LIBRI
ALDO CAZZULLO PRESENTA "SANGUE D'ITALIA" DI SERGIO LUZZATTO

[Dal "Corriere della sera" del 2 ottobre 2008 col titolo "Storici e no, guerra sulla memoria" e il sommario "Una raccolta di articoli mette sotto accusa i saggi divulgativi di Montanelli, Pansa e Vespa. Lotta partigiana, vendette e impunità: la polemica di Sergio Luzzatto"]

"Gli storici devono fronteggiare una sorta di concorrenza sleale: la concorrenza di giornalisti, o comunque di opinion-makers che il sistema dell’informazione tende ad accreditare come ferrati in materia di storia, e che il pubblico è indotto a riconoscere come tali". Per cui "capita fin troppo spesso che diventino bestseller libri dove la storia è trattata in un modo all’apparenza cordiale, in realtà dilettantesco: autorizzando nei lettori un sentimento di familiarità con il passato che andrebbe considerato, piuttosto, ignoranza aggravata di quel passato". Ed ecco i nomi: "I libri ’storicì di Indro Montanelli hanno fondato un genere che continua a prosperare, e a fare danni: per esempio, nella forma dei libri ’storicì di Giampaolo Pansa o di Bruno Vespa".
La polemica di Sergio Luzzatto contro "il giampaolopansismo e il brunovespismo della memoria" non è inedita; anzi, percorre tutta la sua raccolta di Interventi sulla storia del Novecento che Manifestolibri manda oggi in libreria, con il titolo Sangue d’Italia. Però l’invettiva della - inedita - prefazione non è rivolta solo contro fortunati autori; colpisce una figura, quella del giornalista-storico. "Un falso medico che abusi del titolo per esercitare la medicina è passibile di azione legale per millantato credito, e in ogni caso viene additato pubblicamente come un ciarlatano. Perchè un falso storico che abusi del titolo per discettare sul passato dovrebbe meritare un trattamento differente?". Scrive Luzzatto di essere consapevole che "a fare discorsi del genere si rischia di vedersi rimproverato un atteggiamento corporativo, da ’ordine professionalè degli storici". Rischi che, aggiunge, vale la pena di correre: "Io credo che gli storici di mestiere devono svolgere un’azione - per così dire - di igiene culturale. Al pari di ogni altro mestiere, quello dello storico presuppone sia la padronanza di alcune tecniche di lavoro, sia il rispetto di una deontologia professionale: senza le quali non si ha storia, ma chiacchiera, e non si ha uso pubblico del passato, ma abuso".
La tesi di Luzzatto è che proprio all’uso della storia nella scena politica e culturale mirino libri il cui successo viene attribuito non tanto al contenuto o al linguaggio quanto al vellicare gli istinti peggiori e la cattiva coscienza della nazione. È qui che la sua polemica appare un pò troppo severa, quando contesta a Pansa non inesattezze ma, in fin dei conti, il successo: "Il libro ripete cose che si sanno. Che sono state dette e ridette, scritte e riscritte, interpretate e reinterpretate - con ben maggiore sottigliezza rispetto a quella di Pansa - da tutti i migliori studiosi della guerra civile e dell’immediato dopoguerra", tra cui sono citati Mirco Dondi, Guido Crainz, Santo Peli, Massimo Storchi. Come se non fosse naturale che una firma del prestigio e della notorietà di Pansa, e una penna del suo livello, abbia una diffusione superiore quando si occupa, magari in modo più fruibile al grande pubblico, di temi magari già affrontati dagli storici. Il vero demerito di Pansa diventa allora, agli occhi di Luzzatto, il suo pubblico, l’"audience giampaolopansista", la stessa che ieri fu di Montanelli e oggi è di Vespa - "un giornalista che pure, in confronto a Pansa, torreggia come un gigante della storiografia" -, vale a dire "il ventre molle di un’Italia anti-antifascista prima ancora che anticomunista. Un Paese felice di vedere i resistenti messi alla berlina della storia o, peggio, alla ghigliottina della morale. Un Paese felice di scoprire che i propri padri o i propri nonni, che nulla avevano fatto durante la guerra civile, non valevano meno di coloro che si erano vantati di avere liberato la penisola, mentre avevano versato dovunque sangue innocente".
Qui si profila meglio "l’azione di igiene culturale" che Luzzatto rivendica a sè e ai colleghi. Ricordare ai lettori che la storia della guerra civile è fatta anche e soprattutto delle atrocità commesse da nazisti e fascisti - indimenticabili le pagine sugli impiccati di Bassano del Grappa -, e che il dopoguerra è segnato non solo dalle vendette, ma pure dall’impunità: "Chi aveva comandato i plotoni d’esecuzione di Salò venne assolto perchè non aveva personalmente imbracciato il fucile. Chi aveva stretto nelle morse i genitali degli antifascisti fu amnistiato perchè la tortura non era durata particolarmente a lungo. Chi aveva promosso lo stupro di gruppo delle staffette partigiane venne giudicato colpevole di semplice offesa al pudore femminile", come scrive Luzzatto in riferimento a L’amnistia Togliatti di Mimmo Franzinelli, "un libro che molto più dei volumi di Pansa o di Vespa meriterebbe di andare incontro a un destino da bestseller". La pars construens di Luzzatto convince più della pars destruens pure per questo motivo: lo storico genovese, oltre a pubblicare da Einaudi, interviene sui giornali anche perchè scrive benissimo. Dimostrando in prima persona come il rigore non sia incompatibile con lo stile (da qui il grande successo anche editoriale del suo ultimo saggio su padre Pio). Di particolare interesse le pagine in cui Luzzatto lavora sul filone che fin da Il corpo del Duce caratterizza la sua ricerca: la body history, l’importanza del corpo come mito politico nel Novecento italiano. Da rileggere il parallelo tra la fisicità (e il mito) di Mussolini e quella di Carnera. E le riflessioni su Pier Paolo Pasolini, che prendono spunto da una circostanza sinora ignorata, probabilmente dallo stesso scrittore: fu il padre, Carlo Alberto Pasolini, a salvare il Duce dall’attentato del 1926 a Bologna, cui seguono il linciaggio di Anteo Zamboni e le "leggi fascistissime". Tanto più che la stroncatura del giornalista-storico risparmia il grande rivale di Pansa, Giorgio Bocca, autore di testi storici - dalla biografia di Togliatti ai saggi sulla guerra fascista, la guerra partigiana, l’Italia repubblicana - che pure hanno avuto una vasta platea; eppure Bocca non è mai citato. Mentre a Brera, cui è dedicato un articolo di grande acutezza, viene fatto un riconoscimento: "Gianni Brera fu uno storico mancato".

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Numero 791 del 15 aprile 2009
 



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