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www.ildialogo.org Se Dante č razzista lo sono anch'io,di Renata Rusca Zargar

Editoriale
Se Dante č razzista lo sono anch'io

di Renata Rusca Zargar

Alcune considerazioni sulla fantasiosa uscita di una sedicente agenzia collaboratrice internazionale per i diritti umani che afferma essere Dante razzista, islamofobo, ecc.


 “Leggere Dante è dovere, rileggerlo necessità, sentirlo presagio di grandezza.

(Niccolò Tommaseo)

Ho letto con “moderato stupore” la notizia che 'Gherush92', organizzazione di ricercatori e professionisti consulente speciale con il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, ha definito la Divina Commedia un’opera dai "contenuti razzisti, islamofobici e antisemiti. “La Divina Commedia – ha spiegato all'Adnkronos Valentina Sereni, presidente di Gherush92 - pilastro della letteratura italiana e pietra miliare della formazione degli studenti italiani presenta contenuti offensivi e discriminatori sia nel lessico che nella sostanza e viene proposta senza che via sia alcun filtro o che vengano fornite considerazioni critiche rispetto all'antisemitismo e al razzismo''.

Dico moderato stupore perché, già una decina d’anni fa, avevo ascoltato con attenzione le contestazioni rivolte all’affresco del 1400 di Giovanni da Modena rappresentante l’Inferno e, in particolare, la punizione del (per Dante) seminatore di divisioni Maometto. Alcuni musulmani, appoggiati, però, anche da personalità quali Francesco Cossiga, che ne aveva chiesto addirittura la rimozione, si sentivano offesi, forse, dal fatto che nel 1400 non avessero previsto che loro sarebbero andati a visitare le chiese di Bologna sei secoli dopo.

Insegno Dante da moltissimi anni con grande amore e passione. Certo, non ho il fascino né la notorietà di Benigni, ma, nel triennio del mio Liceo, in particolare, leggo e spiego la Divina Commedia (Inferno in terza, Purgatorio in quarta, Paradiso in quinta) per un’ora la settimana, per tutto l’anno scolastico. Nella scuola italiana, Dante viene presentato agli studenti dai docenti e i libri di testo offrono numerosi e diversificati commenti critici. Non credo che qualcuno lo legga per conto proprio, in quanto di difficile comprensione sia per la lingua che per i contenuti. Quindi, c’è sempre la mediazione e la storicizzazione dell’educatore. Devo rilevare con dispiacere, però, in base alle mie esperienze, che alcuni professori tendono a diminuire il tempo dedicato a Dante. E sbagliano, secondo me. Dante, prima di tutto, è un modello di vita da proporre ai giovani: impegnato nella sua città, mai schiavo del potere, ha pagato di persona con l’esilio per tutta la vita. Quando avrebbe potuto tornare nella sua amatissima Firenze, ha rinunciato, perché avrebbe dovuto chinare il capo davanti all’ingiustizia. Nessuno come lui, secondo me, incarna il dovere morale, la serietà, il sacrificio, la responsabilità, persino la capacità di trattare, nelle cose pubbliche, gli amici come i nemici! Ha rappresentato male gli ebrei? Come dico sempre ai miei alunni, noi non possiamo attribuire a persone di altri secoli il nostro pensiero: sarebbe poco realistico acquisire i contenuti di un’opera letteraria dei primi anni del 1300 come se Dante fosse un uomo del 2000. Speriamo anche che l’umanità abbia fatto un po’ di cammino da allora! Inoltre, la Divina Commedia è un’opera creativa (di fantasia): Dante è andato davvero all’Inferno? Ha davvero visto ciò che c’è laggiù? Siamo proprio sicuri che ai nostri antipodi ci sia la montagna del Purgatorio? Inoltre, la Chiesa come ne esce? Papi all’Inferno, decadenza degli ordini monacali... E come si spiega un Catone suicida guardiano del Purgatorio, e il Saladino - musulmano- tra gli “Spiriti Magni” del Limbo (per il quale nessuno protesta!)?

