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www.ildialogo.org IL RITORNELLO DI BENEDETTO XVI. In nome del Dio della sua "sacra" famiglia costantiniana e faraonica, la sua guerra a difesa di una famiglia naturalisticamente intesa.  Una sintesi di Gian Guido Vecchi - con premessa e note,a c. di Federico La Sala

MESSAGGIO EVANGELICO E "NOSTRA AETATE". Pensare un altro Abramo: "alla nascita di Cristo nella capanna semiaperta era subito presente il mondo intero, i pastori e i savi d’Oriente" (F. Kafka, Lettera a Helli Hermann, autunno 1921)
IL RITORNELLO DI BENEDETTO XVI. In nome del Dio della sua "sacra" famiglia costantiniana e faraonica, la sua guerra a difesa di una famiglia naturalisticamente intesa.  Una sintesi di Gian Guido Vecchi - con premessa e note

E parte da una considerazione: «Il cristiano deve lasciarsi orientare dai principi della fede, mediante la quale noi aderiamo al punto di vista di Dio, al suo progetto su di noi»


a c. di Federico La Sala

PREMESSA. Note sul tema:

  • "Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, la Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35)

 RIDOTTA LA DONNA A "FEMMINILE" (A "FEMMINA") E L’UOMO A "MASCHILE" ("MASCHIO"), PER IL PAPA la "relazione personale" con Dio (concepito come "Uomo-Maschio") può essere ovviamente solo dell’"Uomo-Maschio", e dell’intero ordine sacerdotale (uomini-maschi). Che il "maschile" e il "femminile" sia di ogni essere umano (dell’uomo come della donna), che Due Persone ("due cherubini") siano i custodi della Legge (l’ Arca dell’Alleanza Mosaica) e Due Persone ("Maria" e "Giuseppe") siano i "genitori" e i custodi della Legge del Dio Vivente (Gesù) della Nuova Alleanza è una bestemmia che va sanata con un modello di famiglia intesa - in modo talebanico - biologicamente e naturalisticamente, in nome del suo Dio ("Deus caritas est", 2006) e del suo "Dominus Iesus", 2000)!!!

C’E’ DIO E "DIO", E FAMIGLIA E "FAMIGLIA": IL DIO DI GESU’ GIUSEPPE E MARIA (NON E’ QUELLO DI COSTANTINO E DELLA REGINA MADRE ELENA E DELL’INTERO ORDINE GERARCHICO DEL "REGNO DI DIO" VATICANO). Una nota di Ermes Ronchi - con appunti

A PARIGI ACCOLTA E APPLAUDITA LA VERITA’ RIVELATA AGLI ESSERI UMANI DAL PAPA E DAI VESCOVI. SIAMO TUTTI UNO: VOI siete nati "da un uomo e una donna" (NOI siamo nati da Donna e da Dio). Sull’Avvenire, in difesa del "dato di natura", un’editoriale di Marina Corradi - con note

QUANTA PAURA DEL LOGOS TRA LE FILA DEI SAPIENTI DEL CATTOLICESIMO RATZINGERIANO! Nati da uomo e da donna, non sanno ben pensare nemmeno l’incarnazione di se stessi, attaccano la Costituzione, e allertano sul "pericolo della logofobia"! Una riflessione di Adriano Pessina (dall’Osservatore Romano) - con note

RIMOZIONE DEL FEMMINILE E FEMMINICIDIO: UNA QUESTIONE ANTROPOLOGICA RADICALE. "Donne in cerca di guai": una riflessione di Alessandro Esposito (pastore valdese) - con appunti

RIPARARE IL MONDO. LA CRISI EPOCALE DELLA CHIESA ’CATTOLICA’ E LA LEZIONE DI SIGMUND FREUD. (fls)

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Il Papa dice no alla filosofia «di genere»

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 20 gennaio 2013)

«La Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna. E il no a filosofie come quella del "gender" si motiva per il fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore».

