rivolto verso l’avvenire, è un rivoluzionario”.
Anche Domenico Antonio Cardone è considerato dal suo amico Répaci tra “le palme gigantesche della Calabria”.
Répaci cantò l’ulivo nel poemetto Calabria

 
L’ulivo che si chiama Calabria”
Debbono a voi, ulivi colonèi,
Telesio Campanella e Gioacchino
se il messaggio affidato all’avvenire
ebbe coscienza di sapersi nato
e strutturato come cattedrale
in terra di giganti,
debbono a voi il bisogno
di scavalcare il tempo con la loro
verità o profezia,
seppero di misurar con metro eterno
il genio la fatica la pazienza
la speranza l’estasi la fede
la vittoria la pena la sconfitta
sulla vostra dolente maestà”.
(da: Leonida Répaci, Poesie, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 1999, pp. 121-122)
C’è un ulivo in cima allo scoglio della Tonnara di Palmi, città natale di Répaci, e l’ulivo nella sua opera letteraria diventa simbolo e metafora dell’intera Calabria.
“Più che alla realtà, la Calabria appartiene per me alla geografia dell’anima”, scriveva in Taccuino segreto.
“Esser nato in Calabria costituisce per me un privilegio … Come artista e come uomo debbo il meglio di me alla culla. Per me Calabria significa categoria morale, prima che espressione geografica”.
(Leonida Répaci, Calabria grande e amara, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2002, p. 29)
***
Ricordare Domenico Antonio Cardone, filosofo della pace e della nonviolenza (Palmi, 1902-1986)
Fu candidato al Premio Nobel per la Pace 1963 con questa motivazione:
Il Cardone, con una serie ininterrotta di scritti ed iniziative, soprattutto rimarchevoli dal 1948 in poi, ha cercato e cerca non solamente di lottare per la pace e l’abolizione del pericolo nucleare, affiancandosi a quanti lottano nello stesso senso, ma per di più: a) ha cercato di giungere alla radice di ciò che alimenta l’incomprensione e il contrasto fratricida tra i popoli; b) ha mostrato come, pur partendo da ideologie e interessi diversi, gli uomini possano giungere a consensi e fraterni accordi su punti determinati di natura etica, tali da eliminare ogni pericolo per tutti; c) ha instaurato una concezione della pace diversa da quella consueta, semplicemente statica e conservatrice, avente nel suo seno, come tale, i germi di sempre nuove guerre, in quanto per la sua concezione la pace assume l’aspetto di clima morale determinante un continuo progresso civile in tutti i settori della vita sociale. Per una simile opera egli ha richiesto anche la solidarietà dei filosofi di tutto il mondo, cercando di realizzare, per primo, tra essi, un’intesa etica, quali che fossero le metafisiche di ciascuno ed altresì quella degli scienziati, cui ha cercato di mostrare la grave responsabilità da essi assunta con le loro scoperte e con il consentire alle applicazioni belliche di esse, oltre che quella degli spiriti religiosi di ogni credenza e degli uomini politici delle tendenze progressiste, anche se tra loro divergenti su alcuni postulati”.
Il Premio fu assegnato non a persone, ma a delle istituzioni di carattere internazionale.
La sua concezione della filosofia, esaminata attraverso una ricognizione storica, è espressa in una delle sue opere più significative, La filosofia nella storia civile del mondo (Roma, Ricerche Filosofiche, 1966).
Il destino del filosofo”
Cardone nella recensione del libro di Arrigo Colombo, Il destino del filosofo, del 1971 (Manduria, Lacaita), nella rivista “La Cultura” (X, 1972, pp. 463-466), scrisse:
“L’opera del filosofo e della comunità filosofica si raccoglie nell’utopia: ciò che non è perché deve essere, non è perché è troppo, trascendente totale intenzione dell’essere d’uomo, la sua propensione ad adempiersi, ad essere totalmente. Quindi compito e dovere, progetto epocale e perciò globale. Per cui, in definitiva, il compito del filosofo sta nella ricerca dell’utopia, nel riconoscere e ricostruire il progetto utopico dell’epoca, in cui l’epoca s’è decisa, su cui si protende. Compito profetico, dunque, in cui l’annunzio e l’esplicazione sono insieme un fare, poiché essi possono avvenire solo nella prassi storico-politica. Nell’utopia la grandezza del filosofo, intravista da sempre; la grandezza ammirata sempre, nell’ironia stessa, invidiata grandezza di un compito, di una funzione semplicemente umana, di una responsabilità.
Con questo libro l’A. si pone nella non nutrita schiera di quei pensatori italiani (Calogero, Capitini, io stesso) che, lungi dal limitarsi al crogiolamento teoretico delle coclearie accademiche, hanno cercato di fare della filosofia un continuo fermento di vita nuova. In particolare io vi ho ritrovato molto delle mie istanze e del mio impegno.
[…] è implicita la riserva circa le difficoltà a che la nuova «ricerca di senso» possa uscire dalla limitata cerchia dei pochi per diventare universalmente «popolare». Il che convalida che, fuori da ogni ottimismo o pessimismo, l’utopia è la nostra vera realtà permanente”.
L’ “ultima lezione” del Filosofo
