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www.ildialogo.org Questo presepe non mi piace,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Questo presepe non mi piace

di Giovanni Sarubbi

Per il premier inglese David Cameron, con l’uscita del Regno Unito, c’è «un rischio di guerra» in Europa (la Repubblica, 10 maggio 2016).
A credere al giornalista francese Georges-Marc Benamou, nei suoi ultimi anni François Mitterrand era persuaso che lo scontro tra Europa e Usa fosse inevitabile: «La Francia non lo sa, ma noi siamo in guerra con l’America. Sì, una guerra permanente, una guerra economica, una guerra senza morti apparentemente. Sì, sono durissimi gli americani, sono voraci, vogliono un potere totale sul mondo. È una guerra sconosciuta, una guerra permanente, una guerra senza morti e però una guerra a morte».
Parto da queste due affermazioni tratte dall’articolo “Una Brexit per il bene dell’Europa”, scritto da Marco d’Eramo per MicroMega 4/2016[1].
La Brexit, come la vicenda elettorale amministrativa appena conclusa con la sconfitta del PD in alcune grandi città come Roma e Torino, e come la prossima scadenza referendaria sullo stravolgimento costituzionale realizzato dal governo Renzi, vanno lette nell’ambito della guerra che, lo ripetiamo oramai da ben 769 settimane, è in corso dal lontano 11 settembre 2001 e non si vede ancora la sua fine.
L’unica cosa certa, sicura, incontrovertibile è che la guerra continua e che anzi altri elementi di tensione economico-politico vengono creati per favorire la guerra. La guerra alimenta se stessa. La Brexit va in questa direzione. Le vicende interne italiane vanno in questa direzione. L’uomo solo al comando è funzionale alla guerra, chiunque egli sia se non mette in discussione le basi su cui si regge l’attuale sistema sociale che ha oramai concentrato la ricchezza mondiale in pochissime mani, poco meno di un centinaio di persone.
Ho letto in questi giorni commenti entusiastici per i risultati elettorali che hanno portato i Cinque Stelle al governo di città importanti come Roma e Torino. Analisi altrettanto entusiastiche sono state scritte per la Brexit sia da parte dell’estrema destra, sia da parte di organizzazioni dell’estrema sinistra che, sul punto dell’uscita dall'Europa, convergono.
La vittoria dei 5Stelle a Roma è certo, sul piano interno, la più emblematica perché si tratta della capitale d’Italia ed assume quindi un forte valore simbolico.
Se da queste vittorie alle comunali potrà discendere una vittoria, anche sul piano nazionale, alle prossime elezioni politiche per il Movimento 5 stelle, è una questione tutta da verificare. Così sono tutte da verificare le conseguenze che potranno discendere a livello europeo dall’uscita della Gran Bretagna dall’UE sancito dal referendum del 23 giugno scorso.
In realtà è l’inizio di un percorso. Ci vorranno dai 2 ai 10 anni per capire come andrà e non è detto che l’uscita della GB sia automatica, come lasciano intendere i commentatori più entusiastici, sia quelli sostenitori dei partiti euroscettici, xenofobi, razzisti e di estrema destra, sia quelli di segno opposto.
E questo perché, come rileva Marco d’Eramo nell’articolo citato, l'Inghilterra non è nuova a forme di ostruzionismo nei confronti dell’Unione Europea, e non è improbabile che quella del referendum sia una forma di pressione ulteriore nei confronti dell’UE per trattare da una posizione di forza.
Inutile quindi gridare alla vittoria o piangere per la sconfitta visto che il gioco è nelle mani di altri, che useranno le loro carte come meglio ritengono opportuno e non certo seguendo il volere espresso col referendum dal popolo inglese. La vicenda greca a tale proposito è istruttiva. Il popolo votò NO all’accordo proposto dalla Troika, su indicazione del governo, ma poi lo stesso governo ha fatto un accordo peggiorativo di quello sottoposto a referendum.
Il problema di fondo è quello di chi esercita il potere e a favore di chi questo potere è esercitato. E non ci sono, a livello europeo, governi che esercitano il potere a favore dei poveri e dei diseredati.
Il problema è sempre quello di capire quali interessi economici e politici vengono rappresentati dai vari partiti e qual è il loro peso reale nelle decisioni dei governi.
C’è chi grida alla vittoria per il Brexit, pur non contando nulla né sul piano politico, nel senso che non è in grado di influenzare neppure lo 0,1% dell’elettorato, né su quello economico. Se c’è una rottura, pensano queste persone contente della Brexit, c’è possibilità di cambiamento, si scateneranno contraddizioni e forse ci potranno essere dei cambiamenti di cui anche noi, piccola formazione politica marginale, potremmo approfittare. Certo la rottura è preferibile all’immobilismo, ma chi gestirà la rottura? E fra quelli che sono gli attuali oppositori al sistema sociale che si sarebbe rotto, chi ha la strategia e la linea politica in grado di dirigere il movimento a favore delle grandi masse dei diseredati, dei senza lavoro, degli impoveriti, che sono la stragrande maggioranza della popolazione mondiale? E chi attualmente grida all’opposizione contro i “poteri forti”, senza però mai dire il loro nome e cognome, riuscirà a resistere alle polpette che questi poteri forti gli butteranno? O forse grida di più affinché queste polpette gli arrivino prima? È una storia, quest’ultima, che abbiamo già vissuta sia nella nostra storia passata (penso a Benito Mussolini che nel 1914 passò, nel giro di qualche settimana, dall’essere contrario alla partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale, al suo sostegno alla guerra, realizzato attraverso la pubblicazione di un nuovo quotidiano, Il popolo d’Italia, finanziato dagli ambienti industriali e finanziari favorevoli alla guerra.), sia nella nostra storia recente, vedi vicenda Bossi-Lega Nord. Più si è populisti, più colpi di scena e contorcimenti e salti della quaglia dobbiamo aspettarci.
L’importante è non perdere i propri punti di riferimento ideali e la propria condizione sociale. Il lavoratore con il lavoratore, il capitalista con il capitalista. Chi sfrutta non può avere nessuna solidarietà da chi lui sfrutta.
Io per lo meno faccio così. E così, per il momento e in attesa di ulteriori elementi di valutazione, se una cosa fa piacere a Salvini e compagni, a me non piace; se una cosa fa arricchire chi possiede oro o azioni o valute estere, a me non piace (vedi caduta della borsa dei giorni scorsi); se una cosa produrrà licenziamenti a catena, a me non piace; se una cosa è a favore della guerra, a me non piace; se una cosa è finalizzata a ridurre ancora di più il numero di persone che oggi detengono la grande maggioranza della ricchezza mondiale, a me non piace perché significa ulteriore impoverimento per la grande maggioranza della popolazione. Questo “presepe sociale”, come direbbe Eduardo, a me non piace.
Giovanni Sarubbi
NOTE