Benedetto XVI si è rivolto ieri al Consiglio «Cor Unum», il dicastero vaticano che amministra le opere di carità del Papa, e ha ripreso il filo del discorso alla Curia, prima di Natale, quando parlò dell’«attentato all’autentica forma della famiglia - costituita da padre, madre e figlio - al quale oggi ci troviamo esposti»: citando l’intervento del Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim contro il «matrimonio per tutti» e le adozioni a coppie gay, il Papa aveva criticato la «profonda erroneità» della teoria di genere, per la quale «il sesso non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente».

Anche ora Ratzinger, secondo il suo stile, non lancia anatemi ma argomenta intorno alla «deriva» dell’uomo contemporaneo, al «prometeismo tecnologico» per cui «ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito». E parte da una considerazione: «Il cristiano deve lasciarsi orientare dai principi della fede, mediante la quale noi aderiamo al punto di vista di Dio, al suo progetto su di noi».

In ogni epoca, dice, «quando l’uomo non ha cercato tale progetto, è stato vittima di tentazioni culturali che hanno finito col renderlo schiavo». In particolare «le ideologie che inneggiavano al culto della nazione, della razza, della classe sociale si sono rivelate vere e proprie idolatrie».

Ma non ci sono solo i totalitarismi atei, dal nazismo al comunismo: «Altrettanto si può dire del capitalismo selvaggio col suo culto del profitto, da cui sono conseguite crisi, disuguaglianze e miseria». Anche il nostro tempo «conosce ombre che oscurano il progetto di Dio».

Qui sta il punto, scandisce Benedetto XVI. «Mi riferisco a una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, cui si aggiunge però un prometeismo tecnologico: dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia emerge un’antropologia nel suo fondo atea», prosegue. «Essa presuppone che l’uomo si riduca a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana ad un destino di autorealizzazione. Tutto ciò prescindendo da Dio, dalla dimensione spirituale e dall’orizzonte ultraterreno». Così l’uomo si «assolutizza», cioè pretende di essere «ab-solutus, sciolto da ogni legame e costituzione naturale».

Se Dio non esiste tutto è possibile, diceva Dostoevskij. Ed è ciò che al fondo dice anche il Papa: quando l’uomo è «privato della sua anima» e dunque «di una relazione personale con il Creatore», allora «ogni esperimento risulta accettabile, ogni politica demografica consentita, ogni manipolazione legittimata».

Benedetto XVI invita chi opera in campo sociale a «esercitare una vigilanza critica e, a volte, ricusare finanziamenti e collaborazioni che favoriscano azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana». La Chiesa è «colonna e sostegno della verità» e i pastori «hanno il dovere di mettere in guardia», conclude solenne: «Anche se questa deriva si traveste di buoni sentimenti all’insegna di un presunto progresso, o di presunti diritti, o di un presunto umanesimo».



Lunedì 21 Gennaio,2013 Ore: 09:25
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/1/2013 12.12
Titolo:LA PROPOSTA DI UN NUOVO "CREDO" DI UNA BENEDETTINA ....
Credo in un solo Dio

di Joan Chittister *

Credo in un solo Dio che ci ha creati tutti e tutte e la cui divinità impregna di sacro tutta la vita.

Credo alle molteplici rivelazioni di questo Dio che è vivo in ogni cuore umano, che si esprime in tutte le culture, e si ritrova in tutte le sapienze del mondo.

Credo che Gesù Cristo, unico figlio di Dio, è il volto di Dio sulla terra, è colui in cui meglio possiamo vedere la giustizia divina, la misericordia divina, la compassione divina a cui siamo chiamati.

Credo in Cristo che è una cosa sola con il Creatore, che ci mostra la presenza di Dio in tutto ciò che esiste e risveglia in noi il sacro.

Credo in Gesù, il Cristo, che ci conduce alla pienezza della statura umana, a cui siamo stati chiamati prima di tutti i tempi e per tutte le altre cose che sono state fatte.

