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www.ildialogo.org Siamo chiamati a una responsabilità verso gli altri,di Gianni Mula

Editoriale
Siamo chiamati a una responsabilità verso gli altri

di Gianni Mula

Caro Giovanni,
Il nichilismo è arrivato tra noi. Mentre i difensori della razionalità scientifica lottavano contro l'oscurantismo dei sostenitori della fine delle certezze scientifiche, il nichilismo, col vigoroso aiuto di combattenti di entrambe le parti, prendeva di fatto il potere nei gangli vitali della nostra società tecnologica e globalizzata. Come interpretare, infatti, se non in termini di nichilismo realizzato, le politiche  economiche, sociali e culturali di praticamente tutti i governi del mondo sviluppato? Come interpretare altrimenti la realtà che descrivi nel tuo editoriale La salvezza è nelle nostre mani, nessun supereroe ci salverà”?
Tu dici con amara ragione che “Viviamo un tempo di prostituzione morale di cui è difficile trovare paragoni nel passato … che è stato costruito attraverso un uso perverso degli strumenti di comunicazione di massa.” Che “La disumanità avanza perché le forze politiche e sociali che avrebbero dovuto opporsi … hanno rinunciato a qualsiasi prospettiva di costruzione di una società dove non ci sia più lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, accettando le regole del mercato … Altro che regole, quella che impera è la legge della giungla!”. E, dopo aver denunciato con precisione il fallimento delle forze che si raccolgono attorno al PD, e le loro contraddizioni interne, ti chiedi come mai la Chiesa Cattolica si sia completamente appiattita nell'appoggio ai governi della peggiore destra che abbia mai calcato le scene della politica italiana.
È naturalmente una domanda retorica, perché da cattolici che vivono la realtà della Chiesa cattolica istituzionale già sappiamo (purtroppo!) la risposta. Ma è una domanda necessaria, perché il nostro comportamento dipende dalla risposta che diamo. In una situazione ben peggiore, nella Germania del Terzo Reich, Dietrich Bonhöffer individuò nella grazia a buon mercato, cioè nella grazia che si acquisisce in ragione dell’obbedienza formale e della muta acquiescenza a un’ortodossia di cui non si intendono più le motivazioni profonde, il nemico mortale della Chiesa del suo tempo.
Io credo che la sua analisi valga anche per il nostro tempo, nel quale vediamo la grazia a buon mercato ampiamente dispensata e interpretata da uomini di cui intendiamo benissimo la fragilità intellettuale e morale. È da questa grazia che dovremmo attenderci la salvezza? Da una grazia, come ci avverte Bonhöffer, che serve al mondo per trovare “una copertura a buon mercato per i suoi peccati, di cui non si pente e di cui tanto meno vuole liberarsi “, che è “misconoscimento della vivente parola di Dio, … grazia senza sequela, grazia senza croce, grazia senza Gesù Cristo vivo, incarnato”?
No, ci dice Bonhöffer, la salvezza ci può solo venire dalla grazia a caro prezzo: che “è il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l’uomo va a vendere con gioia tutto ciò che aveva”, che è grazia “perché chiama l’uomo alla sequela di Gesù Cristo; è a caro prezzo perché costa all’uomo il prezzo della vita, è grazia perché proprio in tal modo gli dona la vita; è a caro prezzo, perché condanna il peccato, è grazia perché giustifica il peccatore.”
È solo con l’aiuto di questa grazia che noi possiamo pensare, ora uso le tue parole, di mettere in gioco la nostra “responsabilità di esseri umani … [perché ciascuno possa recuperare] la propria dignità e riappropriarsi del diritto-dovere di partecipare alla formazione della politica nazionale, … [con partiti] che sappiano rilanciare la cura amorevole del territorio nel quale viviamo, mettendo al bando il massimo profitto e la ricchezza individuale, le speculazioni finanziarie e le ricchezze costruite sulla sofferenza e la morte di milioni e milioni di esseri umani, che sappiano ricostruire i rapporti umani fra le persone, qualunque sia il paese nel quale si è nati, il colore della propria pelle, la propria etnia, il sesso o la religione che ognuno professa”.
È in riferimento alla grazia a caro prezzo e a questo impegno che ci sta di fronte che noi dobbiamo capire sino in fondo, per noi stessi prima ancora che per poterne dar conto ad altri, le ragioni della nostra speranza. Perché non possiamo annunciare un messaggio di salvezza senza spiegare di quale salvezza stiamo parlando. E, in una realtà come la nostra, che è davvero quella che tu descrivi, a meno di voler resuscitare l'incubo ancora peggiore di un Dio che avesse creato il mondo per metterci alla prova, di quale altra salvezza potremmo mai parlare se non di quella che potrebbe farci uscire da quest'incubo?