Dante è anticonformista (per il suo tempo) e mira a rappresentare il suo mondo: il dolore di un’Italia che non esiste ma che non perde occasione di combattersi sanguinosamente, la corruzione e la confusione dei poteri temporale e spirituale. Egli, cristiano credente, respira un universo cristiano medioevale: forse che possiamo criticarlo perché non usava il frigorifero o la lavatrice?

“Dante rimane soprattutto poeta, anche se per i suoi interessi mentali e per le esigenze dell’età tende ad apparire una quantità di altre cose e perfino scienziato. Egli si può senz’altro definire un : ma in quanto creatore non già di un astratto mondo geometrico, bensì di un fantastico e appassionato mondo poetico.” (da “L’Inferno di Dante”, Giovanni Buti, Edizioni C.E.L.I. Bologna)

Certo, oggi si trovano spesso ragazzi (e adulti) razzisti, sessisti, omofobici… Ma la maggior parte di loro proviene da scuole (o non frequenta scuole) dove Dante non viene neppure letto. Forse, i razzisti, oggi, si ispirano, più che a Dante, a partiti che usano addirittura i simboli delle crociate, chissà, o che dividono l’umanità in bianchi e neri (che puzzano), che hanno fatto della presunta virilità una bandiera, che ritengono le donne oggetti da utilizzare…

Invece, la donna di Dante è non solo bella ma buona, avvicina l’uomo a Dio, lo innalza, lo rende consapevole, in sua presenza non si possono neppure compiere azioni malvagie. Non sarebbe utile che a lei si ispirassero quelle fanciulle, che vanno oggi per la maggiore, appassionate di turpiloquio e che fanno gioiosamente merce di scambio dei loro attributi?

Mi chiedo, inoltre, quale sia il contributo economico percepito dalla commissione che ha presentato agli Organismi internazionali valutazioni tanto sensazionali: sarebbe auspicabile, trattandosi di questioni di grande interesse formativo e culturale, oltre che nazionale, la trasparenza e la divulgazione degli emolumenti di tale commissione.

Sarebbe anche auspicabile esaminare obiettivamente i libri di storia, che non dovrebbero essere fantasiosi né scritti prima che l’Illuminismo ci insegnasse lo spirito della ricerca (!), e verificare quanto siano islamofobi e poco dettagliati sulla denigrazione, la persecuzione e il genocidio degli ebrei, ad esempio.

Infine, se studiare Dante è essere razzisti, omofobi, islamofobi, antisemiti, allora voglio esserlo anch’io! L’alternativa sarebbe assomigliare a quei talebani che, per “difendere l’Islam”, hanno fatto saltare in aria, nel 2001, un patrimonio storico-artistico dell’umanità tutta, cioè i  Buddha di Bamiyan, due enormi statue scolpite nelle pareti di roccia della valle di Bamiyan, in Afghanistan: una delle due statue era alta 38 metri e risaliva a 1800 anni fa, l'altra era alta 53 metri e aveva 1500 anni.

Prof.ssa Renata Rusca Zargar

Savona


Su Dante leggere anche uno dei nostri Quaderni di teologia dal titolo: L’Arca dell’Alleanza del Logos e il codice di Melchisedech
La Fenomenologia dello Spirito… dei “Due Soli”.
Ipotesi di rilettura della “Divina Commedia”.
di Federico La Sala



Lunedě 19 Marzo,2012 Ore: 09:32
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2012 15.33
Titolo:LA COMMEDIA E' LA COMMEDIA DI "ADAMO", DELL'UMANITA' INTERA
LA COMMEDIA E' LA COMMEDIA DI "ADAMO", DELL'UMANITA' INTERA, (DI OGNUNO E DI OGNUNA DI NOI ...