Tramite Cristo diventiamo esseri nuovi, chiamati a superare i limiti della nostra fragilità ed elevati alla pienezza della vita. Per opera dello Spirito Santo è nato dalla donna Maria, dall’anima pura e dalla dedizione totale - segno per tutte le epoche della posizione eminente delle donne nel progetto divino per la salvezza dell’umanità.

È cresciuto come cresciamo noi attraverso tutte le fasi della vita. È vissuto come viviamo noi soggetto alle pressioni del male e determinato nel bene. Non ha rotto i rapporti con il mondo a cui era legato.

Non ha peccato. Non si è mai allontanato dal pensiero di Dio. Ci ha indicato la Via, l’ha vissuta per noi, ne ha sofferto ed è morto per questo perché potessimo vivere con cuore nuovo, mentalità nuova, e nuova forza nonostante tutta la morte a cui siamo quotidianamente soggetti.

Per amore per noi e per amore della Verità eterna è stato braccato tormentato e messo a morte da coloro che si ritenevano essi stessi dei e non rispettavano il sacro in nessun altro.

Ha sofferto perché noi potessimo comprendere che lo spirito in noi non può mai essere ucciso quale che sia il prezzo che dobbiamo pagare per restare fedeli allo spirito di Dio.

È morto ma non è morto perché continua a vivere in noi.

“Il terzo giorno” nella tomba è risorto in coloro che aveva lasciato e anche in ognuno di noi per vivere in cuori che non soccomberanno ai nemici della vita.

Ha cambiato tutto della vita per tutti noi da allora. È asceso alla vita di Dio e là aspetta la nostra ascensione nella vita oltre la vita.

Là aspetta, giudica ciò che è stato e ciò che sarà in base a valori eterni e in nome della virtù eterna, per il tempo in cui ogni vita sarà raccolta in Dio, piena di vita e di luce, immersa nella verità.

Credo nello Spirito Santo, respiro di Dio sulla terra che continua a proporre la visione di Cristo alle anime ancora nell’oscurità, dà vita anche ai cuori ora ciechi. Infonde energia negli spiriti ancora affaticati, soli, confusi e in ricerca.

Lo spirito ha parlato al cuore umano attraverso i profeti e dà un senso nuovo alla Parola attraverso la storia.

Credo nella chiesa una, santa e universale. Unita insieme dalla santità della creazione e dalla santità di cuori eternamente fedeli.

Riconosco il bisogno di essere liberata dalle pulsioni della mia vita disordinata e il mio bisogno di perdono di fronte alla mia fragilità.

Cerco la vita eterna in modi che neppure sono in grado di sognare e credo che la creazione prosegua creando in questo mondo ed in noi per sempre.

Amen.

Amen alla creazione, al Dio che è vita, al coraggio, alla speranza, allo spirito di verità, alla natura, alla felicità, all’integrità, al posto delle donne nel progetto di Dio, a Cristo che ci chiama a superare i nostri limiti, al perdono, a tutto ciò che fa della vita il primo passo nella espansione del nostro cuore alle dimensioni di Dio.

Amen. Amen. Amen. Possiamo certamente credere in tutto ciò. Come ha fatto Dio.

* Joan Chittister è benedettina e in un libro intitolato “Ciò che credo”, riprende, ad uno ad uno, gli articoli del Credo per precisare la sua fede. Ne parla a partire dalla sua esperienza di quarant’anni di vita monastica, segnata dalla malattia e dalla sofferenza, dalla scoperta e dall’impegno. Nel libro, passa dai ricordi personali alla meditazione, dagli interrogativi critici alle lezioni di sapienza, per una sorprendente testimonianza di una fede per l’oggi. In altre parole, l’esperienza di una vita umana.