Il Filosofo, negli ultimi anni della sua vita, trasse dal cassetto gli opuscoli inediti e ruppe quello che chiamò il “silenzio-protesta”, conseguente alla delusione per l’insuccesso della sua proposta di “intesa etica fra i filosofi di tutto il mondo”.
Scrisse nella Prefazione a Due parole nel deserto:
“… tento sino all’ultimo di giovare alla humanitas, pur se gli scritti sembreranno ai più inattuali … nella loro attualità”.
Gli ultimi tre opuscoli, pubblicati nel 1983, 1984 e 1985, possono essere considerati come un “testamento spirituale”.
I titoli degli opuscoli sono:
Due parole nel deserto (Editori del Grifo, Montepulciano, 1983);
Si vis pacem para pacem (Editori del Grifo, Montepulciano, 1984);
La scelta umanistica nell’avventura cosmica (Casa della Cultura “Leonida Répaci”, Palmi, 1985).
Da Si vis pacem para pacem:
“La cultura della pace, di cui oggi tanto si parla al di là del settore politico, nelle scuole, nelle associazioni femminili, nel giornalismo, implica un nuovo senso della storia. […] Dunque è il senso della storia che va radicalmente mutato per la coltivazione (come io tradurrei meglio il termine “cultura”) della pace.
Fino ad oggi la storia dell’uomo presenta un susseguirsi di lotte tra volizioni economicistiche (nel largo senso dell’aggettivo, come volizioni dell’individuale, anche collettivo): lotte di individui, di famiglie, di tribù, di classi, di razze, di religioni, di nazioni, di ideologie, senza che l’umanità si accorgesse – malgrado le indicazioni di grandi Iniziati (come Budda, Gesù, soprattutto) – del comune destino cosmico di tutti su questa precaria Terra.
Si è detto che l’uomo è un animale razionale e sociale (Aristotele), ma poi anche che l’uomo è lupo all’uomo (Hobbes). Nella storia pragmatica sono coesistite le due qualifiche nel senso che l’uomo si è associato con i suoi simili familiari, tribali, nazionali e spesso contemporaneamente ha cercato di essere lupo per gli uomini di altre associazioni.
[…] Pertanto cultura della pace vuol dire oggi coltivazione intensa ed estesa di un nuovo senso, morale, della vita che porti alla solidarietà, se non del tutto all’amore, universale. Ciò è tanto più oggi possibile perché, grazie ad alcuni settori della Scienza (diversi da quelli che costruirono l’atomica, contro cui io scrissi nel 1954 un Procès aux savants) c’è grande possibilità di benessere per tutti.
Da chi deve muovere la campagna per questa Cultura? […] I leaders – politici e religiosi – sono per lo più i responsabili delle guerre ed i leaders di un Superstato potrebbero, se non altro, portare il rischio di una gestione dittatoriale. Occorre, dunque, procedere dal basso. Perché si instauri un nuovo clima storico (morale, in luogo di quello economico e così anche come esperienza di vita inedita in campo collettivo) occorre che esso venga coltivato anzitutto dai privati. In un passo dell’Evangelo di Matteo Gesù dice: se stai per dare la tua offerta al Tempio e ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia quivi la tua offerta e vai prima a riconciliarti col tuo fratello, poi consegna la tua offerta.
Dunque la coltivazione della pace deve cominciare nello spirito dei privati e via via risalire a coloro che essi eleggono come governanti, se proprio non vogliono scegliere l’autogoverno. La cultura della pace deve, dunque, espandersi tra le cosiddette “masse”, rese coscienti della solidarietà cosmica tra tutti gli uomini. E tale cultura risolverebbe anche tutti i problemi della cosiddetta “economia” (la fame, la povertà, l’assistenza etc.) in una specie di sua ‘spiritualizzazione’.
Naturalmente di tale cultura sono responsabili indicatori e propagandisti i cosiddetti ‘uomini di cultura’, intesi come coloro che vogliono coltivare l’humanitas, cioè ottenere una qualificazione che superi la mera naturalità fondamentalmente egoistica. Essi, pertanto, lungi dall’esaurire le loro prestazioni circa le istanze morali nella carta stampata, dovrebbero ripristinare la dialogica socratica, andando per le strade ad indicare, argomentare, convincere. Parlando di ‘uomini di cultura’ intendo includere nel termine le donne; anzi in primo luogo le donne: alleviatrici della solitudine umana, donatrici di vita, trepide tutrici della vita seminata nel mondo.
[…] Solo in questo supremamente evoluto spirito di pace possono scomparire nel mondo – oltre che la guerra – la fame, il senso privatistico degli ‘spazi vitali’, delle pretese di ‘Verità’ assoluta, per guardare al relativo, alle alte sfere delle conquiste scientifiche che – come quelle nel campo della medicina – contribuiscono alla migliore sopravvivenza umana su questa Terra, nel cui destino cosmico siamo tutti, di ogni nazione, di ogni razza, di ogni colore, di ogni religione (istituzionale o laica) ugualmente coinvolti”.
Il guardiano della pace”, di D. A. Cardone
(“Il guardiano della pace”, in Domenico Antonio Cardone, Ritmi del silenzio, N.E.U. – Editrice “La Nuova Europa”, Firenze, 1970, pp. 80-81)

