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www.ildialogo.org RIMOZIONE DEL FEMMINILE E FEMMINICIDIO: UNA QUESTIONE ANTROPOLOGICA RADICALE. "Donne in cerca di guai": una riflessione di Alessandro Esposito (pastore valdese) - con appunti ,a cura di Federico La Sala

UOMINI, DONNE, E VIOLENZA: USCIRE DALLA PREISTORIA.  
RIMOZIONE DEL FEMMINILE E FEMMINICIDIO: UNA QUESTIONE ANTROPOLOGICA RADICALE. "Donne in cerca di guai": una riflessione di Alessandro Esposito (pastore valdese) - con appunti 

(...)  In qualità di «addetto ai lavori», vorrei concentrare la mia analisi sul retroterra religioso dal quale questa trivialità continua a trarre alimento e a ricevere legittimazione (...)


a cura di Federico La Sala

di Alessandro Esposito (MicroMega, 28 dicembre 2012)

Noi malpensanti e femministi avevamo provato ad accostare all’indignazione dinanzi alla reiterata violenza di cui le donne sono vittime per mano d’uomo la riflessione relativa alle cause che possono scatenare tale ingiustificabile efferatezza: fortunatamente è giunto, inaspettato, il soccorso di un pio ed acuto parroco ligure ad illuminare la nostra insipienza.

Ma come abbiamo fatto a non pensarci prima? Era evidente: la causa prima della violenza fisica, psicologica, sociale e religiosa quotidianamente inflitta alle donne sono le donne stesse. Il fatto è che era talmente ovvio da essere sfuggito alla nostra capacità d’analisi, immancabilmente condizionata da una lettura ideologica della realtà dei fatti. Ebbene, questa realtà, se ben osservata, ci porta alla conclusione insindacabile che siano le donne le principali (giusto perché affermare «le uniche» deve sembrare eccessivo persino a questi irreprensibili cavalieri della fede) responsabili degli istinti che colpevolmente scatenano nel maschio altrimenti avvezzo per natura a docilità e candore: per cui «chi è causa del suo mal...».

Ci sarebbe da rimanere attoniti se non prevalesse lo sdegno: eppure, una volta ancora, voglio pensare che alla doverosa espressione dei sentimenti sia da preferire un’indefessa ricerca delle cause. In qualità di «addetto ai lavori», vorrei concentrare la mia analisi sul retroterra religioso dal quale questa trivialità continua a trarre alimento e a ricevere legittimazione: a tale proposito limiterò le mie considerazioni a tre aspetti che mi paiono nevralgici.

1. L’universo cattolico intransigente entro il quale quest’ignoranza attecchisce è un universo rigorosamente declinato al maschile: la donna non vi è contemplata se non in qualità di figura deliberatamente relegata ai margini che riflette l’immagine, assai rassicurante per l’uomo, di un’obbedienza che rasenta la remissività. A questa malcelata misoginia l’associazionismo cattolico sta reagendo provando a gettare le basi di un’organizzazione ecclesiale profondamente distinta, che si ispira ai documenti di quel Vaticano II tradito dall’impronta autoritaria degli ultimi due pontificati [1]: l’impressione, però, è che sia la gerarchia, sia una fetta ancora troppo ampia della base cattolica siano sostanzialmente indifferenti (quando non espressamente ostili) alla necessità di proseguire (e in alcuni casi persino di avviare) un percorso di riflessione concernente la centralità e la peculiarità dello sguardo femminile al fine di rifondare il cristianesimo.

2. La tendenza sembra, piuttosto, quella volta a sollecitare l’immaginario sia maschile che femminile rimandandolo a figure in cui non è possibile rinvenire la pienezza della femminilità nella molteplicità delle sue forme espressive, affettive come sessuali. Di qui l’elogio tutt’altro che disinteressato di atteggiamenti quali la castità quando non addirittura di condizioni quali la verginità: null’altro che argini entro cui imprigionare il desiderio. Quello femminile, va da sé.

