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La terza guerra mondiale è già scoppiata, prendiamone atto, di Giovanni Sarubbi

Editoriale
La terza guerra mondiale è già scoppiata, prendiamone atto

Per uscire da questa guerra fondamentale è il ruolo delle chiese cristiane che devono liberarsi dall’ignominia di aver fornito per 1700 anni il carburante ideologico di tutte le guerre che hanno insanguinato la storia.


di Giovanni Sarubbi

Qualche amico è rimasto stupito dal nostro ultimo editoriale nel quale chiedevamo alle chiese cristiane la scomunica di tutti coloro che decidessero di partecipare ad una guerra, compresi i capi di stato che la dovessero proclamare. Meno stupore, ma qualche reazione c’è stata anche in questo caso, ha suscitato la richiesta di scioglimento di tutti gli ordinariati militari ed il ritiro di tutti i cappellani militari dagli eserciti in armi. "Come, proprio voi chiedete l’utilizzo di uno strumento quale la scomunica". Questo in sintesi la critica che ci è stata rivolta.
Diciamo subito che il nostro ragionamento e la nostra richiesta tendeva a mettere in risalto la drammaticità della situazione attuale e l’ambiguità delle chiese cristiane, di tutte le chiese cristiane, nessuna esclusa. Chiese sempre pronte ad emettere sentenze e scomuniche nei confronti di chi dovesse sostenere qualcosa di diverso dalle dottrine di ogni singola chiesa, ma del tutto incapaci o impossibilitate non solo a gridare forte il proprio rifiuto della guerra ma ad essere conseguenti fino in fondo con tale scelta. Facciamo qualche esempio.
Il prete cattolico che ammettesse alla comunione una coppia risposata e lo facesse pubblicamente verrebbe immediatamente sospeso "a divinis"; altrettanto lo sarebbe chi dovesse sostenere qualcosa di diverso sul terreno della morale sessuale per esempio sulla questione della omosessualità. Non parliamo poi della messa in discussione di dogmi quali l’immacolata concezione (per i cattolici), la divinità di Gesù o la dottrina della Trinità (per tutte le chiese): ancora oggi la scomunica è sicura. In altre epoche, la messa in discussione di tali dogmi comportava non solo la scomunica ma si finiva anche sul rogo (giusto per rimanere in tema del comandamento del "non uccidere"). E’ di oggi, ancora, la conferma della scomunica emessa dall’ex Sant’Ufficio per le donne sacerdote ordinate nel giugno del 2002 dal vescovo Romulo Antonio Braschi nella diocesi di Linz in Austria. Ci sono chiese rigidamente schierate su tutta una serie di questioni etiche (aborto, eutanasia, ricerca genetica) in nome della difesa della vita che balbettano invece contro la guerra. E che cosa è opporsi alla guerra se non difesa strenua della vita?
Sulle chiese cristiane pesa l’ignominia di aver fornito per 1700 anni il carburante ideologico di tutte le guerre che hanno insanguinato la storia. Crediamo sia giunto il momento di liberarsi di questo marchio di infamia.
E’ del tutto evidente, così, che la richiesta di scomunicare Bush, Blair, e tutti quei capi di stato che dovessero decidere la guerra, dove si ammazzano esseri viventi e si distrugge la natura su larga scala, è una sfida alla coerenza di chi usa lo strumento della scomunica ad ogni piè sospinto e per questioni assolutamente opinabili quali sono le dottrine teologiche o la morale sessuale. Il "non uccidere", invece, non è opinabile, non è qualcosa, come scriveva don Primo Mazzolari, che in guerra si può fare impunemente mentre in periodo di pace è peccato e perseguito per legge. Il "non uccidere" per i cristiani è peccato sempre e lo è ancora di più quando un capo di Stato decide di uccidere in grande stile attraverso la proclamazione di una guerra.
Se è difficile impedire che qualcuno commetta un omicidio sull’onda di una provocazione grave o di un forte shock emotivo, è invece sicuramente possibile opporsi agli omicidi di massa quali sono le guerre che non scoppiano mai all’improvviso.
