Un altro passo contro l’impunità: in Argentina, processo contro Von Wernich, prete e repressore

di Adista n. 55 del 28-07-2007

33998. LA PLATA-ADISTA. È il primo prete in Argentina chiamato a rispondere in tribunale per crimini di lesa umanità, ma Christian Von Wernich, cappellano della polizia della provincia di Buenos Aires durante la dittatura militare del 1976-1979, non sembra aver nessuna voglia di parlare. Presentatosi alla prima udienza del processo aperto contro di lui dal Tribunale federale di La Plata, il prete ha ascoltato la lunga lista di accuse, relative a 7 casi di omicidio, 31 di tortura e 42 di privazione illegale della libertà registrati nel cosiddetto Circuito Camps di centri di detenzione clandestini (dal nome dell'ex capo della polizia di Buenos Aires Ramón Camps). "Von Wernich - ha affermato il documento letto durante l'udienza - si recava assiduamente in alcuni dei centri clandestini del circuito, accedeva alle aree in cui si trovavano le vittime illegalmente private della loro libertà, aveva con loro un contatto diretto, contribuiva in maniera più che considerevole al mantenimento della loro situazione e, inoltre, imponeva tormenti principalmente psicologici e morali ai prigionieri", con l'obiettivo di "spezzare la loro volontà, ottenere informazioni, assicurarsi il loro silenzio e quello dei familiari, scoraggiarli dal cercare aiuto, e con ciò garantire il perseguimento dei fini da parte della dittatura". Quando poi il giudice Carlos Rosansky gli ha concesso la possibilità di rilasciare una dichiarazione, il sacerdote ha detto soltanto: "Seguendo le indicazioni del dottor Martín Cerolini, il mio avvocato, non parlerò e non accetterò domande". E, dopo la prima udienza, non si è fatto più vedere al processo.Fuori dal tribunale, dietro lo slogan "la impunidad tiene cura" (gioco di parole attorno alla parola cura, che in spagnolo ha il duplice significato di 'guarigione o rimedio' e di 'prete') manifestavano i militanti delle associazioni per i diritti umani, dei partiti di sinistra e dei sindacati, chiedendo l'"apparizione con vita" di Julio López, primo desaparecido in tempi di democrazia, testimone chiave al processo contro l'ex membro della polizia Miguel Etchecolatz, condannato all'ergastolo per crimini di lesa umanità e anche lui uomo di massima fiducia di Ramón Camps. A nove mesi dalla scomparsa di Julio López, e di fronte a minacce e pressioni già denunciate riguardo al nuovo processo, la questione della sicurezza dei testimoni chiamati a deporre contro Von Wernich - ne sfileranno circa 120 fino al prossimo settembre - è non a caso al centro delle preoccupazioni dei militanti per i diritti umani.

Nessun pentimentoVon Wernich aveva lasciato il Paese nel '96. Quando è stato arrestato, nel settembre del 2003, celebrava messa nella piccola città cilena di Quisco. Trasferito lo scorso maggio in un carcere comune, Von Wernich compirà 70 anni nel 2008 e potrà allora ottenere gli arresti domiciliari. L'ex cappellano militare ha sempre negato, durante le indagini, di aver visto persone torturate o maltrattate, attribuendo la sua presenza nei centri sotto la responsabilità di Camps - che lui, ha detto, ignorava fossero prigioni clandestine - al suo normale lavoro come cappellano: "Ne approfittavo per salutare i detenuti, che non mi parlarono mai di maltrattamenti. Trovandosi in luoghi come commissariati e prigioni, presupponevo che fossero detenuti legalmente". Ma il quadro delineato dai testimoni è radicalmente diverso: Hector Mariano Ballent, tra i primi testimoni chiamati a deporre, ricorda bene le parole con cui il cappellano invitava i detenuti a parlare: "Raccontate quello che sapete, così non vi castigano. Io lo interruppi e gli dissi: 'Lei come ministro della Chiesa non deve permettere che ci torturino'". E un altro testimone, Juan Ramón Nazar, ha raccontato di come, sorpreso dalla presenza di un sacerdote in un centro di detenzione clandestino, avesse chiesto a Von Wernich cosa ci facesse lì un prete: "vengo a dare assistenza spirituale - avrebbe risposto - alle persone che si trovano nella sua situazione". Egli girava liberamente - hanno riferito i testimoni - tra le celle dei detenuti, di cui conosceva tutti i nomi e i cognomi. E non solo tra le celle: il console a New York Héctor Timerman ha affermato che suo padre Jacobo, desaparecido tra il '77 e il '79, aveva riconosciuto il cappellano tra le persone presenti nella sala delle torture: "Questi bisognerebbe ucciderli tutti", avrebbe detto il sacerdote. Ma come è dato leggere nelle recenti lettere scritte dall'ex cappellano, di cui riferisce Emilio Marín su La Arena, i testimoni sarebbero tutti dei "bugiardi" chiamati a deporre in un "tribunale popolare nel miglior stile cubano-venezuelano": "In questo 'tribunale popolare' - scrive - presto entrerò come entravano i cristiani nel Colosseo, per essere divorato. Hanno trovato la preda ideale da fare a pezzi. Questa preda sono io".

