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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Quale famiglia nel 3° Millennio? Riflessioni e proposte,di Giuseppe Castellese

Quale famiglia nel 3° Millennio? Riflessioni e proposte

di Giuseppe Castellese

Le riflessioni sul tema in questi ultimi tempi condivise con alcuni amici su fb o con il gruppo redazionale de “ildialogo.org” giornale in rete guidato da G. Sarubbi, mi inducono a mettere nero su bianco dato che a versare lacrime sulle disgrazie non si viene fuori. E dunque propositivi vogliamo esserlo non tanto per se stessi quanto per altri che dovessero imbattersi in esperienze dolorose analoghe alla tua. Propositivi e cercare e prospettare soluzioni.
Della famiglia in Italia
Stiamo parlando della catastrofe della famiglia in Italia ormai, almeno sembra ai nostri occhi, proprio tragedia senza fondo.
I pensieri, le tendenze emergenti, i soggetti politici e sociali orbitanti ad esempio intorno a economia o religioni, i laboratori di legislazione, dottrina e conseguente giurisprudenza o le opzioni interpretative ed applicative per dire la prassi del magistrato… che parte hanno avuto e stanno avendo nello sfascio della famiglia?
È bene precisare a questo punto che anche a ravvisare con meticolosa precisione (cosa che pure ci riserviamo di fare) le cause dello sfascio, sarebbe cosa fatua se nell’urgenza non provassimo a indicare, a segnalare, anche tra le pieghe della legislazione vigente, qualche spiraglio a tutela.
La legge fondamentale
Di solito quando si vuole parlare di famiglia e del suo “diritto”, si ritiene doveroso ma anche congruente partire dall’art.29 della Costituzione Repubblicana che così recita: la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
La considerazione “a pelle” è che la formulazione dell’art.29, appesantita da concezioni “naturistiche” da un pezzo superate, diventa riduttiva e poi lesiva degli stessi diritti fondamentali, inalienabili e imprescrittibili della persona umana: tali diritti, a ben guardare, risultano affievoliti anzi subordinati al “negozio matrimonio”. A nostro avviso perciò, con la sensibilità emersa soprattutto negli anni del dopo Concilio e della “rivoluzione culturale”, a fondamento della “sanità” di ogni organismo che si muove nel sociale (come suo specifico “brodo di coltura”) non può non essere assunto come “fondante” l’art. 3 Cost. Esso infatti, superando gli stereotipi del pensiero liberal-massonico di casta, enuncia solennemente che: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione, di condizioni personali e sociali”. I termini dell’art. 3 (sesso, razza, religione, opinione) sono certamente prese di distanza da concezioni illiberali e antidemocratiche e dalle stesse “organizzazioni” (chiesa, religioni in genere, stati fascisti o comunque totalitari) che di tali concezioni hanno fatto e talvolta continuano a fare loro baluardo e sostegno. Lo “Stato di diritto” nel quale ci pregiamo di vivere, dovrebbe non solo in teoria ma nei fatti di ogni giorno, nei fatti che fanno sanguinare le “ferite del cuore” di padri, madri e figli, dovrebbe potersi specchiare senza “urti scandalosi” nell’enunciato dell’art. 3 Cost.
Pari dignità ai due coniugi
E ancora più concretamente, se ci fossimo attenuti senza remore, senza strizzatine d’occhio tra poteri (chiesa, stato, politica, magistratura) all’enunciato “senza distinzione di sesso” per quanto riguarda la “società famiglia”, pensate quante “peripezie normative, interpretative, procedurali” si eviterebbero per riconoscere pari dignità ai due coniugi senza distinzione di genere.
La polemica, dacché il femminismo più esasperato ha iniziato la sua corsa alla subordinazione del “maschio”, tale polemica, e non solo, divampa dato che viene presentato come fatto dimostrato (e non come è, dato presunto) la violenza “sempre” e soltanto maschile.
E allora riconoscere, per diritto fondamentale, inalienabile, irrinunciabile (cioè come diritto “costituzionalmente garantito”) pari dignità ai due coniugi, avrebbe consentito di sorvolare le maratone interpretative ma viepiù applicative dei santoni (legislatori e magistrati) che volendo mostrare “distacco” da una concezione “patriarcale e maschilista” sono pervenuti, per una sorta di legge del contrappasso, a l’odierna prassi che “presuntivamente” considera la donna “anello debole” del sistema famiglia. E la donna è diventata per “moda cavalleresca” o per “solidarietà di genere” la esclusiva “vittima” di violenza: il che non ha fondamento serio nella realtà.
La umanizzazione nelle separazioni
Nello Stato di diritto non vigono le presunzioni, quindi, fatti salvi i casi chiaramente patologici (ma anche in questo caso non c’è patologia di genere) risulta fortemente auspicabile una umanizzazione tesa a non trattare separazioni e divorzi alla stregua di serie numeriche amorfe, impersonali, asettiche.
Non è facile provare l’assunto della concreta disparità di trattamento a vantaggio della donna ma un aiuto ci viene dall’analisi di due articoli del c.p. (art.570 ed art.388): questi, quando applicati a margine di separazioni e divorzi, mostrano di tutelare con diversa intensità il filone economico dall’altro relazionale:
-l'art. 570 c.p. presta tutela diretta (la sanzione scatta non a querela di parte) sanzionando il genitore che abbia fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli (punto 2 del’art.570): come evidente, qui la tutela riguarda il profilo economico;
-l’art. 388 c.p. viene esaminato limitatamente al diritto relazionale (diritto del padre ma soprattutto del figlio a frequentarsi). Interessante notare come in questo caso, qualora si eluda l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento di minori, la sanzione dovrebbe scattare quando il soggetto obbligato non ottemperi all’ingiunzione di eseguire la sentenza. Dovrebbe! Perché nei fatti ciò avviene rarissimamente dato che il magistrato, per una sorta di cultura invalsa (favor rei?) a favore del genitore affidatario che, come vedremo di seguito, nell’87% dei casi è la madre, lascia correre. E dunque la tutela del diritto del minore, quando si realizza, risulta “mediata”: viene tutelato non il diritto del minore o del genitore ma “il diritto dell’Autorità Giudiziaria a che gli ordini da essa emanati vengano rispettati”. E confermiamo che il magistrato (salvo casi rarissimi) non prende iniziativa per la tutela “del diritto dell’Autorità Giudiziaria medesima” e che pertanto la lesione del diritto relazionale del minore e del genitore restano non tutelati. Evidente conclusione è che il minore non ha un diritto pariteticamente tutelato.
Le statistiche a spiegazione dei fenomeni
