- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (1)
Visite totali: (428) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Intervista a Gianni Mula,a cura di Michele Zarrella

Convegno del 5 aprile 2014
BASTA ESTRAZIONI FOSSILI

Intervista a Gianni Mula

a cura di Michele Zarrella

ildialgo.org presenta il contributo di Gianni Mula alla presa di coscienza del riscaldamento globale. Un’intervista allo scienziato cagliaritano per capire la situazione, le implicazioni e le conseguenze delle eccessive e continue estrazioni fossili. Gianni Mula è docente di fisica teorica presso l’università di Cagliari.
Egregio professore, per svariati motivi Lei non potrà essere presente al convegno BASTA ESTRAZIONI FOSSILI organizzato da ildialogo.org di Monteforte Irpino (AV), ma il suo contributo è stato decisivo alla preparazione dell’appello lanciato in rete. Come è nato questo appello?
Faccio parte della Redazione de ildialogo.org e pertanto quando il direttore Giovanni Sarubbi e il responsabile della sezione ambiente mi parlarono della situazione in Irpinia aderii al loro invito a contribuire a redigere un appello da lanciare in rete non solo alla popolazione irpina, ma a quella italiana tutta.
Da oltre un trentennio l’ambientalismo di facciata è la risposta pressoché universale della politica al problema dei cambiamenti climatici. Non sarebbe ora di fare meno chiacchiere e più fatti?
Vaste programme, come rispose De Gaulle a un suo sostenitore che gridava "A morte gli imbecilli"! Separare le chiacchiere dai fatti è in generale molto difficile. Se poi si parla di ambiente è quasi impossibile, perché non c'è una maniera condivisa per definire l'ambiente in cui si vorrebbe vivere. È perfino possibile, da un punto di vista logico, dichiararsi ambientalisti in generale e poi essere sistematicamente a favore, in nome dei posti di lavoro, dell'efficienza o del libero mercato, di iniziative che di fatto mettono a rischio la salute (e l'economia) di intere regioni. L'ambientalismo di facciata prospera proprio perché spesso l'ambientalismo vero ignora queste difficoltà. Riducendo così il problema climatico a un dialogo fra sordi che il pubblico finisce per interpretare come una contesa fra specialisti che non merita grande attenzione.
Che cosa bisognerebbe fare?
Per esempio studiare sistematicamente le serie storiche delle temperatura del pianeta, della concentrazione della anidride carbonica e del livello del mare, così come misurare, e monitorare, lo spessore delle calotte polari e dei ghiacciai. Sono tutti esempi di cose che una società che abbia a cuore la propria esistenza dovrebbe fare regolarmente, perché un'accurata quantificazione dei fenomeni è il punto di partenza di ogni indagine che voglia essere scientifica. Ma quantificare i fenomeni non è tutto, perché i dati sperimentali non parlano quasi mai da soli. Bisogna sviluppare teorie capaci di spiegare l'evoluzione dei fenomeni in una grande varietà di situazioni.
Aiuterebbero politiche che favoriscano una maggiore presa di coscienza dei problemi dell'ambiente da parte del pubblico, come un maggiore risalto ai temi ambientali nei media e nei libri di fisica, o anche insegnare la paleoclimatologia nelle scuole?
Una maggiore presa di coscienza dei problemi da parte del pubblico sarebbe certamente di grande aiuto. Non è possibile sconfiggere l'ambientalismo di facciata senza coinvolgere culturalmente l'intera società che deve pagare i costi dei programmi ambientali e soprattutto deve esprimere una sensibilità e una determinazione a intervenire che possa convincere i governanti di turno. Ma una presa di coscienza che si limiti a qualche slogan malcompreso non serve a nessuno. È invece necessario che le conoscenze scientifiche siano insegnate dalla scuola, e vissute dalla società, non come conquiste acquisite una volta per tutte ma come tappe di uno sviluppo storico che va trasmesso nella sua interezza, perché si possano apprezzare sia i progressi compiuti che le inevitabili delusioni.
Ma allora come si fa a fare una seria prevenzione ambientale su base scientifica?
L'evoluzione di ogni campo scientifico non è mai fatta completamente di successi, ma ci riserva sempre una parte di delusioni. In campo medico, ad esempio, abbiamo avuto nel XX secolo grandi successi come lo sradicamento di una serie di malattie infettive e il significativo aumento nella speranza di vita dei pazienti di molte forme tumorali dovuto al miglioramento delle tecniche terapeutiche. Ma questi successi non sono mai stati ottenuti senza ombre, a volte anche gravi, tanto che prassi mediche che sembravano indiscutibili, come i test Pap e PSA a partire da una certa età, e la profilassi antibiotica dopo ogni estrazione dentaria, oggi sono messe seriamente in discussione e si stanno mettendo a punto linee guida radicalmente modificate. C'è in questo tipo di ripensamenti una precisa analogia con i problemi di prevenzione del rischio ambientale. In tutti e due i casi, infatti, si tratta di definire, per ogni tipo di intervento, un rapporto costi/benefici che permetta di prendere decisioni operative. Questo è sempre possibile, anche se non è detto che le decisioni valgano per sempre, anche perché spesso i problemi sono complicati da rilevanti risvolti economici. È per questa ragione che è privo di senso stabilire in generale e a priori se la "verità" che deve prevalere è quella politica, economica o scientifica.
