“VATICANO S.P.A.”. LO IOR DEL DOPO MARCINKUS, NEL SEGNO DI MARCINKUS

di Agenzia ADISTA

 

35067. ROMA-ADISTA. Questo libro “vuole essere una testimonianza su quanto accade oltre il colonnato di San Pietro, oltre le divise blu cobalto delle guardie svizzere. Vuole soprattutto raccontare la realtà opaca della finanza vaticana a partire dai documenti di chi, tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta, ha vissuto in prima persona tutti i grandi eventi che hanno scosso il Vaticano, l’Italia e il mondo intero”. Così Gianluigi Nuzzi, giornalista di Panorama, presenta il suo libro-inchiesta Vaticano S.p.a., appena uscito per i tipi di Chiarelettere (pp. 266, 15 euro). Il testimone eccellente cui fa riferimento Nuzzi è mons. Renato Dardozzi (1922-2003), dal cui archivio personale è tratto gran parte del materiale alla base dell’inchiesta.
Mons. Dardozzi è stato per più di vent’anni una figura chiave nella gestione delle finanze vaticane: laureato in matematica, ingegneria, filosofia e teologia, Dardozzi diventa sacerdote nel 1973 abbandonando una già avviata carriera all’interno del gruppo di Telecomunicazioni Stet. L’amicizia con l’allora Segretario di Stato Agostino Casaroli favorisce l’inizio della sua collaborazione con la Santa Sede già dal 1974. A partire da questa data, mons. Dardozzi sarà sempre più coinvolto in compiti di controllo economicio-finanziario all’interno del Vaticano e della sua banca, lo Ior, incarichi che vengono rinnovati anche dopo l’avvicendamento, alla guida della Segreteria di Stato, di Casaroli con Angelo Sodano. Nel 1985 Dardozzi diventa anche direttore della Pontificia Accademia delle Scienze.
Dalla mole di documenti e appunti raccolti da mons. Dardozzi ed esaminati da Nuzzi emerge un quadro assai fosco della finanza vaticana, per nulla bonificata dopo gli scandali della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, dell’Ambrosiano di Roberto Calvi e delle vicende che hanno coinvolto il presidente dello Ior, l’arcivescovo Paul Marcinkus. Una realtà coperta dal più assoluto silenzio e protetta dalla più totale impunità, anche perché, ricorda Nuzzi nel libro, “lo Ior non può essere perquisito. I telefoni non possono essere intercettati. I dipendenti nemmeno interrogati. Per sapere qualcosa sulle operazioni della banca la magistratura di un qualsiasi Paese del mondo deve infatti avviare una rogatoria allo Stato del Vaticano” che quasi sempre “nega ogni chiarimento e respinge le rogatorie”.
Personaggio centrale nelle vicende raccontate dal libro è mons. Donato de Bonis, che nella delicata fase del dopo Marcinkus assume la carica di prelato dello Ior, mentre nel nuovo assetto dell’organigamma della banca la figura del presidente viene sostituita dal consiglio di sovrintendenza, presieduto a partire dal 1989 dal banchiere laico Angelo Caloia. Mons. De Bonis è indicato dalle carte di mons. Dardozzi come il vero architetto di quello che “negli anni Novanta costituirà un sistema offshore per il riciclaggio di denaro entro le mura vaticane con conti criptati”. Uno di questi conti è quello intestato alla “Fondazione Cardinale Francis Spellman”, ma in realtà il conto – nel quale affluiscono dall’‘87 al ‘92 oltre 26 miliardi di lire – è gestito da de Bonis per conto di Giulio Andreotti. Questo fiume di denaro è poi smistato in mille rivoli, attraverso donazioni e movimenti riportati puntualmente all’interno del libro: i beneficiari vanno dalle comunità religiose e associazioni impegnate in opere di assistenza (fra queste la Comunità di sant’Egidio, Nomadelfia di Grosseto e il Villaggio dei Ragazzi in provincia di Caserta) a singole personalità come la potentissima badessa generale della suore di santa Brigida, Tekla Famiglietti, al cassiere della Democrazia Cristiana Severino Citarristi, a diplomatici e cardinali sparsi in diversi Paesi del mondo.
Ma la finanza parallela dello Ior ha un ruolo di primaria importanza anche nella maxitangente Enimonont, rimasta nella storia del crepuscolo della prima Repubblica come la “madre di tutte le tangenti”. Lo Ior di De Bonis, scrive Nuzzi, viene “scelto per pulire e far transitare gran parte delle somme” della maxitangente e destinarle ai prestanome dei leader politici. Il denaro raccolto da Montedison ammonta a 152 miliardi di lire tra contanti e titoli di Stato che vengono gestiti principalmente da Sergio Cusani, allora consulente del patron del gruppo Ferruzzi Raul Gardini, e da Carlo Sama, allora amministratore delegato di Montedison, i quali si avvalgono della collaborazione del responsabile relazioni esterne di Montedison, Luigi Bisignani, molto legato ad Andreotti e a mons. De Bonis. Grazie a de Bonis Bisignani aprirà l’11 ottobre del 1990 il conto dove transiterà la prima tranche della maxitangente Enimont.
Perfino il denaro lasciato dai fedeli per le messe in suffragio dei defunti non sfugge alla maglie della finanza parallela vaticana e viene trasferito in conti personali. Il tutto dettagliatamente registrato sui circa quattromila documenti riservati della Santa Sede custoditi nell’archivio di mons. Dardozzi.
L’ultima parte del libro è invece frutto di nuove ed inedite testimonianze su conti correnti della banca vaticana intestati a uomini della mafia e sui progetti di un nuovo partito di centro che potesse diventare punto di riferimento della Chiesa dopo la caduta della Democrazia Cristiana e che sarebbe stato finanziato da fondi frutto di riciclaggio. (e. c.)

 

 

 

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Luned́ 15 Giugno,2009 Ore: 16:48