Ma come distinguere oggi, nel concreto, la grazia a caro prezzo da quella a buon mercato? Di quest’ultima non esiste solo la versione religiosa. Infatti anche sul piano strettamente laico esistono i dispensatori di certezze a buon mercato, che ci promettono la salvezza, cioè l’uscita da questa crisi e la garanzia contro crisi future, se solo accettiamo di condividere le loro certezze. Accettazione che si tradurrebbe poi nel cavalcare tutti insieme, in un delirio di esaltata paranoia, alcuni valori scelti come cardini di una nuova società. In generale in questo caso il problema non sono tanto i valori proposti quanto quelli dimenticati o esplicitamente esclusi, dove ogni dimenticanza o esclusione è segno che la demagogia dei vari leader è superiore alle loro capacità di riflessione a medio termine. Quest’osservazione è valida anche per quei leader, e penso agli attuali leader del PD o al nuovo centro, che si presentano con un programma dichiaratamente antidemagogico e di normale politica tradizionale. Per essi infatti la politica è puro esercizio di gestione di un potere, o di una rendita di posizione, alla cui conquista sono stati e vogliono continuare a mantenersi rigorosamente estranei. E, per quanto un programma di questo genere si possa promuovere riducendo al minimo gli atteggiamenti demagogici, è chiaro che il livello di demagogia sarebbe sempre superiore al grado di riflessione (nullo per definizione) sull’evoluzione a medio termine del quadro politico.
È quest’ultima caratteristica ad apparentare il comportamento della gerarchia vaticana a quello dell’attuale opposizione di centro e di centrosinistra. In entrambi i casi ogni afflato ideale (o profetico nel caso della gerarchia vaticana) è completamente assente. Tutto si riduce a una gestione dell’esistente da farsi seguendo il principio di minimizzazione del lavoro necessario. Al mantenimento di questa gestione si è disposti a sacrificare qualunque cosa, dai principi della costituzione agli insegnamenti del vangelo, sino ad arrivare all’impudenza di accusare gli oppositori di oltraggiare la Libertà (intesa come libero mercato) o la Verità (intesa come catechismo).
E allora il tuo invito a tenere la salvezza nelle nostre mani, e a non affidarla a un qualche improbabile supereroe, diventa una sobria manifestazione insieme di realismo politico e di concretezza evangelica. Per usare le parole di Thomas Doyle, prete, canonista, e sostenitore da lungo tempo della giustizia e della compassione per le vittime di abusi sessuali da parte del clero “Il papa e i cardinali sono fortemente preoccupati, ma lo sono per le ragioni sbagliate. Essi vedono erodersi sempre più rapidamente la loro credibilità, il loro potere e la loro rilevanza sociale. Vedono che aumenta rapidamente il numero dei cattolici che rifiutano di essere trattati come bambini dai vescovi e che pongono una minaccia molto seria al mito ormai a pezzi che il papa e i vescovi sanno che cosa è meglio per tutti. Vedono il baratro crescente tra il codice morale che la gerarchia sta cercando di far accettare a tutti, anche ai non cattolici, e la realtà di che cosa sta realmente accadendo là fuori in quel mondo di cui hanno tanta paura. … questa chiesa istituzionale è completamente incapace di iniziare un cambiamento di rotta nella sua corsa autodistruttrice.” (National Catholic Reporter, 11 novembre 2010).
Qualcuno dovrebbe dire alle gerarchie vaticane, come Nanni Moretti il 3 febbraio del 2002 ai dirigenti del PD, che con questi vescovi e cardinali, cioè con questi assetti di potere ecclesiali, ci vorranno generazioni perché la salvezza cristiana torni ad essere proclamata in maniera credibile. Purtroppo è oggi che abbiamo bisogno di essere credibili nella proclamazione dell’annuncio evangelico. Infatti in questa situazione di fallimento globale abbiamo bisogno di coinvolgere nella nostra azione di testimonianza del regno di Dio anche quanti, in questo paese e nel mondo, pur professandosi atei o agnostici o con fedi diverse sulle realtà ultime, siano, come tu dici,“non disponibili a vivere una vita che non generi altra vita, che non liberi l'umanità dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo”.