Il soldato che va in guerra ed uccide non è irresponsabile. I soldati hanno la precisa responsabilità di quello che fanno. Non sono delle macchine a disposizione dei governanti. E’ lui che uccide, è sua la responsabilità di ammazzare un altro essere umano senza neppure la scusante della provocazione personale. Dei centomila morti di Hiroshima sono allo stesso tempo colpevoli i piloti che hanno sganciato la bomba, il presidente che ha deciso il suo uso, il cappellano militare che quella bomba ha benedetto, tutti coloro che potendolo fare non hanno impedito che quell’atto fosse compiuto. Analogo discorso vale per i milioni di morti nei campi di sterminio nazisti. Hitler ha ordinato la costruzione dei campi di sterminio e lo sterminio degli ebrei e di tutti coloro che egli riteneva inferiori quali ROM, comunisti, omosessuali ecc. Ma non è stato lui personalmente ad infornarli. Ci sono stati uomini e donne in carne ed ossa che sapevano quello che facevano e che si sono resi responsabili di mettere in pratica supinamente una decisione orribile. Se Hitler era pazzo cosa erano quelli che hanno ubito ai suoi ordini? Essi sono stati complici e responsabili diretti dei crimini che hanno commesso. Su questo punto crediamo non possano esserci dubbi, almeno per chi ha letto gli atti del processo a don Lorenzo Milani e le sue appassionate argomentazioni in difesa della obiezione di coscienza. Ed il punto è proprio questo: qual è la coscienza dei cristiani oggi? Cosa significa essere cristiani oggi come ieri? Cosa distingue un cristiano dal fedele di una qualsiasi altra religione?
Alle chiese cristiane è chiesta coerenza e rispetto del nome di Cristo che impugnano spesso come una spada. Non possono essere cristiani allo stesso modo coloro che uccidono in guerra e coloro che si fanno uccidere pur di non uccidere. Non possono essere cristiani coloro che, ancora oggi, rivendicano lo sterminio degli ebrei o partono per arruolarsi per la guerra in Iraq, in Afganistan o in qualsiasi altro posto del mondo come se si trattasse di un lavoro qualsiasi.
Agli alpini che si apprestano a partire per l’Afganistan qualche prete ha spiegato cosa significa andare in guerra? E’ stato loro ricordato il comandamento del "non uccidere"? C’è poco da fare: o ha ragione il Papa con il suo no alla guerra oppure ha ragione il suo portavoce e quanti in Vaticano o nelle varie chiese cristiane del mondo hanno scelto di sostituire la diplomazia al coraggio della profezia.
Sarà un caso ma i capi di stato dei paesi sostenitori della guerra sono a maggioranza cattolica o protestante (gli USA, l’Inghilterra, la Spagna e l’Italia). Hanno qualcosa da dire le chiese cristiane di questi paesi ai propri membri e a questi capi di Stato? Possono continuare ad usare due pesi e due misure per i semplici cristiani e per i capi di Stato?
Si sente spesso in ambienti ecclesiastici la frase "O Dio o mammona": è ora che le chiese cristiane scelgano da che parte stare, senza ambiguità. E sfidiamo chiunque a dimostrare che fare la guerra, produrre armamenti di tutti i tipi, sia qualcosa che possa essere considerato cristiano.
Infine c’è un altro punto su cui è opportuno ritornare. Molti sono convinti che la guerra in Iraq non scoppierà, che alla fine si troverà una soluzione e che la drammatizzazione della situazione prospettata non solo dal nostro giornale sia esagerata e faccia in fin dei conti il gioco di Saddam. Perché, ci è stato detto, non lanciate invece una campagna per convincere Saddam ad andare via dall’Iraq in modo da evitare la guerra? Proprio in questi giorni Marco Pannella ha lanciato l’idea di un governo dell’ONU per l’Iraq che estrometta Saddam ed impedisca così la guerra. Proposta non priva di un qualche suo fascino ma anche di un’ambiguità di fondo che è bene chiarire.
Innanzi tutto bisogna dire con chiarezza ed una volta per tutte che la guerra è già scoppiata, ci siamo dentro fino al collo. Lo siamo dai tragici attentati dell’11 settembre 2001. L’Italia è entrata in guerra il 4 novembre del 2001 quando il Parlamento, stracciando la Costituzione, ha deliberato l’invio di truppe e mezzi militari in Afganistan. Siamo in guerra ma nessuno se ne rende conto grazie all’ipocrisia e alla complicità di gran parte dei mezzi di informazione che si guardano bene dal battezzare la situazione attuale con il suo nome appropriato di "terza guerra mondiale". Guerra a cui è stato dato il nome affascinante