3. Affinché, però, non sia il desiderio maschile a ridestarsi da quel fondo oscuro entro cui l’educazione ecclesiastica lo relega, nulla di meglio che la famiglia, quella tradizionale, si capisce, per estinguerlo. Pazienza poi se la maggior parte delle violenze di cui le donne sono vittime si consumano entro pareti falsamente protettive che diventano prigioni. Ma tant’è, la famiglia rassicura: specie noi maschi, che così possiamo proseguire nella rimozione di quel timore del femminile a cui abbiamo ovviato con il dominio. E le donne seguitare in aeternum nel silenzio che è loro comandato. Come in chiesa, così in casa.

[1] Vorrei citare, su tutti, il prezioso lavoro svolto dal CTI (Coordinamento Teologhe Italiane; sito intetrnet: www.teologhe.org), presieduto dalla filosofa, teologa e biblista Marinella Perroni.

Alessandro Esposito - pastore valdese



Sabato 29 Dicembre,2012 Ore: 18:55
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2012 19.51
Titolo:COME IN CHIESA COSI' IN CASA. La dimensione accogliente della mente....
Una nota da:

La mente accogliente.
Tracce per una svolta antropologica

di Federico La Sala *

[...] E infine arriviamo al punto-chiave - alla Figura. *

Di recente le truppe edipiche del Vaticano, la burocrazia pontificia - incredibilmente - nello sforzo di cacciare i ragni (si pensi alla lotta di Bacone per il Novum Organum del sapere) dal buco non ha più visto cosa faceva, tanta era la polvere che si era accumulata e tante erano le ragnatele che coprivano tutto, e, disperata, ha ripulito il calendario di un bel numero di santi e, nei posti vuoti, ha lasciato subito insediare le formiche.

Tra le sante, chi è stata tolta? Proprio lei: Filomena - Colei che è amata - e ama, accoglie e protegge.

Evidentemente i "saggissimi" del Vaticano, che - come Carducci - sanno di greco e di latino e scrivono "odi barbare" sui temi più scottanti del nostro tempo, avranno pensato: questa santa non sarà mai esistita, non ha nemmeno un vero nome, il suo nome è semplicemente un aggettivo, il participio di un verbo, cancelliamola dall’albo - "e quolibet calendario espungatur" (nota: L’Instructio de calendariis della Sacra Congregazione dei Riti ha preso tale decisione nel 1961, cfr. voce: Filomena, in Biblioteca Sanctorum, Roma, Città Nuova Editrice, 1965, pp. 796-800). E, infatti, è il modo infinitivo che partecipa del nome e del verbo. Ma quale verbo? Quello decisivo, naturalmente! Filein - Amare: filéo - amo. Filomena: Colei che è amata - e ama, accoglie, assiste, tratta con tenerezza (o, altrimenti, Filousa), dimostra affetto con atti (o, altrimenti, Glyko-filousa) - semplicemente, Maria.

E’, in generale, la dimensione accogliente della mente, e, insieme, della coppia (padre e madre) verso il figlio, innanzitutto. Dentro come fuori, all’interno come all’esterno - dinamicamente [...].

* Cit. da Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Antonio Pellicani editore, Roma 1991, pp. 178-179.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2012 20.18
Titolo:PAROLA DEL CARD. RAVASI. LE SIBILLE NELLA SISTINA L’ELEMENTO PIU’ CURIOSO.
MICHELANGELO E LA SISTINA (1512-2012). I PROFETI INSIEME ALLE SIBILLE PER LA CHIESA UN GROSSO PROBLEMA ....


DOPO 500 ANNI, PER IL CARDINALE RAVASI LA PRESENZA DELLE SIBILLE NELLA SISTINA E’ ANCORA L’ELEMENTO PIU’ CURIOSO.