 
Chi inventò la pace?
Dovunque nell’universo è guerra
nel corpo e nel cuore dell’uomo
è guerra
Ma pur l’uomo inventò la pace
Quando un giorno
in un giardino di Benares
un illuminato scoprì la Rinuncia
Quando un giorno
sul lago di Genezareth
un illuminato scoprì la Carità
Quando un giorno
nei boschi di Bevagna
un illuminato scoprì la Pazienza
e agli uccelli affidò i tre messaggi
ed essi volarono a croce
e dovunque li portarono
e dalla steppa d’Oriente
un canto rispose
Il mondo è come l’oceano
tutto scorre e tutto è collegato
e se tu percuoti in un punto
un rombo si ripercuote
all’altro capo della Terra …
Chiedi perdono della tua violenza
a tutti i bambini agli uccelli’
Lungo tempo rimase
la pace inventata
sogno d’anime solitarie
Come nell’universo
fu ancora guerra
nel corpo e nel cuore degli uomini
Oggi la paura la stana e l’insegue
Paura non amore
Ma sia benedetta
se spaccherà la muraglia
onde nel valico
i tre sermoni passino
dal deserto delle lontananze
portando echi nel cuore degli uomini
chiamandolo guardiano di pace
ché se non è pace di dentro
pace di brama di risentimento d’orgoglio
non sarà pace al di fuori
mai pace nel mondo”
***
Roma, 20 gennaio 2021
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi – PALMI (RC)
raffaello.saffioti@gmail.com