di "endouring freedom" ("libertà duratura" e cosa non si farebbe per la libertà!) ma che è pur sempre una guerra dove si ammazza e si distrugge. Guerra di cui è stata addirittura preventivata la durata, dai 10 ai 30 anni secondo le ultime informazioni rese note da alcuni organi di stampa statunitense, e la lunga serie di obbiettivi da colpire costituiti da quegli stati che l’amministrazione USA definisce "stati canaglia". Si tratta di una sessantina di stati poveri dove è prevalente fra la popolazione la religione islamica. Elemento questo che viene usato per rinfocolare l’idea dello scontro di civiltà fra la religione cristiana e quella islamica.
Se per "guerra mondiale" si intende una guerra che coinvolga l’intero pianeta, ci siamo già dentro, prendiamone atto. La guerra in Iraq è solo il secondo fronte, dopo l’Afganistan, di questa guerra nella quale, come durante la seconda guerra mondiale, abbiamo a che fare con uno Stato, in questo caso gli USA, in preda ad un delirio di onnipotenza e che si arroga il diritto di definire quali siano gli stati buoni e quali quelli cattivi scavalcando ed infischiandosene delle Nazioni Unite, dei suoi statuti e del diritto internazionale e rifiutando non solo qualsiasi autocritica per la propria politica di potenza che ha creato i dittatori come Saddam, Milosevich o gli stessi Bin Laden, ma anche qualsiasi inversione di tendenza rispetto ad una semplice riduzione degli armamenti a cominciare da quelli di distruzione di massa di cui essa per prima ed in larga scala è dotata. Vogliamo ricordare, per rimanere sul terreno dei paragoni storici, che anche i nazisti si riempivano la bocca con la parola libertà che campeggiava persino all’ingresso dei campi di sterminio. Anche negli attentati dell’11 settembre, e lo abbiamo scritto immediatamente dopo, è possibile leggere il delirio di onnipotenza dell’ideologia nazista e della super razza. Non vogliamo con ciò neppure, sia altrettanto chiaro, fare l’equazione USA=nazismo. E’ un’idea che non ci appartiene. Ma la realtà oggettiva è sotto gli occhi di tutti e da questa realtà bisogna partire per cercare di dare un contributo alla pace.
Detto questo vogliamo dire con chiarezza che sosteniamo tutti gli sforzi diplomatici che possano impedire lo scoppio del secondo fronte in Iraq. Ma ciò potrà avvenire solo se gli Stati Uniti ritornano a rispettare uno dei principi base delle Nazioni Unite che è quello di "uno Stato un voto", con tutti gli stati aventi gli stessi diritti e gli stessi doveri. La pace ci sarà se gli USA rinunceranno all’uso della loro superforza militare e a tenere in ostaggio il mondo intero e le Nazioni Unite con la minaccia della "guerra preventiva", che altro non è se non la vecchia "guerra di aggressione". Impedire che il secondo fronte scoppi non può che avvenire nell’ambito di una risoluzione generale del conflitto mondiale attualmente in corso. E ciò potrà essere fatto nella sede propria delle Nazioni Unite, con una trattativa globale che coinvolga tutti gli Stati e abbia al primo punto il disarmo generalizzato, dei più forti come dei più deboli. Bisogna ripartire dalla consapevolezza che la sicurezza del mondo non sarà determinata dal possesso di armi ma da una politica che elimini gli squilibri fra gli stati. Se ciò non avverrà c’è il pericolo concreto che iniziative come quelle di Pannella servano alla fine a giustificare ancora di più l’apertura del secondo fronte in Iraq e di tutti gli altri fronti che gli Stati Uniti stanno propagandando in modo aperto dall’11 settembre del 2001.
Le chiese cristiane hanno la responsabilità di indicare una tale soluzione agli stati di tutto il mondo, principalmente a quelli che si dichiarano di matrice cristiana. Siamo convinti che una presa di posizione forte delle chiese cristiane avrebbe un peso determinante per portare a soluzione l’attuale ennesimo conflitto mondiale. Se le chiese rimarranno a guardare avranno da rispondere davanti a Dio non solo della loro vigliaccheria ma anche della morte di alcuni miliardi di essere umani oltre che della distruzione dell’intero pianeta.



Martedì, 28 gennaio 2003
 
 
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