In un bel documentario dal titolo «1512. La volta di Michelangelo nella Sistina compie 500 anni» mandato in onda, ieri, 31 ottobre 2012 (giorno dell’anniversario) su TV2000 alle ore 13.05 (e replicato alle 23.05) con Antonio Paolucci, Gianluigi Colalucci e cardinale Gianfranco Ravasi,
- il cardinale dichiara, con la massima autorevolezza e con la massima ’innocenza’, che nella Volta della Sistina insieme alle figure centrali relative al testo del Genesi, ci sono i profeti e le sibille, e la presenza di "queste donne" è definita come "il più curioso" elemento della narrazione michelangiolesca.

Evidentemente, dopo 500 anni, per la teologia della Chiesa cattolico-romana, la loro presenza è decisamente ancora un problema, un grosso problema! (Federico La Sala, 01.11.2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/12/2012 08.26
Titolo:COSTANTINO E L'ALLEANZA INCESTUOSA....
Tre donne «forti» dietro tre padri della fede

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Il IV secolo è fine di un’epoca e nascita di tempi nuovi anche per i modelli femminili nella cultura cristiana e nella società. Mentre le istituzioni dell’Impero si sfaldano, popoli premono ai confini, corruzione e violenze dilagano e le casse sono vuote, causa guerre ed evasione fiscale, alcune donne sono protagoniste delle trasformazioni almeno tanto quanto gli uomini accanto ai quali la storia le ha accolte. Elena, madre di Costantino, Monica madre di Agostino, Marcellina sorella di Ambrogio.

Ma ci son pure Fausta, moglie di Costantino, da lui fatta assassinare per sospetto tradimento (violenza in famiglia anzi tempo) e la compagna di Agostino, giovane cartaginese vissuta anni more uxorio («coppia di fatto» si direbbe oggi) col futuro santo vescovo d’Ippona. Gli diede pure un figlio, Adeodato, di lei però non è rimasto nemmeno il nome: una rimozione del femminile, nonostante la straordinaria autoanalisi ante litteram compiuta da Agostino nelle Confessioni; un archetipo delle rimozioni collettive della donna praticate dalla cattolicità e di tanta misoginia e sessuofobia che affliggeranno la Chiesa per secoli e ancora la affliggono. Ma andiamo con ordine nel considerare i tipi.

La madre solerte, forte, premurosa, ambiziosa, molto attaccata al figlio maschio, possessiva: è il modello di madre che emerge dalle testimonianze. In parte è un’icona ritagliata sul prototipo della matrona romana, su cui s’innesta la novità del cristianesimo. Questo dalle origini si dibatte in una contraddizione. C’è l’esempio di Gesù che «libera» la donna dalle sudditanze; per lui non è alla stregua di una «cosa» (come negli usi romani); negli incontri rivela l’alta considerazione verso una persona non certo inferiore all’uomo e contraddice così la cultura del tempo. Narrano i vangeli che Gesù si mostra a Maria di Magdala e alle altre donne come il Risorto davanti al sepolcro vuoto: loro sono le protagoniste, a esse affida l’annuncio pasquale. Dall’altra parte c’è San Paolo che invita le mogli a stare sottomesse ai mariti e ispira la visione di un ruolo ancillare, silenzioso, subordinato.

Ecco, allora: Elena anticipa quella che in epoche successive sarà la Regina Madre. Locandiera, legata a Costanzo Cloro cui darà un figlio, Costantino, fa di tutto perché questi diventi padrone dell’Impero: tesse rapporti, guida, consiglia. Verrà ricambiata: Costantino cingerà lei del diadema imperiale (invece della «traditrice» Fausta) introducendo nell’iconografia una coppia un po’ incestuosa: madre e figlio.

Psicologicamente Costantino sarà in un certo modo sottomesso a Elena. A Gerusalemme lei troverà le reliquie del Santo Sepolcro. Dei chiodi della Croce ornerà la corona imperiale (posta sul capo dei padroni del mondo sino a Napoleone) per dire che chi governa è sottomesso a Dio, e farà il morso del cavallo del figlio: anche i sovrani devono frenare le pulsioni.