Giovedì 21 Gennaio,2021 Ore: 16:15
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 21/1/2021 17.40
Titolo:I precursori !
E' necessario sempre indagare le radici culturali di un progetto per comprenderne la valitità e l'importanza. Raffaello Saffioti di Palmi (RC), il principale sostenitore in questi anni nel Sud Italia delle attività UNESCO di educazione alla pace, lo fa qui, da par suo, in un articolo dalle mille sfaccetature. Un testo poetico scritto da chi, amico personale e collaboratore di Danilo Dolci in Calabria, si fa ora nume tutelare di un progetto di collaborazione tra il Dialogo e il Centro Gandhi, da lui favorito e fortemente voluto. Grazie a questo suo collage poetico di ricche e ispirate citazioni, oltre che al suo operoso e diuturno lavoro di educatore, la Calabria si ripropone come terra di profezia di Pace. 
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 21/1/2021 18.05
Titolo:Carta di intenti!
Proponiamo al Direttore del Dialogo Giovanni Sarubbi e a tutti gli amici del Centro Gandhi di adottare questo eccezionale scritto di Raffaello Saffioti come documento ispirativo del nostro progetto collaborativo.
Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 21/1/2021 18.54
Titolo:VIVA SIA LA CALABRIA, TERRA DI CULTURA E DI PACE e non solo di malaffari!
Sono nato in Calabria e lì ho vissuto i miei primi 17 anni di vita... Mi considero calabrese vero nel sangue e nei sentimenti anche se, allo stesso tempo, mi considero cittadino del mondo. Quanta emozione e sano ogoglio a leggere le parole che Raffaello Saffioti ha voluto dedicare alla nostra terra... E da questi sentimenti non può non derivare un determinato e sincero impegno per la Calabria e per tutto il pianeta Terra e i suoi ospiti.
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 22/1/2021 11.36
Titolo:Storia e archeologia 
"Avviene della storia come dell'archeologia. Bisogna fare gli scavi per nutrirla"...questa, tra le tante, è la citazione che mi ha colpito particolarmente...perché è esattamente questo il lavoro tenace e instancabile che ha sempre fatto Raffaello Sffioti, dissotterrando tesori sapienziali scritti nel tempo ma senza tempo. Davvero grazie. Antonio D'Agostino
 
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 23/1/2021 09.53
Titolo:
Caro Raffaello, ho sempre pensato che per la passione che metti in tutte le cose che fai, sei apprezzato e amato da tutti quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerti. Il tuo interesse, il tuo amore e la tua passione  verso il progetto di collaborazione  tra "il dialogo" e il Centro Gandhi per la crescita della cultura della nonviolenza sono ammirevoli. La tua sensibilità e concretezza è indispensabile per una migliore riuscita del progetto collettivo a cui state lavorando. Penso anche io che sarebbe utile se questo tuo scritto fosse adottato come documento ispirativo del progetto di collaborazione.
Autore Città Giorno Ora
rosellina scarcella palmi (rc) 24/1/2021 10.11
Titolo:Una speranza per la Calabria e il mondo intero!
Riceviamo da Rosellina Scarcella di Palmi (RC)



Da calabrese, che ama profondamente la propria terra e che guarda quanto oggi in essa accade, da un osservatorio particolare, mi sento di poter dire, in contrasto con quanto intellettuali (come Corrado Augias), giornalisti calabresi (come Polimeni) e gente comune afferma, e per i quali non c'è niente da fare per la nostra regione, che, invece, c'è tanto da fare e subito, perché tanto è stato già fatto.

Sono stati fatti progetti, tracciate strade, trovati e perfezionati metodi, lavorando per anni con risultati efficaci di cui poco si sa e poco si parla.

Anche in tempi recenti, come Raffaello nel suo bellissimo e utile studio ci racconta in modo coinvolgente. Non resta che, come ha mostrato Danilo Dolci in 10 anni di lavoro intenso in Calabria, che mettere insieme le energie, collegarle, guardando a ciò che unisce e cominciando dal basso a lavorare, creativamente, per il risveglio delle coscienze.