* Ciò che credo... di Robert Hotte, diacono in “forums-andre-naud.qc.ca” del 3 dicembre 2012 (traduzione: http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201301/130120hotte.pdf)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/1/2013 12.44
Titolo:PAROLA A RISCHIO Risalire gli abissi...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/1/2013 15.17
Titolo:Contro una “Santa Alleanza” retrograda ....
Matrimonio gay: no alla collusione dell’odio

- Contro una “Santa Alleanza” retrograda

di Collettivo *

- “Le Monde” del 18 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Non passa giorno senza che i gay e le lesbiche francesi siano pubblicamente insultati. Si potrebbe datare l’apparizione di questa aggressione permanente dal 4 febbraio 2005, quando un deputato UMP ha osato dichiarare a loro riguardo: “Dico che sono inferiori moralmente”. È stato l’inizio di una litania astiosa proseguita con una dichiarazione parallela a proposito del matrimonio gay: “E perché non delle unioni con animali?”, nel pieno dei lavori della commissione per le leggi dell’Assemblée Nationale (25 febbraio 2011).

Queste frasi hanno potuto essere pronunciate perché certe persone sono “senza complessi”. Si ritengono autorizzate a dire tutto ciò che pensano, se questo si può definire pensare. Il responsabile di questa degradazione del modo di esprimersi in pubblico è l’ex presidente della Repubblica, la cui campagna elettorale è stata caratterizzata dall’omofobia. Fin dalla sua dichiarazione di candidatura, in piena crisi mondiale, non ha parlato prima di tutto di economia, no, il primo punto da lui presentato è stato il rifiuto del matrimonio gay (11 febbraio).

Alcuni giorni dopo (19 febbraio) dichiarava che i gay “non amano la Francia”. L’idiozia di simile affermazione, considerando la storia, da Luigi XIII al maresciallo Lyautey, non ha trattenuto dal parlare un uomo che, per finire, ha schernito i gay, dicendo che sono in contraddizione nel volere il matrimonio, visto che rivendicano il “diritto alla differenza” (17 aprile). Somiglianza, differenza, qualunque cosa i gay e le lesbiche dicano, hanno torto. Peggio, non ne hanno il diritto. Visto che glielo si rifiuta.

Non bisogna quindi sorprendersi del fatto che i discendenti politici del “sarkozysmo” si siano scatenati all’annuncio del progetto di legge timidamente definito “matrimonio per tutti”, come se le parole gay e lesbica fossero vergognose. Durante il dibattito per la presidenza dell’UMP, Fillon ha dichiarato la sua “opposizione totale al matrimonio omosessuale”,seguito da Copé che ha affermato che “non celebrerà nessun matrimonio omosessuale” (25 ottobre). Tre giorni dopo, lo stesso Copé ha pensato di organizzare delle manifestazioni contro il matrimonio gay.

Si è unita a lui su questo punto quella che alcuni hanno soprannominato sua sorella di latte, Marine Le Pen (1° novembre), che ha poi chiesto un referendum sulla questione (4 novembre); la prossima proposta sarà la gogna? L’offesa è non solo quotidiana, ma pluriquotidiana: lo stesso 4 novembre il deputato Laurent Wauquiez prometteva l’abrogazione se la destra tornasse al potere. Il 5, la deputata Valérie Pécresse prevedeva l’annullamento dei matrimoni. La crescente forza dell’insulto politico è manifestata molto bene dal numero dei deputati e dei senatori UMP che hanno firmato una petizione contro il matrimonio gay: erano 82 nel gennaio 2012, e 180 in ottobre.

Da dove arriva l’idea che il matrimonio gay metterebbe in pericolo la Francia? I dieci paesi del mondo in cui esiste hanno forse visto orde di gay e di lesbiche dipingere di rosa le statue de grandi? David Cameron che dice: “Sono a favore del matrimonio gay perché sono conservatore” (10 ottobre) è forse un cattivo britannico? Un cattivo conservatore? Un cattivo uomo? Barack Obama, che, nel suo discorso di elezione, ha dichiarato: “Che voi siate (...) gay o eterosessuali, potete realizzarvi in America” (7 novembre), vuole forse la distruzione della civiltà occidentale?