Madre altrettanto ingombrante, sul piano degli affetti in questo caso, fu Monica per Agostino. Questi aveva cercato di liberarsene partendo per Roma senza dir nulla ma Monica non si scoraggiò, lo inseguì e raggiunse sino a Milano, capitale ai tempi. Qui convinse il figlio, all’apice del successo come retore, a rispedire in Africa la compagna e si diede da fare perché trovasse a corte una moglie. Intanto s’era pure spesa affinché Agostino conoscesse Ambrogio, che a Milano contava più delle insegne imperiali. Così l’amore di madre si trasformò: cadde il progetto di ascesa sociale, venne la conversione e il futuro padre della Chiesa riprese la via dell’Africa, senza più Monica però, che morirà sulla via del ritorno.

Un altro genere di donna, che ebbe e ha importanza nella Chiesa, nei costumi, nella cultura è incarnato da Marcellina. La sorella di Ambrogio, dopo aver contribuito a crescere i fratelli, prese il velo con papa Liberio. Grazie a lei si prospettò una scelta di vita ricalcata sul modello del monachesimo orientale, di cui Ambrogio era estimatore: la verginità (su questa il Patrono di Milano compose una delle sue opere principali), la consacrazione, il chiostro in cui ritirarsi, pregare e, in taluni sviluppi, lavorare, garantire il prosieguo delle tradizioni e aprirsi al mondo attraverso opere di carità. Costantino, Ambrogio, Agostino e lo loro donne: esempi d’una storia plurale che continua, viene costruita giorno dopo giorno ancora, si evolve.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/1/2013 17.49
Titolo:Noi, cattolici, ci rifiutiamo di condannare “il genere”
Noi, cattolici, ci rifiutiamo di condannare “il genere”

di Anne-Marie de la Haye e la segreteria del Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 27 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Siamo delle cristiane e dei cristiani, fedeli al messaggio del vangelo, e viviamo lealmente questo attaccamento all’interno della Chiesa cattolica. La nostra esperienza professionale, i nostri impegni associativi e le nostre vite di uomini e di donne ci danno la competenza per analizzare le evoluzioni dei rapporti tra gli uomini e le donne nelle società contemporanee, e per discernervi i segni dei tempi.

Abbiamo preso conoscenza delle raccomandazioni del nostro Santo Padre, papa Benedetto XVI, rivolte al Pontificio Consiglio Cor Unum, nelle quali esprime la sua opposizione nei confronti di quella che chiama “la teoria del genere”, mettendola sullo stesso piano delle “ideologie che esaltavano il culto della nazione, della razza, della classe sociale”. Riteniamo questa condanna infondata ed infamante. Il rifiuto che l’accompagna di collaborare con ogni istituzione suscettibile di aderire a questo tipo di pensiero, è ai nostri occhi un errore grave, tanto dal punto di vista del percorso intellettuale che della scelta delle azioni intraprese a servizio del vangelo.

Affermiamo qui, con la massima solennità, che non possiamo aderirvi.

In primo luogo, è sterilizzante. Infatti, nel campo del pensiero, rifiutare di prender conoscenza di certe opere, o di affrontare argomenti con certi partner senza mostrare a priori un atteggiamento benevolo e disponibile al dibattito non è il modo migliore per progredire in direzione della verità.

Che cosa sarebbe successo se Tommaso D’Aquino si fosse astenuto dal leggere Aristotele, con il pretesto che non conosceva il vero Dio e che le sue opere gli erano state trasmesse da traduttori musulmani?

Del resto, sul campo, sapere se si deve o meno collaborare con soggetti animati da idee diverse dalle nostre, è una decisione che può essere presa solo in quel luogo e in quel determinato momento, in funzione delle forze presenti e dell’urgenza della situazione. Cosa sarebbe successo, a proposito della lotta contro il nazismo e il fascismo, se i resistenti cristiani avessero rifiutato di battersi accanto ai comunisti, atei e solidali di un regime criminale?