L’enunciato ora provato della diversità di tutela tra i due filoni economico e relazionale ci direbbe quasi nulla sull’assunto iniziale della “disparità di trattamento” tra uomo e donna: anzi il nudo fatto (l’inadempienza e le prevaricazioni violente in massima parte del coniuge maschio) ci parlerebbe di una sostanziale equità di trattamento… se qualcuno invece, acuendo l’ingegno (il bisogno che crea l’organo!), non avesse fatto rilevare la sostanziale mendacità del quadro.
-         se, secondo statistiche ISTAT, nell'oltre 87% dei casi, genitore affidatario risulta essere la madre, non si pone il caso, o è percentualmente irrilevante, che la madre debba versare un assegno all'ex coniuge e che, quindi, possa astenersi dal farlo!
-         se poi il padre risulta affidatario nel 13% dei casi, salta agli occhi che non potrà avere rilievo il fatto che eventualmente  questo 13% ostacoli i rapporti madre figli. E questo per dirla tutta, la verità!
-         Viceversa saranno ovviamente straripanti i casi in cui il padre soffrirà le macchinazioni della madre, affidataria all’87%, tese ad ostacolare la fruizione del diritto del minore e del padre a stare insieme (meglio “a crescere”, dato che il figlio, ma anche il padre, per crescere ha bisogno di entrambi i genitori).
È quest’ultimo il caso in cui vengono negate “disumanamente” le legittime aspettative di relazionarsi di figlio e padre: come si fa a non vibrare di sdegno quando si constata che non viene riconosciuto il diritto leso di entrambi i soggetti (il genitore ha diritto al figlio, ma soprattutto il figlio ha diritto anche all'altro genitore) e, con faciloneria (vogliamo usare termini indulgenti), vengono accolte le istanze di chi i figli li vuole “giocattoli” in proprietà esclusiva?! Ma come è possibile che uomini giurisperiti possano lasciar correre queste “mostruosità” sotto la rubrica “tutela dei minori”? Possibile che, nella patria del diritto, l’iniquità consumata ai danni della relazione tra genitore e figlio, assurga ad atto perfettamente legale? In questi casi, sconsolati, possiamo concludere che ci troviamo in un paese in cui il Diritto non riconosce i diritti… e non possiamo non dire che questa è cosa gravissima che grida vendetta specialmente quando le innumerevoli lamentele per incontri negati, solitamente vengano “paciosamente archiviate” dai nostri uffici giudiziari.
Ci siamo ritrovati in questi ultimi tempi a dissertare sul termine “martire” ove, secondo dizionario, al di là del momento alto (martire della fede!) sussiste il significato, nel nostro caso non tanto più banale, di “persona che subisce la situazione penosa” E dunque, sulla base dei precedenti dati vogliamo gridare che nei rapporti tra coniugi e figli, oltre i figli, il “martirio” stia non tanto dal lato di “madonna” poiché è il padre, il più delle volte, a configurarsi come “coniuge abbandonato e solo”..
Certo non possiamo rimpiangere i tempi precedenti a questo divorzio, in cui “tutto veniva allagato tra le quattro mura domestiche” ma neppure possiamo dirci felici, oggi che è esploso tra coniugi il “contenzioso selvaggio” che organi di tutela burocratizzati non sanno o, peggio, non vogliono arginare.
Di gravità in gravità le responsabilità del sistema giustizia
La disparità di trattamento (genitori separati dai figli) ma soprattutto il percepire come tale iniquità nel sistema diventi “perfettamente legale”,genera psicopatologie che sfociano, quando il peso della disperazione diventa insopportabile in atti di violenza:
l'uomo che non può vedere i figli uccide e si uccide! questo perché negli ultimi tempi emerge (e ci dovrebbe rallegrare!) una maggiore consapevolezza per la condivisione nelle diverse fasi di crescita della prole. Ma l’evoluzione della genitorialità nell’uomo (nel caso di separazione diventa drammaticamente ed insostenibilmente doloroso accettare che il ruolo paterno venga cancellato) infastidisce e si vorrebbe tacciarla come regressività. Ed ecco il quadretto a commento:
la tigre alla quale vengono tolti i cuccioli azzanna! e questo da sempre. Nessun etologo si sogna di accusare la tigre di essere conflittuale o non collaborativa, poiché si capisce che la colpa della disgrazia non è della tigre, ma dello sprovveduto che prova a toglierle il cucciolo.
Nella nostra cultura fino ad ora (storicamente) aveva azzannato solo la madre, perciò ci stupisce che oggi azzanni anche il padre.
Soggetti deboli e non
Nelle separazioni il soggetto debole per antonomasia non figura nella lista dei suicidi. E invece stiamo vedendo che è proprio il “convenzionalmente soggetto forte” che viene spinto in un vortice destabilizzante e irrisolvibile tale che lo porta, sempre più spesso, a togliersi la vita. Qui, come è evidente, salta la presunzione che il semplice fatto di non appartenere al genere femminile garantisca impermeabilità alla disperazione da perdita della prole.
Le madri soffrono e si disperano se private dei figli; i padri per secoli non hanno sofferto… e invece, chissà perché, oggi soffrono come e più delle madri.
La logica giuridica che persevera nell'affido esclusivo e nella difesa ad oltranza del genitore affidatario ha prodotto danni - vogliamo sperare - preterintenzionali: forse si è ritenuto, così facendo, di proteggere i “soggetti deboli” dimenticando che, per l’art.3 Cost., la pari dignità dei coniugi implica che compito ed obiettivo di una sana democrazia è quello di eliminare la condizione di soggetto debole e non di sostituirlo con altri. La pari dignità dei coniugi (traducibile in “pari opportunità” non di genere) implica non tanto la individuazione di un soggetto debole ma l’attuazione effettiva del diritto dei figli alla “bigenitorialità” che poi è quanto da anni vanno sostenendo eserciti di neuropsichiatri infantili.
La logica giuridica e la logica dei bambini
A corollario di quanto sopra esposto, vogliamo confortarci ricorrendo alla logica dei bambini, vero fulcro di tutta la questione.
Se io chiedo a un bambino, ancora non travolto dalla guerra tra papà e mamma, quale dei due genitori preferisce, inequivocabilmente il bambino risponde: “tutti e due”. E se si chiede a chi dei due vuol bene di più, il bambino non esita un istante: “vuole bene tutti e due allo stesso modo”. Ciò rivedo perché lo sperimentavo con mio figlio bambino!
E dunque se chiediamo a un bambino se il fatto relazionale (lo stare insieme) o il fatto economico (l’avere i soldi) riveste maggiore importanza, egli risponde che è più importante potere stare insieme! Questo indirizzo così semplice per un bambino, è diventato “farraginoso e mostruoso” (quasi si volesse giocare al massacro sulla pelle degli innocenti) sia per il legislatore che per il magistrato.
 
