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www.ildialogo.org Cambiare il mondo è da folli,  di Michele Zarrella *

8 domande, 8 risposte l'otto ogni mese
Cambiare il mondo è da folli

Solo i folli lo pensano


  di Michele Zarrella *

https://www.ildialogo.org/foto2/MicheleZarrella250.jpg “Solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero”, disse Steve Jobs, nel 1998. Dobbiamo essere folli allora se vogliamo evitare l’incremento di 1,5 °C della temperatura del pianeta?

A mio avviso, se folle significa scrollarsi di tutti quei fattori che ci costringono a buttare un po' di fumo negli occhi e lasciare tutto com'è o a nascondere la polvere sotto il tappeto e poi negare l’evidenza, se folle significa testimoniare la verità, allora sì, dobbiamo essere folli. Anche se, spesso, chi testimonia la verità viene deriso e preso per folle. Ecco: noi dovremmo essere folli di verità. Verità da far conoscere agli altri. 

E qual è la verità oggi?

I cambiamenti climatici che già stiamo vivendo sono dovuti al riscaldamento globale, che è provocato dalle attività umane che utilizzano le fonti fossili per produrre energia. Il riscaldamento globale comporta anche tutte le altre conseguenze che sanno anche i bambini: scioglimenti delle calotte polari e dei ghiacciai con innalzamento del livello dei mari, scioglimento del permafrost con liberazione del metano nell’atmosfera, aumento dell’acidità degli oceani, sparizione di tante specie e aumento di altre, emergenze sanitarie, supervirus, sommersione di atolli, isole e città con aumento della pressione demografica, tempeste sempre più violente e più frequenti ecc. Occorre reagire. Senza pigrizia. Senza scuse.

Poiché ognuno di noi utilizza energia prodotta da fonti fossili, ognuno di noi contribuisce al riscaldamento globale?

Esatto, dipende da ognuno di noi e lo alimentiamo quando ci facciamo ingannare dalla pubblicità, dalle novità, dal consumismo. Ma la ricerca continua della novità, che fa buttare via il “vecchio” accrescendo i rifiuti, aumenta l’ansia e ci tiene imprigionati in una gabbia di ferro. La gabbia del consumismo che ha assegnato agli oggetti, che spesso mostriamo ostentatamente, molti meccanismi sociali e psicologici fino alla identità personale che, a mio avviso, non deve derivare da nulla di esteriore. Il cellulare di ultimissima generazione che ci rende più "connessi" a un mondo invisibile senza sapere bene a cosa e perché che ci porta ad essere sempre più scollegati da sé stessi, ma contemporaneamente sempre più rintracciabili, sempre più "profilabili" e sempre più controllabili; le auto enormi, i Suv (sport utility vehicles) - quei fuoristrada adatti ai percorsi sterrati in campagna o nei deserti - : 3 000 chili di ferro per trasportare (a pieno carico! - cosa rarissima -) qualche centinaio di chili di persone sulle strade cittadine, parcheggiati spesso con due ruote sui marciapiedi: eh già, sono dei fuoristrada; il capo firmato che è fatto nei Paesi dove la mano d'opera è bassissima e che costa 10 volte quello non firmato della stessa qualità; l'acquisto eccessivo di cibo che in parte va buttato e in generale gli acquisti inutili che portiamo a casa e poi buttiamo; gli sprechi persino dell'acqua con quelle bottiglie di plastica che sta invadendo il mondo quando quella del rubinetto è potabile, controllata e comoda; l'obsolescenza programmata dichiarata ultimamente illegale; ecc. Sono tutti inganni del consumismo. 

Oggi chi non compra il cellulare di ultimo grido, chi non consuma e non spreca è visto come un alieno. È fuori dalla società.

È questo l’assurdo. La bestemmia più grande. Lo scandalo è dall'altra parte, ossia nello spreco inutile e inquinatore. Ma l’attuale “tenore di vita occidentale” si sta rivolgendo contro noi stessi e contro tutta l’umanità perché sta provocando il riscaldamento globale e i conseguenti cambiamenti climatici. Mi viene in mente la frase del gruppo country rock The Eagles in  Long Road out of Eden: “Il mondo adesso è vostro, usate bene il tempo. Partecipate a qualcosa di buono; lasciate a chi verrà qualcosa di buono.” Mi pare che ci sta sfuggendo di mano l'essenziale: l'umanità fatta di empatia, senso civico, rispetto delle regole, uguaglianza, altruismo, lealtà, nuovi valori, nuovi stili di vita, amore verso gli altri... Il tempo tolto all'amore è tempo perduto. 

Alcuni economisti, sulla scia della teoria di John Maynard Keynes, continuano a gridare “crescita”, “crescita"  e "consumo", "consumo".

L'economista britannico basava la prosperità solo sull'incremento del reddito e dell'occupazione che doveva passare attraverso una maggiore spesa e investimenti - pubblici e privati -  e maggiori consumi. Gli investimenti in economia sono necessari per l'occupazione e per il progresso, ma la prosperità, la salute e la felicità non hanno bisogno di un reddito sempre maggiore. Anzi hanno bisogno di salute, identità, amore, senso e scopo della nostra vita. E l'altro problema è che, purtroppo, il nostro pianeta non è illimitato e le risorse neanche. Se lo guardiamo da un punto di vista cosmico è un piccolo - quasi invisibile - granellino nell'immensità dell'Universo. Abbiamo dei limiti ecologici da rispettare assolutamente se non vogliamo perderci. 

Allora occorre intervenire per cambiare le cose.

Sì, e siamo l’ultima generazione che lo può fare. Ma poiché cambiare la natura umana è impossibile dobbiamo cambiare il nostro attuale mondo sociale: le regole e la visione del futuro e di conseguenza le istituzioni e le strutture.

In parole povere occorre passare a una nuova economia, la cosiddetta economia sostenibile.

Occorre un’economia sostenibile che punta a una prosperità che rende felici gli uomini nel rispetto dei limiti imposti da un pianeta grandissimo, se confrontato all’uomo, ma finito. Non illimitato.

Se dovesse sintetizzare questa nuova economia in due parole quali direbbe?

Sobrietà e frugalità. Due parole che sembrano aliene o, a volte, addirittura ostili alla economia e alla cultura consumistiche. Queste due parole non devono essere associate all'idea di privazione o, peggio, sacrificio. Sobrietà va intesa come moderazione. Frugalità va intesa nella radice latina di frux, frutto, quindi agire per un frutto, fare un'azione-fruttifera. Si spera in azioni-frutti buoni. E le azioni-friuttifere buone si ottengono col nostro essere onesti e miti e dediti al fiorire della vita umana su questo piccolo pianeta li-mi-ta-to.

Gesualdo, 8 giugno 2019

*Ingegnere e astrofilo

Per contatti

zarmic@gmail.com

 

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