Partendo dalla conoscenza delle strade già tracciate e indicate da grandi personaggi, ma anche valorizzando le esperienze di cambiamento realizzato da tanti giovani, insegnanti, imprenditori, giudici, comunità, associazioni e gente comune, possiamo vedere che cambiare è possibile. Chi, lungi dal perdersi in lamentazioni o rassegnarsi, ha continuato e continua a lavorare con impegno profondo, nonostante tutto, ha mantenuto viva la fiammella della speranza che il cambiamento di questa società, ingiusta assurda e malata, come l'emergenza Covid ci ha drammaticamente mostrato, è ormai necessario ma anche possibile. Il filosofo Cardone nel suo scritto, profetico e attualissimo, indica una strada. Leggerlo è stato importante per me, vedo nel suo pensiero sulla pace, una grande risorsa non solo per la Calabria ma per il mondo.

Ringrazio il Centro Gandhi, il Dialogo e Raffaello per quanto fanno per diffondere scritti che vanno in controtendenza rispetto al clima di paura e rassegnazione che si alimenta, in tanti modi, mentre occorrerebbe spingere, le forze più sane della società, verso l'impegno e il cambiamento di prospettiva, per costruire comunità basate sulla solidarietà, la pace, la giustizia.

Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 24/1/2021 17.21
Titolo:Un grazie di cuore a Rosellina Scarcella e a Giulia Guzzo
Gli interventi a commento del testo di Raffaello da parte di due delle principali protagoniste del percorso di educazione alla pace  che  ha presso l'avvio a Palmi in Calabria alla fine degli anni '80 del secolo scorso e che è proseguito a San Giovanni in Fiore con il nuovo millennio, corrispondono a una visione storica della nonviolenza che si propaga lentamente: "Festina lente" (avanti adagio) secondo il detto latino che Erasmo aveva trovato citato dallo  storico Aulo Gellio, e che veniva attribuito all'imperatore Augusto. Esso mirava a spiegare che i fatti storici, i grandi cambiamenti avvengono per maturazione. Le azioni, infatti,  devono maturare per portare frutti. Le stesse persone, inoltre,   maturano attraverso le azioni che compiono, secondo il detto di Sallustio: "Prima rifletti, e dopo aver riflettuto, procedi in fretta" e che Mazzini traspose nel motto risorgimentale: Pensiero e Azione. Questa filosofia sollecita la perseveranza. Infatti, un lavoro perseverante, seppure lento, porta a compimento le opere più complesse e più grandiose. E Gandhi spiegava per l'appunto  il significato di satyagraha come l'azione di chi persevera nella verità. Perciò ha fatto bene Raffaello Saffioti a collegare l'attuale progetto di confluenza tra il Centro Gandhi e il Dialogo all'antica presenza di Danilo Dolci in Calabria. Esso è oggi l'albero che è cresciuto nel tempo di quel seme messo a dimora nella terra dei filosofi e dei profeti. LENTIUS AMBULANDO LONGUM ETIAM ITER CONFICITUR "camminando lentamente si fa molta più strada"!
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 24/1/2021 17.59
Titolo:Grazie, Raffaello!
Caro Raffaello, hai scritto un testo denso di riflessioni, di citazioni e di proposte. Un lavoro ricco e importante, che ci invita a camminare sulla giusta via della nonviolenza con consapevolezza, impegno e amore. Un cammino profetico, lungo il quale dobbiamo camminare tutti insieme, tenendoci per mano e aiutandoci l'uno con l'altro. Ben venga, quindi, il progetto di collaborazione tra il Centro Gandhi e Il Dialogo, una lanterna nel buio che stiamo attraversando. Sto pensando non tanto a noi, ma ai giovani e al loro futuro; non consegnamo loro una società malata (e non solo di coronavirus) e un ambiente devastato, cerchiamo di lasciare un segnale forte  di un cambiamento positivo e di pace.
 

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