Editoriale
Un dibattito su Dio, Gesù, la Bibbia

di Giovanni Sarubbi

Partendo dalla “marcia pro-life” sponsorizzata da Papa Francesco, che ha levato la sua voce in difesa dei diritti dell’embrione, l'amico Walter Peruzzi sul suo blog ha scritto una lettera aperta a quelli che lui ha definito i «cattolici più aperti, come gli amici di Adista, Il dialogo, Il foglio di Torino, “Noi siamo chiesa”, o le Comunità di base».
Come fate – ha in sostanza scritto Peruzzi - a tollerare l'ipocrisia di una chiesa «che si spaccia per religione della vita mentre prega un Dio che ha compiuto o commissionato un’infinita serie di omicidi, dal diluvio universale alla distruzione di Sodoma, dal massacro dei 450 sacerdoti di Baal a quello dei primogeniti d’Egitto più tutti gli abitanti di Gerico Ninive Babilonia e via elencando; o un Figlio non migliore di lui, che minaccia a chi pecca la «morte eterna»?». Che ci state a fare in una chiesa così, ha detto in sostanza Peruzzi, che conclude con l'auspicio della chiusura totale di una siffatta chiesa.
Leggendo questo testo, mi sono tornate immediatamente alla mente le canzoni anticlericali, di cui la più nota è quella dal titolo "Bruceremo le chiese", che spesso è cantata insieme a quella dal titolo "Quando che more un prete", quella che parla dei preti come avventori delle puttane e del Papa come il capo di tutti i puttanieri del mondo (Vedi qui). Si tratta di canzoni che risalgono alla fine del 1800, maturate essenzialmente in ambienti anarchici o del nascente movimento operaio italiano.
Confesso che ogni tanto ascolto tali canzoni. Mi capita di farlo soprattutto quando assisto a manifestazioni di aperto e deleterio clericalismo, di cui spesso sono interpreti non i preti ma quelli che a parole si dicono laici ma che poi sono più papisti del papa. Queste canzoni anticlericali sono uno sberleffo o, come diremmo a Napoli, un pernacchio a chi crede di essere superiore agli altri esseri mortali ma che in realtà, direbbe Eduardo De Filippo, “sono la schifezza della schifezza della schifezza degli uomini”.
Ma, passato lo sberleffo, con il quale, secondo la filosofia Eduardiana, si potrebbe anche fare una rivoluzione, il problema rimane tutto li. Il clericalismo rimane clericalismo e i signori continuano a fare il proprio porco comodo sulla pelle della grande maggioranza della popolazione.
Ma quello che mi ha colpito di più nel testo di Peruzzi, è il suo fare riferimento ai racconti contenuti nei testi biblici come a fatti realmente accaduti e di cui accollare la responsabilità al “Dio” dei cattolici o delle altre religioni che dalla Bibbia hanno tratto origine.
Mi sarei aspettato da Peruzzi, il richiamo ai tantissimi delitti di cui si è macchiata la struttura ecclesiastica nel corso dei suoi mille e settecento anni di storia (proprio quest'anno ricorre la promulgazione dell'editto di Costantino del 313 d.c., che di fatto costituì l'inizio della religione cristiana). E invece Peruzzi, che pure conosce bene questa storia su cui ha scritto un libro, richiama i racconti biblici e mette sotto accusa proprio quel “Dio” a cui lui non crede.
Questo fatto credo sia estremamente interessante, e ringrazio Peruzzi, perché mi consente di scrivere in modo organico alcune riflessioni che vado facendo personalmente da tempo.
Le questioni coinvolte sono molteplici. Da un lato vi è la questione del ruolo che i cosiddetti «cattolici più aperti» hanno o possono avere all'interno della Chiesa cattolica. E' questo un problema che indubbiamente esiste, che non ci riguarda direttamente, ma di cui non mi occuperò in questo articolo. Dall'altro la lettera di Peruzzi pone, dal mio punto di vista, sia la questione di che cosa oggi noi intendiamo quando usiamo la parola “Dio”, sia di ciò che oggi è diventata la “Bibbia” a cinquecento anni dall'inizio della sua diffusione a livello di massa (ricordiamo che la prima Bibbia stampata da Gutemberg risale all'incirca al 1455).