Perché un cristiano o è alla ricerca di Gesù o non è cristiano. E anche oggi (come ieri) Gesù non lo si trova nelle corti dei politici, o dei Principi della Chiesa, ma nell’umanità sofferente. Tutto quello che noi possiamo fare in questa situazione di crisi è rivolgere a quest’umanità la nostra attenzione e testimoniare, con le parole e con l’azione concreta, la nostra vicinanza. E farlo con tutti nostri limiti e i nostri errori, accettando l'aiuto e la collaborazione di chiunque condivida le nostre intenzioni, anche se non la nostra fede. Io credo che il titolo dell’incontro di Napoli, “Pregare e fare ciò che è giusto fra gli uomini”, ci suggerisca che l’accettare la grazia a caro prezzo istituisce un legame indissolubile tra la chiamata alla sequela e le diverse possibili forme di risposta. Perché mettersi alla ricerca di Gesù non è solo il meritorio impegno di pochi santi ma è l’unica maniera di essere cristiani. Poi le forme in cui ciascuno ritiene di rispondere alla chiamata non possono che essere il frutto di libere scelte individuali. Quello che conta, sia che si scelga di impiegare i propri talenti in famiglia o nel lavoro, nel silenzio della preghiera o nella testimonianza pubblica, è la consapevolezza di agire alla luce del messaggio evangelico. Certo, per come ciascuno lo interpreta, ma che cosa mai può essere un’esperienza di fede se non il sentirsi accompagnati nelle proprie scelte di vita dall’amore paterno di Dio?
Che poi uno sia davvero alla ricerca di Gesù e non di personali e passeggere illusioni o infatuazioni non è materia per congregazioni vaticane ma un dubbio esistenziale che è compagno ineludibile di ogni fede vissuta con sincerità. Perché la fede non è solo speranza e pace ma spesso anche dubbio, talvolta rabbia e disperazione, insomma tutto tranne quella tranquilla marcia in più che Giuliano Amato vede all’opera nelle persone di fede.
Che poi la gerarchia vaticana sia capace di vedere la dittatura di un relativismo “che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” nel rifiuto di sottomettere le sofferte scelte di una vita di fede all’ortodossia di regole costruite a misura di convenienze istituzionali o di idiosincrasie personali significa solo negare alla radice la valenza salvifica dell’annuncio cristiano.
Rendiamoci infine conto che tensioni di questo tipo hanno da sempre accompagnato il cammino del cristianesimo. Tuttavia l’idea della gerarchia vaticana di costruire le proprie certezze teologiche su un’architettura logica analoga a quella sulla quale si suppongono costruite le certezze della scienza è un idea che oggi poteva venire in mente soltanto a persone al tempo stesso non credenti e non scienziati. A non scienziati perché dopo l'esplosione delle scienze della complessità solo chi legge di scienza ma non la sa fare può confondere la ricerca scientifica con l'acquisizione di certezze univoche e atemporali. A non credenti perché chi fa davvero ricerca teologica oggi (e si tiene lontano dal potere vaticano) è ben consapevole che una vera esperienza di fede non può mai essere disgiunta dall’esperienza del silenzio di Dio. E che la ricerca di nuove tecniche interpretative dei testi sacri non significa desiderio di sottrarsi ai comandamenti divini ma, al contrario, bisogno di radicare più profondamente la propria fede nel mondo nichilistico di oggi. Esattamente come la ricerca di senso da parte di un laico non credente, ma che rispetti la propria particolare condizione umana, non esprime l'abbandonarsi a vaghe e banali voglie epidermiche e passeggere, ma una superiore esigenza di autenticità.
Bisogna che le tante comunità di fede esistenti in Italia e nel mondo, e le tante persone ancora alla ricerca di senso, diventino consapevoli del fatto che l'attuale crisi nichilistica potrà venire superata soltanto da una profonda trasformazione culturale capace di dare un significato operativo al tuo "La salvezza è nelle nostre mani". In una sfida di questo livello l'eredità culturale che ci caratterizza e ci permette di riconoscerci in un cammino di cui vediamo la traccia solo dopo averla percorsa, e mai prima, è certamente un vantaggio rispetto a chi non la condivide. Ma è un vantaggio che non rende in alcun modo il cammino più facile, è un vantaggio che ci chiama a una responsabilità verso gli altri di cui non potremo mai essere sicuri di essere all'altezza.

Gianni Mula
Professore Ordinario di Fisica Teorica, Modelli e Metodi Matematici Università di Cagliari



Giovedì 18 Novembre,2010 Ore: 14:15
 
 
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