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www.ildialogo.org IL CLIMA NON È UNA BANCA. LA SALVEZZA DEL PIANETA PUÒ ATTENDERE,di Adista Notizie n. 129 del 26/12/2009

Riscaldamento globale
IL CLIMA NON È UNA BANCA. LA SALVEZZA DEL PIANETA PUÒ ATTENDERE

di Adista Notizie n. 129 del 26/12/2009

35344. COPENHAGEN-ADISTA. Il migliore commento al desolante spettacolo che sta andando in scena alla Conferenza di Copenhaghen sul cambiamento climatico è venuto dai partecipanti al Klimaforum (il forum dei popoli alternativo alla Conferenza ufficiale): "Se il clima fosse stato una banca l'avreste già salvato". Fuori tempo massimo per impedire la catastrofe, le possibilità che l'umanità riesca almeno a contenerla si stanno sempre più riducendo. Mentre nella capitale danese il negoziato è sul punto di naufragare - nel momento in cui scriviamo, quando mancano ormai 24 ore alla conclusione della Cop15 (XV Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico), le speranze di un accordo serio, equo e giuridicamente vincolante sono prossime allo zero - uno studio di Robert Kopp dell'Università di Princeton, pubblicato sulla rivista Nature, lancia l'ennesimo, e sempre più tragico, allarme: i ghiacciai polari si stanno rivelando più vulnerabili del previsto al riscaldamento globale, cosicché anche "solo" un aumento della temperatura limitato a 2° C provocherebbe un innalzamento del livello delle acque di 6-8 metri (l'aumento di un metro era già considerato catastrofico).
Un grido inascoltato
Il grido di Tuvalu (arcipelago polinesiano a pochi centimetri dal livello del mare la cui delegazione si è fatta vigorosamente sentire durante la Conferenza), delle Isole Salomone, del Bangladesh, di Samoa, tutti Paesi destinati a finire sottacqua, e, per altro verso, dell'intera Africa (dove già un aumento di due gradi della temperatura globale, considerato generalmente un obiettivo accettabile dalla comunità scientifica, si tradurrebbe in 3-4 gradi in più, dunque nella morte del Continente) rischia di rimanere totalmente inascoltato, dai Paesi ricchi in primo luogo e dalle potenze emergenti, a cominciare dalla Cina, in secondo luogo. Se accordo ci sarà, ben difficilmente indicherà drastiche mete di riduzione dei gas contaminanti: sarà, a detta di tutti, un accordo solo "politicamente vincolante", che rimanderà alla Cop16 in programma a Città del Messico nel dicembre del 2010 il compito di giungere a un accordo complessivo di passaggio alla fase 2 del Protocollo di Kyoto.
Certamente, a tutti i Paesi che, pur avendo contribuito in maniera irrilevante al cambiamento climatico, ne pagheranno il prezzo più alto, deve essere apparso come un insulto l'annuncio da parte del novello Premio Nobel Barack Obama - di cui si attende l'intervento il 18 dicembre, ultimo giorno della Conferenza - che gli Stati Uniti taglieranno le loro emissioni di anidride carbonica di un 17% rispetto ai livelli del 2005, cioè appena di un 4% rispetto a quelli del 1990 (universalmente preso come riferimento), che significa ancor meno del 5% di tagli previsto nell'accordo di Kyoto (a cui gli Stati Uniti non hanno aderito). Un insulto, appunto, considerando che la comunità scientifica - insieme ai movimenti della società civile mondiale e a tutti i Paesi poveri, riuniti nel G77 (di cui in realtà fanno parte 130 Paesi) - chiedeva tagli non inferiori al 40% entro il 2020.

Nessun pianeta di riserva
"I ricchi - ha dichiarato il presidente venezuelano Hugo Chávez nel suo intervento in plenaria - stanno distruggendo il pianeta. Pensano forse di andarsene in un altro quando avranno distrutto questo?". 500 milioni di persone, cioè il 7% della popolazione mondiale, si sono resi colpevoli del 50% delle emissioni contaminanti, a fronte del 50% più povero che è responsabile appena del 7% delle emissioni. "È un po' strano", ha sottolineato ancora Chávez, che gli Stati Uniti, con i loro 300 milioni di abitanti, e la Cina, che ne ha quasi cinque volte di più, vengano messi sullo stesso piano: "gli Stati Uniti consumano più di 20 milioni di barili di petrolio al giorno, la Cina arriva appena a 5, 6 milioni. Non si possono chiedere le stesse cose ai due Paesi". Quel che è sicuro, secondo il presidente venezuelano, è che, se un accordo significativo, concreto e vincolante non verrà approvato, la colpa sarà "dell'atteggiamento irresponsabile e della mancanza di volontà politica delle nazioni più potenti del pianeta".
Quanto ai Paesi poveri, è un peccato che il fronte del G77, che aveva dato una grande prova di compattezza, abbia subito negli ultimi giorni della Conferenza la defezione dell'Etiopia, il cui primo ministro, nonché capo-negoziatore dell'Unione Africana, Meles Zenawi, ha accettato nel suo intervento in plenaria, pare sotto la forte spinta del presidente francese Nicolas Sarkozy, la proposta europea di un finanziamento di 10 miliardi di dollari all'anno fino al 2020 per le azioni di mitigazione, come pure il principio della crescita della temperatura del pianeta a due gradi. "Se il primo ministro Meles vuole svendere le vite e le speranze degli africani per un'elemosina va bene - ha accusato Mithika Mwenda della Pan-African Climate Justice Alliance - ma non può dire che questa sia la posizione dell'Africa".