Domenica 26 Giugno,2016 Ore: 11:46
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 27/6/2016 21.43
Titolo:
Ciao Giovanni,
                  L’importante è non perdere i propri punti di riferimento ideali e la propria condizione sociale. Il lavoratore con il lavoratore, il capitalista con il capitalista. Chi sfrutta non può avere nessuna solidarietà da chi lui sfrutta. Parto da questa bellissima affermazione - che considero centrale nel tuo editoriale - per una breve riflessione su quanto scrivi, che, come al solito, con grande intelligenza cerca di individuare il nucleo più nascosto di quanto accade di apparentemente straordinario. Oggi pochissimi centri di potere - dalla grande finanza alle industrie militari ai detentori dei media - controllano ogni giorno di più tutto. Naturalmente non si fanno scrupolo sui mezzi da usare, dalle guerre (ancora gli strumenti più efficaci) alla deprivazione del necessario nei confronti di popoli interi, all'abbattimento dello stato sociale, allo stravolgimento delle Carte Costituzionali, garanti dei diritti dei più deboli. I politici, come il Matteo di Rignano, si accodano ubbidienti. La Brexit è solo un piccolo - seppur significativo - episodio. Oggi tutti i potenti sembrano strapparsi le vesti e dichiararsi sorpresi e indignati: ma non è quello che volevano? Mi sembra impossibile che tutti siano stati così sprovveduti da non prevedere una vittoria del Leave a meno che, come dicevano i buoni Latini, Zeus excaecat quos vult perdere. Ho una sola riserva sul tuo editoriale, quella di un giudizio troppo duro sul populismo. Sono d'accordo che può avere risvolti reazionari e chiaramente di estrema destra - vedi Farage, Marine Le Penn e il nostro Matteo padano - ma credo anche che in esso si manifesti un profondo senso di impotenza dei cittadini di fronte all'espropriazione di democrazia e di diritti, cui quotidianamente sono sottoposti. Con amicizia
Mauro Matteucci

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