In questi anni di confronto con tantissime persone, attraverso le pagine di questo giornale, mi sono andato convincendo che quando parliamo di Dio in realtà parliamo di noi stessi. Parliamo delle nostre paure di fronte al mistero della vita e della morte. Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Parliamo della nostra ignoranza nel comprendere le leggi fisiche della natura nella quale viviamo. Parliamo della nostra paura degli elementi naturali che non possiamo dominare, la pioggia, il vento, i terremoti, gli asteroidi che potrebbero caderci addosso, le alluvioni o i maremoti, i fulmini che potrebbero incenerirci, i Tornado devastatrici. Parliamo della nostra paura degli altri esseri viventi, con cui abbiamo stabilito un rapporto di dominio assoluto: loro sono i nostri schiavi, noi per loro siamo il loro Dio assoluto e crudele. Possiamo ucciderli, per cibarcene o per usarli a scopo economico: le pecore per la lana, i bisonti per le pellicce, così come le foche, o le balene, o le oche, o i cavalli o le mucche. Parliamo di Dio come di un uomo, un maschio contornato da una corte fatta di angeli, ne maschi ne femmine, un vero e proprio esercito celeste. Gli dei dell'antica Grecia, degli Egizi o di Roma erano ancora più fortemente legati a questa idea di un dio antropomorfo. Un Dio re, signore supremo, quale ognuno di noi vorrebbe essere nei confronti degli altri, delle altre persone o dell'intera natura nella quale viviamo. Parliamo di Dio come di un tappabuchi, buono per tutte le cose, a cui rivolgersi quando siamo in difficoltà e quando, soprattutto, non riusciamo a dominare le situazioni che ci troviamo a vivere. Un Dio antropomorfo, che assomiglia ai nostri lati peggiori, un Dio che ci serve a rendere meno duro il mistero della nostra vita di cui non sappiamo darci spiegazione.