Abozzo di “riforma”
Non possiamo sentirci contenti senza avere tentato la coerenza con il primo titolo: proposte!
Proposte che, proprio perché fatte di getto come sentimenti scatenati ci suggeriscono, non sono da pigliare a cuor leggero o parimenti respingerle! Vogliamo stimolare la capacità di riflessione, lo spremersi delle meningi che, in persone che soffrono, possono indurre intuizioni, soluzioni altre volte considerate oggettivamente impensabili ed inesprimibili. Apriamo qui una sorta di dibattito che faccia tesoro non solo delle capacità di raziocinio, delle tecniche giuridiche, delle competenze professionali, ma anche delle esperienze del cuore, del cuore sanguinante di questa povera nostra famiglia agli sgoccioli, che sono i figli! In nome dei figli bisogna rischiare, frantumarsi le ossa, coniuge di fronte a coniuge resistere contro ogni tentazione di fuga, di presunta liberazione. Abbiamo una legge che non favorisce nello stesso scontro l’incontro sempre possibile nell’amore per i figli? Superiamo la legge, trasformiamola! Vogliamo “salvare” i figli nella famiglia! Chi ci potrà fermare? Chi si sentirà di farlo?
Due piccole premesse
1)      è risaputo che l’ingerimento pesante della religione nel referendum sulla legge di divorzio, provocò una radicalizzazione del problema con un inasprimento del contenzioso (come sempre avviene quando il mondo clericale dimentica il Vangelo e si intrufola tra le lenzuola del talamo coniugale). E così una legge che avrebbe dovuto portare l’equilibrio sano a sostegno della famiglia, espose la famiglia, divenuto terreno di scontro, agli estremismi di quanti, nei fatti tolsero ogni limite alla volontà distruttiva. Sta di fatto che (lo stiamo sostenendo ed approfondendo) la legge sul divorzio in Italia risulta “lassista”, permissiva più delle leggi (vedi USA) più avanzate perché in esse “sottese” esperienze di più antica democrazia.
2)      fatto il danno le “agenzie” che più si dettero da fare nell’orientare verso il “no totale” al divorzio, oggi se ne stanno acquattate a guardare sornione forse speranzose di una rivincita quando lo sfascio sarà totale? Difficile pensare tanta diabolicità ma non vedo altra risposta dinanzi alla “indifferenza” verso la più volte segnalata sofferenza del “popolo di Dio”. E comunque speranza vuole che l’aggravarsi esponenziale della situazione possa favorire l’aggregarsi di parti sociali e politiche che in passato si fronteggiarono e scontrarono soprattutto sul piano ideologico. Aggregarsi perché, come è chiaro, va salvata la “valenza costituzionale” della legge di tutela della famiglia. Va salvaguardata altresì la “immediatezza” della legge riformata tale da potere contare su chiarezza procedurale ed applicativa e quindi su una magistratura disposta ad umanizzarsi e vedere oltre le apparenze burocratiche standardizzate.
Due rimodulazioni della fattispecie separazione
1) Ipotesi: separazione di coniugi in età feconda con figli minori
a) quando a richiedere separazione sono entrambi i coniugi, il giudice, sentite le ragioni dei figli minori, accertato inequivocabilmente il venir meno della comunione spirituale e materiale tra i due, può pronunciare separazione e, nei termini di legge, scioglimento del matrimonio con attribuzione del domicilio coniugale ai figli minori mediante supervisione di curatore appositamente designato. E ciò al fine di farli attori e gestori dell’affido condiviso a norma della apposita legge.
Fatta eccezione di quanto sopra disposto in ordine al domicilio coniugale, la fruizione e disponibilità di diritti personali e patrimoniali resta regolata dalla normativa vigente.
 
