A proposito dell’infanticidio di Cogne
Quando la morte diventa spettacolo

di Gloria Capuano

I carabinieri del Ris entrano nella villetta di Cogne

Cogne

Scrivo per sdegno, ma forse è meglio dire per forte rincrescimento. Lo spunto è Cogne, ma sarebbe potuto essere Erika o altro episodio similare.
Mi compiango come utente di Informazione e con me compiango tutti gli altri utenti. Siamo condannati ad ascoltare e a vedere regolarmente, ripetutamente, la stessa sceneggiatura, lo stesso copione, le stesse variazioni sul tema, i medesimi personaggi esperti in qualche cosa che attiene più o meno alla psicopatologia umana e sociale.
Per di più ci si dice - e la beffa si aggiunge all’inganno - che è quello che noi vogliamo, anzi che abbiamo diritto di ottenere come fruitori dell’Informazione.
Il guasto che ne consegue appare evidente, o meglio dovrebbe apparire evidente ma non lo è, tanto la normale sensibilità è stata appiattita. Al dolore o grande tristezza che in ciascuno inducono questi fatti si è sostituita la tensione emotiva per l’aspettativa del "come va a finire" della (macabra) telenovela di turno.
Ed ecco che esorbitanti spazi televisivi vengono destinati alle innumerevoli puntate, generalmente prive di notizie, ai summit monotematici, dove tutti, oramai assuefatti al costume, sono costretti a recitare diligentemente la loro parte; magistrati, carabinieri, poliziotti, psichiatri, psicologi, parroci e gente del posto.
Ne consegue un inconsapevole vuoto di rispetto per chi ha cessato di vivere, nessun rispetto per chi è colpito dall’evento e deve continuare a vivere, o ancora per chi è avvolto da un clima di sospetto, colpevole o innocente che sia, incarcerato nel supplizio di una squallida moderna gogna, forse più crudele e più esposta e prolungata di quella storicamente tramandataci.
Tutto questo danneggia la società, induce la totalità della gente a guardarsi imbruttita, per il naturale processo d’identificazione che accade in ognuno alla vista di tali fatti. I quali fatti sono aberranti per quel concetto di normalità del quotidiano nel quale tutti più o meno volenterosamente e correttamente siamo usi vivere.
Milioni e milioni di persone sono poste sotto pressione e intristite o incallite per fatti singoli numericamente irrilevanti, trattati con un protagonismo che funziona appunto da specchio dell’orrore assurto ad ambiguo monito e in deteriore intrattenimento. Senza contare che anche la patologia come fonte di crimine va coperta dalla pietà.
Quel voler a tutti i costi tenere in un bagno di raccapriccio l’intera società soltanto per mancanza di argomenti e di notizie costruttive o meglio per assenza di preparazione tesa a individuarne legittimità e significati, è diventato insopportabile.
Già le notizie delle guerre e dei vari conflitti di vario tipo in atto nel mondo occupano più male che bene lo spazio dell’Informazione; che si insista a riempire quel poco che resta con superflua insistenza non più per necessità di cronaca di un fatto ma per poco limpido compiacimento, dovrebbe indurre alla ribellione.
Ma ribellarsi è difficile, sia perché un cittadino ha già il suo daffare per assolvere tutti i suoi compiti giornalieri, figuriamoci come può diventare ascoltato critico di quella potentissima lobby che costituisce il mondo dell’ Informazione. Tanto meno saprebbe contattare i dirigenti e i politici addetti al controllo e alla regolamentazione del settore, ma nel caso ci riuscisse non so quanto e come sarebbe ascoltato stando alle esperienze fin qui fallite.
Tutto il mondo televisivo è immerso in questo materiale putrescente nel quale trova pascolo elettivo la morbosità, la paura, il piacere malsano del brivido e soprattutto il vendere bene il "servizio" al fine della famosa audience.

La pietà non è scomparsa ma anch’essa è stata surclassata dalla curiosità di una indagine tramutatasi in una specie di "caccia all’assassino". E c’è da ringraziare Dio che non subentri il costume di un quiz a premi dal titolo "Chi è il colpevole"?
Il Giornalismo di Pace parte anche da qui, dal senso e dall’esigenza di una pietas che non dia spazio ad altre sensazioni. L’informazione dovrebbe limitarsi a dare notizia dell’accaduto e fino alla conclusione delle indagini dovrebbe tacere, ignorare totalmente il fatto. Altro che turismo giornalistico tra le emozioni della gente del luogo, cui segue, da bravi emuli, il comune turismo a profanare luoghi e ambienti con foto ricordo.
Mi dispiace, non mi stancherò mai di ripeterlo, l’Informazione, in rapporto al suo enorme potere, deve ancora nascere. E’ incontrovertibile ch’essa dedica troppa parte dei programmi a formare il palato al gusto dell’orrore, per poter poi piazzare più facilmente il prodotto violento, il più comune in vendita. E’ un falso di comodo l’affermazione che la realtà è di fatto violenta e che pertanto sia compito dell’informazione raccontarla così come è secondo quanto usano dire certi mattatori del settore, dalle prebende d’oro e dalla presunzione di grande professionalità.
E all’uscente signor Zaccaria spiego che il canone lo abbiamo pagato perché siamo bravi cittadini e non certo per esprimere il nostro gradimento della sua TV, come egli ha seraficamente affermato.

Lunedì, 11 febbraio 2002

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«Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino»
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