I politici francesi che fanno quelle dichiarazioni demagogiche, solleticano un elettorato che dovrebbero invece educare. François Mitterrand ha ottenuto il suo status di statista affermando, mentre era candidato alla presidenza e sapeva che la maggioranza dei francesi era contraria, che avrebbe chiesto l’abrogazione della pena di morte se fosse stato eletto. Nel caso del matrimonio gay, la maggioranza della popolazione lo approva.

I rappresentanti di tutte le religioni si sono uniti nella corsa all’insulto. Il 14 settembre, il cardinale di Lione associava il matrimonio gay alla poligamia e all’incesto. Il 3 novembre era l’arcivescovo di Parigi e cardinale che, in nome della democrazia partecipativa, approvava manifestazioni contro questo matrimonio che “distruggerebbe le basi della nostra società”. Lascio a ciascuno di voi qualificare come vuole un uomo che chiama democrazia partecipativa delle manifestazioni di piazza e invita a parteciparvi, mentre il papa viene eletto da 120 cardinali che non rendono assolutamente conto ad un miliardo di fedeli.

Non insisteremo sul silenzio non partecipativo del clero quando di trattava di impedire i torrenti di pedofilia che hanno portato quasi all’annientamento delle Chiese irlandesi e statunitensi, per non parlare solo dei paesi in cui gli scandali sono diventati pubblici. Usando in maniera molto dubbia la parola “lobby”, il cardinale e arcivescovo di Parigi sa di che cosa parla, poiché, in questo caso come in molti altri, la sua Chiesa fa “lobby” in maniera accanita. Sembrerebbe che per lui “lobby” sia un gruppo che difende interessi che non gli piacciono.

Il cardinale è stato preceduto, il 19 ottobre, da venticinque pagine scritte contro il matrimonio gay dal grande rabbino di Francia e seguìto, il 6 novembre, da una dichiarazione nello stesso senso fatta dal presidente del Consiglio francese del culto musulmano (CFCM). La collusione dell’odio è così patente che il Consiglio francese del culto musulmano, che non sapevamo essere così ecumenico, rinvia, sul suo sito, agli attacchi degli altri culti. La Federazione protestante di Francia assicura che il matrimonio gay “non è un regalo da fare alle generazioni future” in una petizione firmata anche dai ministri delle Chiese luterana, greca, anglicana e armena. Occupandosi di faccende di diritto civile che non le riguardano in considerazione della separazione di Chiesa e Stato, questi culti desidererebbero forse l’unione delle Chiese e dello Stato per un migliore ostracismo dei gay e delle lesbiche?

I media riproducono questi attacchi con una premura che sembra rasentare la compiacenza. Anche qui, attacchi quotidiani contro i gay e le lesbiche, e rarissime pubblicazioni di interventi che presentano il punto di vista opposto. Il 3 ottobre, Le Figaro ha pubblicato diverse pagine contro il matrimonio gay basate sui “psi” [ndr.: psicanalisti, psicologi, ecc.], di cui invita di solito a diffidare. Ogni giorno è tornato alla carica, pubblicando ad esempio un appello di sindaci che intenderebbero “scioperare” contro una legge che non è neppure ancora stata votata. Dov’è il rispetto della legalità giustamente sostenuto da un giornale conservatore?

Il 28 ottobre, Le Monde pubblicava l’intervista di un teologo cattolico membro del Comitato consultivo nazionale di etica, diretta contro i gay: “Gli omosessuali vogliono entrare nella norma sovvertendola”. Che l’autore di un’asserzione di tale disprezzo possa essere membro di un comitato di etica è motivo di stupore. Avrà senza dubbio dimenticato le pratiche dei primi cristiani che hanno sovvertito le istituzioni dell’Impero romano fino ad impadronirsene. Tutti questi insulti non avrebbero potuto essere espressi cinque anni fa. Gli indugi del governo e il rinvio della votazione della legge fanno sì che, fino al momento del voto, gli insulti continueranno. Abbiamo deciso di non sopportarli più pazientemente. Non firmiamo petizioni di professione.