Oggi, nonostante un’immensa mole di dati scientifici (vedi IPCC ed altri) segnali i pericoli di un effetto serra di natura antropogenica che si aggiunge a quello naturale, non sembra proprio che i paesi sviluppati siano in procinto di elaborare un diverso modello di sviluppo. I provvedimenti economici sul mercato dell’energia e delle emissioni emersi con il Protocollo di Kyoto hanno dato risultati risibili. È sapiente il comportamento della nostra specie (Homo sapiens) che per il profitto di pochi mette a rischio la salute di tutti? Lei che è uno scienziato vorrebbe che i suoi nipoti diventati uomini, guardandosi indietro, possano dire: “Mio nonno aveva capito cosa stava succedendo ma cosa ha fatto concretamente?”.
Mah, sono solo un uomo normale che ha dedicato gran parte della sua vita professionale alla fisica teorica della materia condensata e poi si è appassionato allo studio dei sistemi complessi. Inoltre la mia attenzione è sempre stata rivolta alla teoria dei sistemi complessi in generale e non ho quindi particolari qualifiche scientifiche nel campo dell’ambiente o del clima. Quello che però posso dire con tranquillità è che sì, è vero, ogni problema di prevenzione ambientale è in definitiva un problema scientifico, e quindi si può parlare anche di responsabilità personali, perché in linea di principio si ha a che fare con cose che si sanno o non si sanno (o si sceglie di non sapere). Purtroppo tutti i sistemi complessi che troviamo in natura presentano caratteristiche paradossali, difficili da spiegare se si parte dal presupposto che non ci siano limiti alla descrizione del loro comportamento in termini di catene causali. In pratica si finisce sempre con lo sbattere contro un qualche analogo dell’effetto farfalla ben noto dalla teoria del caos.
Per spiegarmi ancora meglio farò un paragone con il sistema biologico costituito da ciascun essere umano. Come ho già ricordato prima le campagne di vaccinazione sono pratiche di medicina preventiva che hanno ampiamente dimostrato la loro efficacia. Tuttavia non possiamo pensare di imporle a forza a chi non accetta . È vero che l’efficacia di queste campagne è massima quando vi si sottopongono tutti, e chi non le accetta può essere legittimamente accusato di voler approfittare della vaccinazione degli altri, tuttavia l’uso della forza implica sempre dei costi superiori a quelli che si vogliono evitare.
Che cosa ci dice quest’esempio riguardo al problema della conservazione dell’ambiente? Che non possiamo impostarlo come un problema puramente scientifico, e quindi non dobbiamo esagerare col catastrofismo, perché non ha senso scientifico prevedere con sicurezza conseguenze apocalittiche solo per il fatto che da qualche parte del mondo non si ha la stessa sensibilità ai problemi ambientali che abbiamo noi. Ma d’altro canto ci dice che abbiamo il diritto, e anche il dovere morale, di operare perché si facciano scelte coerenti di prevenzione ambientale negando, ad esempio, il permesso di trivellare l’Irpinia alla ricerca di combustibili fossili. In questo caso la situazione è infatti capovolta: è chi sostiene le trivellazioni che fa leva su una presunta esigenza di non ostacolare il progresso e offre ipotetiche, ma di fatto inesistenti e impossibili, garanzie scientifiche di conservazione futura dell’habitat irpino. Chi si oppone, invece, contesta il progetto perché dimostrabilmente già oggi dannoso per l’ambiente. Che sia poi frutto dell’azione corruttrice di gruppi di potere pronti a scatenare frotte di lobbisti a protezione dei propri interessi è un motivo in più per opporvisi.
Purtroppo il problema vero è che in tempi di globalizzazione le scelte importanti non dipendono più dai governi nazionali ma da decisioni autonome di potentati economici multinazionali, che, non avendo una localizzazione geografica precisa, sono di fatto liberi di cercare la massimizzazione dei propri profitti senza riguardo all'ambiente o alle condizioni di vita dei lavoratori.
Quali azioni può fare il singolo cittadino?
Prendere coscienza della situazione soprattutto considerando le esperienze pregresse vicine (Basilicata e Abruzzo) e lontane (Golfo del Messico, ExxonValdezs, ecc.), partecipare al convegno che si terrà il 5 aprile ad Avellino ed aderire all’appello che sta sulla home page de www.ildialogo.org .
Monteforte, 24, marzo 2014



Lunedì 24 Marzo,2014 Ore: 18:32
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Sergio Canova Seveso 27/3/2014 18.32
Titolo:Ritorno al Club di Roma
Caro Gianni, nella tua intervista tu dici che occorre studiare sistematicamente i dati e correlarli tra loro, per poi prendere decisioni politico-normative, sapendo che a problemi complessi non si potranno dare risposte semplici. Bene, io dico che occorre tornare all'approccio usato 40 anni fa dal Club di Roma, che coinvolse il MIT per lo studio dei parametri e la costruzione di modelli previsionali, e allo spirito di Salisburgo (5 febbraio 1974), per coinvolgere i capi di stato nelle valutazioni più attendibili e nelle decisioni più corrette. La domanda è: esiste una volontà generale di fare questo?  e anche: siamo ancora in tempo per intervenire? Questi sono temi sui quali i nostri opinionisti dovrebbero impegnarsi sui vari mezzi di comunicazione, ma a me pare che solo Giovanni Sartori, quando a ferragosto è di malumore, li vuole affrontare. Ciao. Sergio

Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (1) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Ambiente

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info