Veniamo ora al tema in questione: smettiamola di lasciare che si dica che la nozione del genere è una macchina da guerra contro la nostra concezione di umanità. È falso. Essa è frutto di una lotta sociale, e cioè la lotta per l’uguaglianza tra uomini e donne, che si è sviluppata da circa un secolo, inizialmente nei paesi sviluppati (Stati Uniti d’America ed Europa), e di cui i paesi in via di sviluppo cominciano ora a sentire i frutti. Questa lotta sociale ha stimolato la riflessione di ricercatori in numerose discipline delle scienze umane; queste ricerche non sono terminate, e non costituiscono affatto una “teoria” unica, ma un insieme diversificato e sempre in movimento, che non bisognerebbe ridurre ad alcune sue espressioni più radicali.

Il vero problema non è quindi ciò che si pensa della nozione di genere, ma ciò che si pensa dell’uguaglianza uomo/donna. E, di fatto, la lotta per i diritti delle donne rimette in discussione la concezione tradizionale, patriarcale, opposta all’uguaglianza, dei ruoli attribuiti agli uomini e alle donne nell’umanità.

Nelle società in via di sviluppo in particolare, la situazione delle donne è ancora tragicamente lontana dall’uguaglianza. L’accesso delle donne all’istruzione, alla salute, all’autonomia, al controllo della loro fecondità si scontra con forti resistenze delle società tradizionali. Peggio ancora: in certi luoghi è costantemente minacciato perfino il semplice diritto delle donne alla vita, alla sicurezza e all’integrità fisica.

Non si può, come fa il papa nei suoi interventi a questo proposito, pretendere che si accolga come autentico progresso l’accesso delle donne all’uguaglianza dei diritti, e continuare al contempo a difendere una concezione di umanità in cui la differenza dei sessi implica una differenza di natura e di vocazione tra gli uomini e le donne. C’è in questo una contorsione intellettuale insostenibile.

Come negare infatti che i rapporti uomo/donna siano oggetto di apprendimenti influenzati dal contesto storico e sociale? Pretendere di conoscere assolutamente, e col disprezzo di ogni indagine condotta con le acquisizioni delle scienze sociali, quale parte delle relazioni uomo/donna deve sfuggire all’analisi sociologica e storica, manifesta un blocco del pensiero del tutto ingiustificabile.

Dietro questo blocco del pensiero, sospettiamo un’incapacità a prender posizione nella lotta per i diritti delle donne. Eppure, questa lotta non è forse quella delle oppresse contro la loro oppressione, e il ruolo naturale dei cristiani non è forse quello di rovesciare i potenti dai troni?

Levarsi a priori contro anche solo l’uso della nozione di genere, significa confondere la difesa del Vangelo con quella di un sistema particolare. La Chiesa ha fatto questo errore due secoli e mezzo fa, confondendo difesa della fede e difesa delle istituzioni monarchiche, e più tardi dei privilegi della borghesia. Rifacendo un errore analogo, ci condanneremmo ad una emarginazione ancora maggiore di quella in cui ci troviamo già attualmente. Come non temere che questa condanna frettolosa sia uno dei tasselli di una crociata antimodernista mirante a demonizzare un’evoluzione contraria alle posizioni acquisite dell’istituzione?

Per questo motivo, con viva preoccupazione, ci appelliamo ai fedeli cattolici, ai preti, ai religiosi e alle religiose, ai diaconi, ai vescovi, affinché evitino alla nostra chiesa questa situazione di impasse intellettuale, e perché sappiano riconoscere, dietro a una disputa di termini, le vere poste in gioco della lotta per i diritti delle donne, e il giusto posto della loro Chiesa in questa lotta evangelica.

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