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www.ildialogo.org E se non la salviamo la famiglia?,di Giuseppe Castellese

Riflessione
E se non la salviamo la famiglia?

di Giuseppe Castellese

C’è intorno alla famiglia una “sofferenza” immane che spinge, chiunque l’abbia sperimentata la sofferenza, alla fuga precipitosa e irrazionale: la fuga per la fuga! La famiglia è come un corpo, un organismo per la cui configurazione, quale si è evoluto e consolidato nell’arco di duemila anni, è un corpo ora attaccato da cancro che prolifera da matrici le più svariate e tutte perniciose.
Bisognerà per poter “capire” e, sicuramente, per una seria disamina della vitale questione (e parlo di vita del “mondo animale uomo”) riconsiderare i primordi della famiglia patriarcale dall’era cristiana che evolve definitivamente in “famiglia nucleare” a partire dalla nostra costituzione repubblicana: questo tipo di famiglia vediamo dissolversi in questi nostri giorni; la famiglia nel suo complesso subisce attentati i più virulenti, molto spesso proprio da quanti si dicono chiamati alla sua tutela poiché i “servizi”, in una economia di mercato, sono diventati “pretesti” non per dare, ma per “prendere o per arricchirsi”.
Sono queste “agenzie” per la famiglia?
Il detto desacralizzante, usato in economia finanziaria, che l’ospedale esiste non tanto per curare gli ammalati, ma per dare lo stipendio a medici, infermieri e case farmaceutiche, si è trasferito a macchia d’olio a tutte, tutte le strutture che, dalle varie angolazioni e vari livelli, dicono occuparsi e preoccuparsi delle sorti della famiglia e dei suoi membri.
Pertanto abilitate a parlare, denunciare, scandalizzarsi, recriminare, prendere iniziative, non sono le “organizzazioni” che incombono sulla famiglia quali mastini affamati. Queste agenzie sono strutture che nella loro fredda articolazione, sono le meno indicate a “gridare dai tetti la verità” della disperazione, della rovina di padri, madri e figli.
Perciò cercheremo di dare voce a quanti “il male della famiglia” lo soffrono, dall’interno, sulla loro carne fatta a brandelli proprio laddove, per mandato evangelico “la carne” dovrebbe divenire e restare “una”.
Costoro sono chiamati a un “io accuso” potente, vibrato, protestato nei confronti di quanti si sono arrogati l’arbitrio (chiamato diritto) di interferire “oltre la soglia della camera nuziale”. Questo interferire, è orribile, si è schermato da sempre dietro “il volto benefattore”. Quali e quanti sono i volti benefattori di chiesa e Stato?
Intanto Stato e Chiesa, dicono, ciascuno nell’ambito della propria giurisdizione, legifera! Ma secondo la sensibilità evangelica la legge non dovrebbe poter decidere su fatti “personalissimi e singolarissimi” per il semplice motivo che se personalissimi non possono essere oggetto di regole generali ed astratte, cioè valide nei confronti di tutti e in tutte le circostanze: la generalità e l’astrattezza implicano la conseguenza abominevole che genitori e figli diventano “numeri”, fattispecie… e non più persone reali, singolari, speciali.
Chiesa e Stato legiferano?
Ma con questo stiamo per caso dicendo che Stato e Chiesa non possano regolare i rapporti tra coniugi e figli? diciamo semplicemente che, stante la singolarità della materia, la legislazione dovrebbe rivestirsi del massimo di delicatezza riducendo al minimo l’interferenza burocratica. Ma qua casca l’asino perché l’intervento della Istituzione avviene mediante organi burocratici che finiscono per invadere e strumentalizzare la qualsiasi non fosse altro che per dare significato e giustificazione al loro ruolo e alle loro retribuzioni: ovviamente avremo modo di segnalare anche le “eccezioni” dovute alle qualità personali di chi opera nel settore.
Ma intanto urge lanciare l’allarme! Allarme per fatti “bagnati di sangue” che la cronaca sbatte sotto gli occhi “abituati” e indifferenti: quanti sono gli omicidi e suicidi di persone appartenenti a alle categorie sociali più disparate (medici, carabinieri, militari… mai magistrati!) quanti i bambini suicidi per non avere sopportato la perdita di papà e mamma?
Quanti papà decidono di farla finita, frustrati per non avere più potuto esercitare la paternità? Nelle aule di giustizia, quando se ne parla, ne trattano con distacco e flemma disumana: mai che qualcuno entri in crisi per essere stato “strumento” sia pur indiretto di morte!


Mercoledì 19 Maggio,2010 Ore: 16:57
 
 
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Quando la famiglia va in crisi

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