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www.ildialogo.org Per combattere il cambiamento climatico serve una rivoluzione della consapevolezza,di Letizia Tomassone, vicepresidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

Per combattere il cambiamento climatico serve una rivoluzione della consapevolezza

di Letizia Tomassone, vicepresidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

Editoriale dell'Agenzia NEV del 7 dicembre 2011


La notte che ha preceduto l’avvio delle discussioni del vertice mondiale sul cambiamento climatico in corso a Durban in Sudafrica, ha visto scatenarsi proprio a Durban un evento climatico “estremo”. La pioggia ha provocato un’inondazione che ha ucciso 10 persone, distrutto 700 case e creato migliaia di sfollati. Tutto questo nella periferia più povera, dove le baracche non possono proteggere, dove le persone hanno meno difese contro i disastri naturali. Purtroppo anche in Italia abbiamo conosciuto questo tipo di eventi. Eppure abbiamo appena iniziato a sperimentare le conseguenze disastrose del cambiamento climatico.
Possiamo capire la pressione di un vertice sull’ambiente che avviene nel mezzo di un disastro causato da una civiltà industrializzata capace solo di consumare il mondo. Il fatto stesso che a morire e perdere le case siano i più poveri è un’immagine di quanto sta avvenendo a livello mondiale, dove le conseguenze dei cambiamenti climatici sono pagate dalle popolazioni più povere. Uno degli obiettivi del vertice ONU di Durban non a caso è quello di provvedere un fondo che aiuti i paesi poveri a praticare politiche di adattamento ai cambiamenti del clima mondiale.
Se anche l’attenzione dei media in Italia non è molto centrata su quanto avviene a Durban, una rivoluzione di pensiero sta avvenendo nelle associazioni, nelle chiese, e persino nell’ONU. Oggi diventa sempre più chiaro che questi incontri delle Parti (COP) non possono lasciare da parte i poveri, che subiscono le conseguenza più pesanti dei cambiamenti climatici.
Notiamo che una delle cose per cui l’Italia è stata citata a Durban è lo spreco di acqua pulita che avviene attraverso gli acquedotti mai adeguati del nostro Paese. A seguito dell’impegno delle chiese nei referendum sull’acqua bene comune, andrebbe portato avanti un impegno civile su questo fronte. L’acqua che si spreca qui, è acqua di tutti gli abitanti del pianeta.
“Questo pianeta è la sola casa che abbiamo”, ha affermato l’arcivescovo Desmond Tutu alla convocazione interreligiosa svoltasi a Durban e che ha anche organizzato una marcia. La consapevolezza della estrema interdipendenza fra umani e pianeta, l’idea che la nostra esistenza dipende dalla Terra, dagli alberi, dall’acqua, si fa strada con forza anche a livello religioso. Per esempio scrive il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, nel suo messaggio alla Conferenza di Durban: “Dobbiamo andare al di là delle divisioni nazionali. Condividiamo uno stesso mondo, le stesse risorse, la stessa atmosfera, un solo habitat. Siamo inseparabilmente interconnessi”.
Ma questo significa ridare valore e rispetto agli esseri viventi da cui dipendiamo, cambiando anche le categorie mentali con cui ci riferiamo ad essi. Il capo della delegazione Boliviana ha per esempio notato questo: “Il documento ONU sulle foreste parla del loro ruolo come riserva di carbonio. Noi vogliamo pensare alle foreste come luoghi in cui la vita cresce, in cui le persone vivono”. E’ proprio questa idea di un pianeta vivente che va ripristinata: ricominciare a vedere le foreste come cuore della biodiversità necessaria alla vita, e non come una sorta di capitale economico. Questa rivoluzione della consapevolezza è necessaria se vogliamo veramente fermare questa corsa verso la distruzione del pianeta.
Nonostante le aspettative piuttosto ridotte che hanno accompagnato questo incontro di Durban, dopo il fallimento della Conferenza ONU di Copenaghen nel 2009, con lentezza ma sicuramente si fa strada un cambiamento che inciderà sulle politiche e sulle economie del prossimo futuro. Anche la Cina sembra entrata nell’idea di un trattato mondiale per la salvezza del pianeta. Senza un pressante impegno a ridurre le emissioni di CO2, e se la data slitta dal 2012 al 2020, arriveremo a un aumento della temperatura globale di 4 gradi. E questo è chiaramente inaccettabile.
Il tavolo interreligioso africano ha lanciato un appello intitolato “Abbiamo fede. Agire ora per un clima di giustizia”. Questa fede non allontana dal mondo, ma spinge a prendersene cura, a cominciare dalle popolazioni più fragili, più esposte ai disastri ambientali. La speranza che abbiamo ricevuto ci spinge a cambiamenti personali e spirituali profondi, continuando a sostenere gli sforzi del Consiglio ecumenico delle chiese per far sentire ai governi del mondo che la vita viene prima del capitale. (nev-notizie evangeliche 48/2011)



Domenica 11 Dicembre,2011 Ore: 15:27
 
 
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