Tra noi ci sono gay, lesbiche, eterosessuali. Alcuni di sinistra, altri di destra, alcuni cristiani, altri ebrei, altri agnostici. Indipendentemente dal loro orientamento sessuale, alcuni hanno figli. Alcuni sono celibi o nubili, altri sposati. Nessuno deve render conto a nessuno sul proprio modo di vivere. La maggior parte ha avuto genitori eterosessuali e, tra loro, alcuni hanno avuto un’infanzia infelice. Non accusano di questo l’eterosessualità. Alcuni hanno genitori omosessuali e hanno avuto un’infanzia felice. Non ne attribuiscono il merito all’omosessualità. Non abbiamo i pregiudizi dei nostri nemici.

I gay e le lesbiche rendono servizi alla Francia non meno di strani teologi o politici senza idee. I populisti omofobi si rendono conto che le loro diatribe facilitano il passaggio all’azione? Che, se delle persone, che si presuppone siano responsabili, parlano in maniera irresponsabile, la brutalità si sentirà giustificata? In tutto questo, il matrimonio è un pretesto. Una volta che sarà acquisito, l’omofobia non cesserà, ed è quella che bisogna criminalizzare. Se c’è qualcosa di pericoloso in una società è la lobby della stupidità e dell’odio.

*
- Collettivo

- Charles Dantzig, scrittore;
- Dominique Fernandez, scrittore;
- Christophe Honoré, regista;
- Olivier Poivre d’Arvor, direttore di France Culture;
- Ludivine Sagnier, attrice;
- Danièle Sallenave, scrittrice

Altri sottoscrittori del testo:

Josyane Balasko, attrice; Jean-Luc Barré, scrittore, direttore della collezione Bouquins; Alex Beaupain, cantante; Pierre Bergé, presidente della Fondazione Pierre Bergé - Yves Saint Laurent, azionista di Le Monde; Martin Béthenod, direttore di Palazzo Grassi - Punta della Dogana; Geneviève Brisac, scrittrice; Sylvain Bourmeau, giornalista; Robert Cantarella, regista; Maxime Catroux, editrice; Manuel Carcassonne, vicedirettore generale delle editzioni Grasset; Edmonde Charles-Roux, scrittrice, presidente dell’Académie Goncourt; Patrice Chéreau, regista; Jean-Paul Civeyrac, regista; Kéthévane Davrichewy, scrittrice; Jean-Baptiste Del Amo, scrittore; Vincent Delerm, cantante; Diastème, regista; Virginie Despentes, scrittrice; Florence Dormoy, produttrice; Ferrante Ferranti, fotografo; Marcial Di Fonzo Bo, regista; Marina Foïs, attrice; Louis Garrel, attore; Thomas Gornet,scrittore; Olivier Gluzman, produttore; Marianne James, attrice; Pierre Jourde, scrittore; Thierry Klifa, regista; Jean-Marie Laclavetine, scrittore; Valérie Lang, attrice; Eric Lartigau, regista; Catherine Leblanc, scrittrice; Katia Lewkowicz, regista; Claude Lévêque, artista; Amin Maalouf, scrittore, dell’Académie française; Thierry Magnier, editore; Sébastien Marnier, scrittore; Philippe Martin, produttore; Chiara Mastroianni, attrice; Arnaud Meunier, regista; Jean-Paul Montanari, direttore di Montpellier Danse; Gaël Morel, regista; Amélie Nothomb, scrittrice; Anne Percin, scrittrice; Patrick Rambaud, éscrittore, membro dell’Académie Goncourt ; Eric Reinhardt, scrittore; Serge Renko, attore; Mathieu Riboulet, scrittore, premio Décembre 2012; François de Ricqlès, presidente de Christie’s France; Pierre Rigal, coreografo; Cédric Rivrain, disegnatore; Thomas Scotto, scrittore; Abdellah Taïa, scrittore; Karin Viard, attrice; Eric Vigner, regista; Edouard Weil, produttore e Cathy Ytak, scrittrice.

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