Un riflesso del mondo attuale
Come se non bastasse, la presidenza danese della Conferenza sta dando prova di una mancanza di trasparenza e di democrazia da far invidia all'Organizzazione Mondiale del Commercio. Così, dopo aver fatto circolare una bozza di documento finale considerata irricevibile dai Paesi poveri (al punto da indurli ad abbandonare temporaneamente i negoziati, ritenendo più conveniente "non siglare alcun accordo che aderire a uno che significherà la morte per il popolo africano"), la presidenza danese ha deciso di tenere una riunione ministeriale ristretta tra 25 ministri dell'Ambiente, di cui sei europei, per cercare di mettere a punto una nuova bozza di accordo da sottoporre, nei due giorni finali dei lavori, ai capi di Stato e di governo. Del resto, come ha ricordato ancora Chávez, "non è precisamente questa la realtà del nostro mondo? Siamo per caso in un mondo democratico? Per caso il sistema mondiale è inclusivo? Possiamo aspettarci qualcosa di democratico, di inclusivo, dall'attuale sistema mondiale?".

Ancora peggiore, se possibile, è stato il trattamento riservato alle organizzazioni della società civile: prima è stata tagliata drasticamente la loro presenza all'interno del Bella Center (la sede ufficiale dei lavori), continuando ulteriormente a ridurla nel corso dei giorni (ma garantendo nel frattempo libero accesso a istituzioni come la Banca Mondiale o le grandi lobby del settore privato); poi è stato negato direttamente l'accesso ai delegati di Friends of the Earth, Via Campesina e tante altre realtà del Sud; infine è stata impedita la celebrazione dell'Assemblea dei popoli, fermando, a colpi di manganello e spray urticante (senza contare gli arresti di massa), migliaia di attivisti, di rappresentanti delle ong, dei popoli indigeni, dei movimenti contadini, delle organizzazioni ambientaliste che intendevano presentare pacificamente le proprie proposte (raccolte nella Dichiarazione del Klimaforum "Cambiamo il sistema, non il clima"). Proposte che prevedono, oltre ad accordi immediati sulla riduzione dei gas ad effetto serra, la riduzione del consumo di combustibili fossili, la rinuncia a "false soluzioni" come gli agrocombustibili, il mercato di carbonio o l'energia nucleare; la moratoria di attività estrattive contaminanti all'interno di ecosistemi che rappresentano riserve mondiali di acqua e biodiversità; il riconoscimento e il pagamento del debito ecologico accumulato nei confronti dei popoli del Sud in oltre cinque secoli di saccheggio; il finanziamento da parte dei Paesi ricchi dei programmi di adattamento al cambiamento climatico; la creazione di una Corte Internazionale sui Delitti Ambientali; l'adozione da parte dell'Onu di una Dichiarazione sui Diritti della Madre Natura; la partecipazione dei popoli indigeni e delle organizzazioni sociali a tutti i programmi relazionati al riscaldamento globale. Il tutto, come ha spiegato Miguel Palacín Quispe, coordinatore generale del Caoi (Coordinamento Andino delle Organizzazioni Indigene), all'interno di una proposta integrale di Buen Vivir, ossia di ritorno "all'armonia con la Madre Terra e tra i popoli, in equità e reciprocità, a partire dalla diversità culturale e biologica, abbandonando la visione del pianeta come semplice deposito di risorse e producendo non per l'accumulazione di pochi ma per la soddisfazione delle necessità di tutti gli esseri viventi che popolano il pianeta".

Un fantasma si aggira per Copenhagen
È proprio alle organizzazioni della società civile che si è richiamato Chávez nel suo applauditissimo intervento, quando ha fatto suo lo slogan dei partecipanti al Klimaforum "cambiare il sistema, non il clima". "Un fantasma si aggira per le strade di Copenhagen - ha dichiarato il presidente venezuelano parafrasando Marx -, e credo che giri silenziosamente per questa sala, in mezzo a noi, passando per i corridoi, salendo e scendendo, un fantasma spaventoso che quasi nessuno vuole nominare: il capitalismo". Se non vogliamo che "la più meravigliosa creazione dell'universo, l'essere umano" scompaia, l'unico cammino possibile per la salvezza del pianeta è quello del socialismo, "che si aggira anch'esso qui, anche se più come un contro-fantasma". "Non facciamo di questa Terra - ha concluso - la tomba dell'umanità. Facciamo di questa Terra un cielo, un cielo di vita, di pace, di fraternità per tutti gli esseri umani".
E, a questo scopo, il presidente della Bolivia Evo Morales ha lanciato, durante il suo intervento a Copenhagen, la proposta di un referendum sui diritti della Madre Terra e sul cambiamento climatico: un referendum che interpelli l'umanità sulla necessità o meno di "ristabilire l'armonia con la natura riconoscendo i diritti della Madre Terra"; di "cambiare questo modello di sovraconsumo e di spreco che è il sistema capitalista"; di obbligare i Paesi sviluppati a ridurre e riassorbire le emissioni contaminanti "affinché la temperatura non salga più di un grado centigrado"; di "trasferire tutto ciò che si spende in guerre" nella lotta contro il cambiamento climatico"; di creare "un Tribunale sulla giustizia climatica che giudichi quanti distruggono la Madre Terra". (claudia fanti)
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da: Adista Notizie n. 129 del 26/12/2009



Martedì 22 Dicembre,2009 Ore: 16:20
 
 
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