Il disonore della gerarchia Il processo a Von Wernich, il quale ha sempre potuto contare sul sostegno della gerarchia ecclesiastica, riaccende, inevitabilmente, anche le polemiche sui silenzi e le complicità della Chiesa durante la dittatura. Come afferma in un comunicato la Commissione per la Memoria della Provincia di Buenos Aires, di cui fanno parte anche il Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel e mons. Miguel Hesayne, la gerarchia ecclesiastica "deve ancora riconsiderare le proprie responsabilità non solo per non aver evitato l'orrore ma anche per avergli dato un fondamento ideologico e teologico": "Il silenzio tenuto durante tutto questo tempo dalla gerarchia, e rotto appena da timidi documenti, sembra fondarsi sulla convinzione che un prudente oblio sia parte della Riconciliazione". Convinzione a cui si richiamerebbe chi ha l'interesse a presentare il processo a Von Wernich come un ritorno agli scontri del passato e un'offesa alla Chiesa (di persecuzione alla Chiesa ha parlato non a caso il card. Jorge Bergoglio). In realtà, afferma il comunicato, se "alcuni ministri della Chiesa cattolica hanno potuto operare come autori, complici, mentori o occultatori del piano di sterminio eseguito in Argentina a partire dal 24 marzo del 1976", altri ve ne sono stati, tra vescovi, sacerdoti, religiose e laici, che hanno operato in difesa dei diritti umani "e hanno salvato vite o cercato di farlo, e per questo sono stati perseguitati, incarcerati, fatti scomparire, torturati o assassinati dalla dittatura militare". Sulla stessa lunghezza anche il presidente Néstor Kirchner, che, intervenendo sul caso dell'ex cappellano, ha affermato che sacerdoti come Von Wernich "hanno disonorato la Chiesa, i poveri e i diritti umani", a differenza di altri "come Carlos Mujica (ucciso a colpi di fuoco nel 1974, prima ancora del colpo di Stato, ndr), mons. Miguel Hesayne, mons. Jaime de Nevares ed Enrique Angelelli che hanno onorato la Patria, la Chiesa e la religione".

Un rimedio all'impunità

Quello a Von Wernich è il terzo processo realizzato dopo l'annullamento, nel 2003, delle leggi del Punto Finale e dell'Obbedienza Dovuta, dopo quello contro Julio Simón, condannato a 25 anni di prigione nell'agosto del 2006, e contro Miguel Etchecolatz il mese successivo. Quanto ai massimi responsabili della dittatura, a cominciare da Jorge Rafael Videla ed Emilio Eduardo Massera, si avvicina anche per loro il momento del processo: la sentenza con cui la Corte Suprema di Giustizia, il 13 luglio scorso, ha dichiarato nullo l'indulto di cui beneficiava il generale Santiago Omar Riveros, ex comandante degli Istituti Militari di Campo de Mayo (già condannato all'ergastolo in contumacia nel processo svoltosi a Roma, nel 2000, contro i militari argentini responsabili del sequestro e dell'omicidio di cittadini italiani in Argentina durante la dittatura; v. Adista nn. 83 e 89/00), spiana la strada all'annullamento degli indulti concessi nel 1989 dall'ex presidente Carlos Menem con il pretesto di riconciliare e pacificare il Paese. (claudia fanti)



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Mercoledì, 25 luglio 2007