Credo sia chiaro che le organizzazioni religiose esistenti, che alle spalle hanno una lunga storia millenaria, strumentalizzino abbondantemente questa idea di Dio che prima accennavo. Una idea antichissima, che si è incarnata in decine di religioni, che hanno organizzato e dato una cornice culturale e cultuale alle nostre paure e alla nostra ignoranza, formulando dogmi e credi rigidi nei quali tentare di ingabbiare la vita di tutti. Religioni che hanno un effetto negativo sulle persone, perché le deresponsabilizzano rispetto agli altri esseri viventi con i quali ci troviamo a vivere e allo stesso pianeta Terra su cui ci troviamo. Dio è usato, in definitiva, come unico e ultimo colpevole di tutto ciò che l'umanità ha fatto nel corso della sua storia. Basta leggere il racconto del cosiddetto “peccato originale” contenuto nella Bibbia, dove Adamo ed Eva cercano di scaricare su Dio la responsabilità della loro azione: noi abbiamo sbagliato, ma tu ci hai dato la donna e tu ci hai dato il serpente.
La stessa accusa di Peruzzi va in questo senso. Voi, presunti cattolici aperti, credete in un Dio assassino e giustificate, con la vostra presenza, una chiesa omicida e ipocrita.
L'altro punto di cui vorrei discutere è quello della Bibbia.
Innanzitutto credo si dovrebbe cambiare nome a tale libro. La parola “Bibbia” stravolge il contenuto di tale libro. Come è noto la parola Bibbia è la pura e semplice trasposizione della espressione greca “ta biblia” che significa letteralmente “i libri”, al plurale. Quella che Gutemberg ha trasformato in un unico libro, che ora possiamo tenerci in tasca sia stampato sia in formato elettronico, è in realtà una collezione di libri molto diversi fra loro, per contenuti, generi letterari, destinatari e motivazioni che hanno portato alla loro composizione, come sanno bene i biblisti.
Trasformare un qualcosa di plurale in singolare è il primo grave errore che bisogna assolutamente correggere. Non so che nome dare a tale collezione. Per me andrebbe bene anche la traduzione letterale “I libri” o qualcosa che renda l'idea di una collezione di testi diversi e molto spesso divergenti tra loro.
Aver trasformato una molteplicità di libri in un unico libro, ha fatto di questa collezione qualcosa di sacro, di infallibile, di assolutamente veritiero e indiscutibile, tanto che l'espressione “La Bibbia” è diventata sinonimo di verità assoluta. Tale espressione viene usata oramai in tantissimi campi con tale significato: “la bibbia dei vini”, “la bibbia delle armi”, “la bibbia della cucina italiana”... ecc. Un modo, in sostanza, per indicare una verità assoluta e non discutibile.
Il “sola scriptura” di luterana memoria ha poi fatto il resto. Dalla contestazione del potere assoluto del potere papale, che tale espressione rendeva evidente, si è passati al potere assoluto di una collezione di testi, interpretati letteralmente con risultati devastanti su milioni e milioni di persone. Dimenticando, tra l'altro, proprio la condanna dell'uso dei testi cosiddetti sacri contenuto proprio nei vangeli nel racconto delle cosiddette tentazioni di Gesù. Il diavolo citava i testi (“sta scritto” diceva) e Gesù li contestava.
Che Peruzzi citi i massacri di Sodoma, o dei 450 sacerdoti di Baal o quello dei primogeniti d’Egitto di Gerico Ninive Babilonia, come fatti storicamente accertati, è figlio di questa lettura fondamentalista della collezione di testi chiamata Bibbia.
A questa collezione, viene poi applicato un criterio che io ritengo devastante, quello che si esprime con “la Bibbia si interpreta con la Bibbia”. Tutto ciò che è contenuto in uno qualsiasi dei libri che è inserito in tale collezione, può essere spiegato con quanto è scritto in uno qualsiasi degli altri libri che compongono “la Bibbia”, a prescindere dal suo contenuto, dal tempo nel quale essi sono stati scritti, dagli autori, dalla loro cultura, dalle motivazioni che li hanno spinti a scrivere. Quando si afferma che “la Bibbia si spiega con la Bibbia”, si afferma l'esistenza di un autore “divino” che avrebbe scritto tutti i libri contenuti nella Bibbia, che quindi possono essere interpretati unitariamente. Niente di più falso e devastante, e credo sia ora di porre rimedio a tale pratica aberrante che non ha riscontro nella stessa vita delle comunità che hanno trasmesso fino a noi tali testi.
Fino a Gutemberg, la versione completa di tutti i testi biblici era appannaggio di poche strutture religiose, quali i monasteri dove i monaci li ricopiavano. Ma non tutti i monasteri avevano tutto. Le stesse famiglie ebraiche si trasmettevano di padre in figlio un unico testo biblico sotto forma di rotolo. A me è capitato di vedere uno di tali rotoli, che credo avesse all'incirca 800 anni, mostrato da un ebreo durante una conferenza. Si trattava, se non ricordo male, di una copia del “Cantico dei cantici”. La famiglia di questo ebreo si trasmetteva questo rotolo di padre in figlio. E questa era l'esperienza comune delle famiglie ebraiche, che non aveva eliminato la trasmissione orale dei testi e della storia di Israele, che trova il suo culmine nella cena pasquale.
La trasmissione orale di ciò che oggi è stato trasformato nella “Bibbia”, ha caratterizzato tutti i testi che in tale collezione sono contenuti. Il racconto orale è stato arricchito di generazione in generazione fino a quando essi sono stati trascritti, giungendo poi molto fortunosamente fino ai nostri giorni, attraverso molte correzioni che i filologi hanno ricostruito.
Ora io credo non si possa trasformare testi che sono essenzialmente racconti, in testi storici. Se ne stravolge il senso e si da credito a quelle “ditte” (nel caso specifico la Chiesa Cattolica, ma ciò vale per tutte le organizzazioni che si rifanno al cristianesimo) che hanno interesse a vendere il proprio prodotto, che consiste in un servizio di mediazione fra l'umano ed il sacro, fra l'uomo e Dio, cioè fra l'uomo e l'immagine sovrumana e onnipotente che l'uomo stesso ha costruito sulle proprie paure e sulle proprie angosce. Ecco credo sia giunto il momento di fare apertamente i conti con tali immagini e con tali pratiche distruttive che perpetuano un immaginario vecchio di millenni ed una idea di Dio che deresponsabilizza l'uomo rispetto al mondo, agli altri esseri umani, agli altri esseri viventi, animali e piante, allo stesso pianeta Terra.
Detto ciò e per concludere, quello che mi ha stupito di più nel testo di Peruzzi, è quello che lui scrive rispetto alla figura di Gesù, accusato di essere il degno erede di un padre sanguinario e feroce, ma che limiterebbe la sua nefasta azione alla semplice minaccia a chi pecca di «morte eterna». Si tratta di una interpretazione, molto diffusa in qualche corrente religiosa cristiana, figlia del letteralismo biblico, derivato dal “sola scriptura” luterano, che stravolge il senso dei racconti evangelici, anche essi trasmessi oralmente in una prima fase storica e poi trascritti e aggiustati di copia in copia.
La situazione diventa così paradossale. La stessa canzone anticlericale "Bruceremo le chiese", che ho citato all'inizio, parla di Gesù come di un «vero socialista». C'è stata tutta una fase storica del movimento socialista internazionale, dal 1791 al 1948 (da “La congiura per l'eguaglianza” al “Manifesto del Partito Comunista”), durante il quale si è in sostanza riscoperto il “volto umano di Gesù”, che pure era definito “vero uomo e vero Dio” ma che di fatto era diventato semplicemente “Dio”, stravolgendo il senso dei Vangeli.
In realtà, il merito dei Vangeli è quello di aver detto che il Dio di Gesù era l'umanità. Con Gesù, l'uomo è chiamato a confrontarsi con i propri fratelli, opponendosi e cancellando le istituzioni religiose che opprimevano il popolo di Israele e tutti i popoli del mondo, con i loro sacrifici e i loro profitti, con le loro ipocrisie ed il loro essere mediatori tra l'uomo e questo Dio immagine delle paure dell'uomo stesso. Che questo non venga colto da Peruzzi, che ci da una immagine di Gesù francamente inaccettabile, è il sintomo che siamo giunti ad un livello di devastazione culturale grave e siamo andati molto oltre il punto di non ritorno.
Credo sia il caso che i cosiddetti “cattolici aperti” si interroghino su tale situazione, per tentare di superare la loro inconsistenza e marginalità, di cui sono al tempo stesso vittime e responsabili. Ma di questo tenteremo di parlare prossimamente.

Giovanni Sarubbi


29/05/2013 - Leggi la risposta di Walter Peruzzi : clicca qui



Domenica 26 Maggio,2013 Ore: 11:02