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La Commedia di ognuno di noi

di Carlo Ossola (Il Sole -24 Ore, 18 marzo 2012)

Siamo stati formati dalla critica a pensare alla Divina Commedia come «viaggio a Beatrice» (così suona il titolo del celebre saggio di Charles S. Singleton, Journey to Beatrice, 1958). Il fedele d’Amore mantiene la promessa che chiudeva la Vita nova: «Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei». Beatrice appare nel Paradiso Terrestre, al sommo della montagna del Purgatorio, ivi trionfa e ivi nomina, per la prima volta nella Commedia, Dante: «Quando mi volsi al suon del nome mio, / che di necessità qui si registra» (Purg., XXX, 62-63). La teoria romantica che da Rossetti a Gourmont ha ispirato la lettura del poema trova qui il suo sigillo.

Ma molti ostacoli presenta tuttavia una lettura siffatta: il primo ed evidente è che Dante si fa lì nominare per essere aspramente rimproverato da Beatrice: «Dante, perché Virgilio se ne vada, / non pianger anco, non piangere ancora; / ché pianger ti conven per altra spada» (Purg., XXX, 55-57). Anche a voler ammettere che Dante si pieghi a un gesto di umiltà, e poi ascenda gloriosamente con Beatrice al Paradiso, sul più bello - come si dice in maniera colorita ma calzante - Dante si fa poi abbandonare da Beatrice: «Uno intendëa, e altro mi rispuose: / credea veder Beatrice e vidi un sene / vestito con le genti glorïose» (Par., XXXI, 58-60).

La guida al mistero e alla visione finale sarà san Bernardo: su questo "transito" Jorge Luis Borges ha scritto pagine finissime e non resta che rinviare ai suoi Nove saggi danteschi. L’ipotesi romantica rimane monca e toglie anzi grandezza al «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par., XXV, 1-2), toglie spessore alla lettura allegorica del testo che Dante difende spiegando, nell’Epistola a Cangrande, e citando nel poema il salmo In exitu Isräel de Aegypto (Purg., II, 46).

Occorre prendere sul serio il testo e ritornare a una ipotesi già avanzata dal Boccaccio e dai primi commentatori e ripresa nel Novecento da Ezra Pound: «In un senso ulteriore è il viaggio dell’intelletto di Dante attraverso quegli stati d’animo in cui gli uomini, di ogni sorta e condizione, permangono prima della loro morte; inoltre Dante, o intelletto di Dante, può significare "Ognuno", cioè "Umanità", per cui il suo viaggio diviene il simbolo della lotta dell’umanità nell’ascesa fuor dall’ignoranza verso la chiara luce della filosofia» (E. Pound, Dante, in Lo spirito romanzo, 1910). Se il protagonista del viaggio è «Everyman», non è più necessario attribuire a Dante viator l’esperienza eccezionale di una visione mistica, ma di riconoscere in lui il volto di Ognuno: per questo «la Commedia di Dante è, di fatto, una grande sacra rappresentazione, o meglio, un intero ciclo di sacre rappresentazioni» (ivi).

La lettura di Pound incontra, dicevamo, la chiosa che il Boccaccio propone sin dall’apertura delle sue Esposizioni sopra la Comedia di Dante, estrema opera della sua vita, suggerendo che non solo da Beatrice Dante si faccia nominare, ma soprattutto da Adamo al sommo del Paradiso: «L’altra persona, alla quale nominar si fa, è Adamo, nostro primo padre, al quale fu conceduto da Dio di nominare tutte le cose create; e perché si crede lui averle degnamente nominate, volle Dante, essendo da lui nominato, mostrare che degnamente quel nome imposto gli fosse, con la testimonianza di Adamo; la qual cosa fa nel canto XXVI del Paradiso, là dove Adamo gli dice: "Dante, la voglia tua discerno meglio", eccetera».