b) quando a richiedere la separazione è uno solo dei coniugi, il giudice, sentito l’altro coniuge e le ragioni dei figli minori, accertato inequivocabilmente il venir meno della comunione spirituale e materiale tra i due, può pronunciare separazione e, nei termini di legge, scioglimento del matrimonio. In tale caso la parte attrice dovrà comunque lasciare all’altra parte la disponibilità esclusiva del domicilio coniugale e ciò fino a quando la medesima non pervenga a nuove nozze. Il giudice pronuncerà altresì, a norma della vigente legge, affido condiviso dei figli minori.
Fatta eccezione di quanto sopra disposto in ordine al domicilio coniugale, la fruizione e disponibilità di diritti personali e patrimoniali resta regolata dalla normativa vigente.
2) Ipotesi: separazione di coniugi senza figli con convivenza trentennale ed età superiore ai 60 anni
Il giudice, a richiesta anche di un solo coniuge, può pronunciare separazione tra i coniugi e, nei termini, lo scioglimento del matrimonio quando abbia accertato inequivocabilmente il venir meno della comunione spirituale e materiale tra i due. In tale caso la parte attrice dovrà comunque lasciare all’altra parte la disponibilità esclusiva del domicilio coniugale e ciò fino a quando la medesima non pervenga a nuove nozze.
Fatta eccezione di quanto sopra disposto in ordine al domicilio coniugale, la fruizione e disponibilità di diritti personali e patrimoniali resta regolata dalla normativa vigente.

Giuseppe Castellese



Venerd́ 21 Maggio,2010 Ore: 23:05
 
 
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