Ora precisamente Boccaccio adotta una lezione, per Par., XXVI, 104, trádita dai più antichi codici (il Landiano, 1336, il Trivulziano, 1337, e molti altri) e confermata dagli antichi commentatori, da Pietro Alighieri, alle Chiose ambrosiane, a Francesco da Buti; lezione che cambia profondamente il senso del poema, poiché ora - nominato da Adamo - Dante non è più solo il fedele d’Amore, ma è il «novello Adamo» di un’umanità redenta, come riassume, nel suo commento, Pietro Alighieri e, con raffinata pertinenza, ribadiscono le «Chiose ambrosiane» (da situare intorno al 1355; traduco dal bel latino): «Dante - Qui il poeta si fa nominare dal primo uomo che impose il nome a tutte le cose e senza quella excusatio alla quale ebbe a ricorrere nel Purgatorio ove disse: "Che de necessità qui se registra". Nota quindi che il poeta mai volle essere nominato nell’Inferno, e neppure nel Purgatorio nei luoghi ove si purgano i vizi, ma concesse di farsi nominare fuori dalle cornici dei vizi, sebbene dovendosi scusare (tamen cum excusatione). Ma in Paradiso senza doversi scusare, come appunto qui - essendo l’opera ormai quasi compiuta - e dopo che, esaminato, aveva fatto professione delle virtù teologali».

Quando parallelamente si osservi il comportamento di Boccaccio copista, in particolare nell’esemplare «Chigiano L VI 213 (= Chig), di mano del Boccaccio, che lo trascrisse non molto avanti la nomina a lettore di Dante, nell’agosto del 1373» (G. Petrocchi, I testi del Boccaccio, in La Commedia secondo l’antica vulgata), si dovrà concludere che anche lì un codice Chig «il quale si impone sugli altri con la qualifica di edizione ultima e definitiva del testo dantesco» (Petrocchi) mantiene la lezione «Dante, la tua voglia discerno meglio» (nel ms. a p. 330; ringrazio di cuore Rudy Abardo per il prezioso riscontro filologico e Marisa Boschi Rotiroti per la sollecitudine) con perfetta coerenza alle ragioni enunciate nelle contigue Esposizioni.

Si tratta dunque di ritornare alle origini, non solo agli autorevolissimi manoscritti che inscrivono: «Dante» o «da- te» e non «da te» (lezione minoritaria), come ha adottato il Petrocchi e con lui - snervando il vigore del testo - le edizioni moderne della Commedia («Indi spirò: "Sanz’essermi proferta / da te, la voglia tua discerno meglio"»); e di riconoscere che - nell’eliminare Dante nominato da Adamo - non si è fatta solo una "rimozione" a favore di una lettura meramente amorosa del poema, ma si è privato il testo stesso di quella grandiosa e universale coralità che Dante voleva conferire al proprio viaggio. Poiché, qui, Dante non è più il poeta della Vita nova, ma l’autore del «poema sacro»; egli è ormai, e per sempre, Everyman, il "novello Adamo" dell’umanità redenta, sì che dal «padre antico» (Par., XXVI, 92) possa ricevere la più alta consacrazione.

Occorre insomma pensare alla Commedia, come a «l’albero che vive de la cima» (Par., XVIII, 29); che si compie nella "nuova Genesi" del Paradiso di Gloria, come ben vide Giovanni Getto, sin dal 1947, sottolineando «cotesto epos della vita interiore come esultanza delle spirito elevato verso le cime vertiginose della partecipazione al Dio della gloria e dell’eterno» (Poesia e teologia nel «Paradiso» di Dante, in Aspetti della poesia di Dante); ma anche come partecipazione dell’umanità tutta alla speranza della Resurrezione della carne della storia e dei corpi, che ansiosamente i beati in Paradiso attendono («Come la carne glorïosa e santa / fia rivestita, la nostra persona / più grata fia per esser tutta quanta», Par., XIV, 43-45).

Così dunque, in questa quotidiana coralità di Everyman, è da proporre al XXI secolo la Divina Commedia, bene comune non dell’Italia soltanto, ma dell’umanità intera; e sempre così è stata intesa, dai primi commentatori al Boccaccio, come il poema al quale bussare e attingere per avere accoglienza, ospitalità, conforto. Lo testimonia ancora, al portale di un palazzo di Cannaregio il battente dantesco, e i tanti uomini che in nome di Dante, e leggendo il suo poema, hanno sfidato la barbarie, da Osip Mandel’štam a Primo Levi. Ogni giorno, Dante è davvero tutti noi.

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