"Non è bene che luomo sia solo"
di Alberto Stucchi
Ecco, faccio un cosa nuova : proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? di Alberto Stucchi Estate 2001. In una notte di luglio, dal più profondo di me stesso sento salire forte e potente una voce che grida: “Signore, ma sei proprio sicuro che non possa avere una donna? Sei proprio Tu che lo vuoi?”. E il desiderio che provo è quello di una presenza femminile accanto a me, il contatto con il suo corpo, la sua pelle contro la mia. Mi riaddormento e il mattino dopo, al risveglio, scendo in Chiesa a pregare e tutto riprende come al solito, o, almeno, così mi sembra. Ero allora il Priore della Comunità Monastica dell’Abbazia di Chiaravalle di Milano. “Non è bene che l’uomo sia solo.... “ (Genesi 2,18) Non è bene che l’uomo sia solo. Ho sempre sentito per gli altri la profonda verità di queste parole, manon mi accorgevo ancora della mia solitudine. Mi avevano sempre fatto credere che la scelta per Dio e per gli altri fosse in alternativa alla scelta per una donna, considerata come qualcosa di egoistico e, quindi, meno perfetto nei confronti di una “consacrazione speciale” per il Regno dei Cieli. Ed io ci sono cascato: arrivai a credere di non essere fatto per stare con una donna, fino al punto di percepire ogni mia fidanzata come un ostacolo alla mia “vera” vocazione. “Guai ... a chi è solo” (Qoélet 4,10) Prima di entrare in monastero ebbi un amico con cui condividevo l’impegno in parrocchia e il cammino di ricerca vocazionale. Non era molto socievole e la solitudine che esprimeva era per me talmente insostenibile che avrei fatto qualsiasi cosa pur di lenirla. Così passavo gran parte del mio tempo con lui, per “fargli del bene”, per soddisfare il ”bisogno” che lui esprimeva di me e placare così la sua sofferenza. Non capii cosa volesse da me se non dopo molto tempo. Lui, in realtà, nel nome dei grandi ideali dell’amicizia e della fratellanza, mi chiedeva insistentemente più di quello che potessi o volessi dare, se non al prezzo di annullare me stesso. Eppure riusciva a farmi sentire a disagio e in colpa per non aver fatto abbastanza. E così anche in Monastero. Quanta solitudine vedevo negli altri... E quante richieste di vicinanza anche di tipo sessuale... E non giudicavo perché sentivo il dramma che si poteva nascondere dietro tali proposte. Avrei fatto qualunque cosa perché stessero meglio ma non potevo fare quello che mi chiedevano. Un giorno un mio confratello sacerdote mi si presentò con le bellissime parole del Qoélet (4,9-12): Meglio essere in due che uno solo... Infatti, se vengono a cadere, luno rialza laltro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi? E, in nome di tali parole e di termini vaghi come amicizia spirituale mi invitava a passare delle notti con lui e mi consigliava di fare lo stesso con i novizi, come se questo fosse uno dei “compiti” del Priore, un suo gesto misericordioso nei confronti di un bisogno tanto profondo quanto nascosto. E sapeva rendere talmente convincente questa evidente pretesa di violare la mia libertà, che alla scelta di non acconsentire faceva seguito da parte mia un grande dispiacere per non aver colmato il loro vuoto. Quanta solitudine vedevo negli altri... Ma non mi accorgevo ancora della mia . <“... gli voglio fare un aiuto che gli corrisponda.” (Genesi 2,18) Finalmente venne Elena, il nostro incontro d’amore. Mi sentii rinascere, fu un’esplosione di vita: centuplicò la voglia di vivere, pregare, lavorare, la voglia di correre, cantare, danzare, la voglia di ringraziare Dio per ogni cosa, la voglia di parlare di Lui. E soprattutto mi venne un nuovo sguardo nei confronti dei miei confratelli e di chiunque incontravo: adesso sì, che iniziavo a comprendere con maggior verità la loro solitudine, ora che mi ero accorto della mia e vivevo l’indescrivibile bellezza dell’amore. Di un amore non più generico, indifferenziato, verso tutti, ma l’amore dell’amato con l’amata, un Vangelo vivente, una fede fatta di passione e di calore, di carne baciata e accarezzata, lacrime e capelli. Avevo tutto, la tranquillità economica, un ritmo di vita congeniale, una posizione di prestigio, il consenso e la stima di molti. E in questo “paradiso terrestre”, vissi l’esperienza di Adamo: niente ti basta e nemmeno Dio basta, se al fianco non hai quell’unico aiuto che ti corrisponda, riconoscibile tra mille e mille tanto da farti esclamare tu sei carne della mia carne e ossa delle mie ossa. “L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Marco 10,9) E nel profondo comprendo che una tale esperienza è esperienza di Dio e mi sento monaco, prete, priore più che mai perché con un fuoco che prima non conoscevo. E nel profondo comprendo che a quell’ insostenibile solitudine di amici e confratelli non potevo rispondere io, e nemmeno Dio. E nel profondo comprendo che voler chiamare “stato di perfezione” uno stile di vita in cui l’uomo separa ciò che Dio ha congiunto è rendere a Dio un culto vano, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Nossignori, così non va. E sono felice, voglio cambiare, immagino Chiaravalle come un villaggio, dove, attorno all’Abbazia, ci sia posto per uomini, donne e bambini e con Elena riassumo il tutto con una semplicissima formula: ora, labora et ama. E ne parlo ai miei confratelli. Povero illuso! “Sei su posizioni che la Chiesa Cattolica non può accettare.” Tante grazie. Scuoto la polvere dai sandali e me ne vado. “Perché infastidite questa donna?” (Matteo, 26,10) Ma non finisce qui: “Hai perso la testa, sei stato plagiato, Hai abbandonato il mare dell’amore di Dio per la pozzanghera dell’affetto di una donna, Quanto spreco! Facevi del bene a tante persone ora ti occupi di una persona sola... Ascolta noi che sappiamo chi sei veramente e parliamo per il tuo vero bene, che preghiamo Dio affinché allontani da te il nemico...” Diamine! Avessi ammazzato qualcuno non avrei suscitato tanto scalpore. Parole del genere oggi mi fanno ridere, ma quando sei a un punto di svolta esse vanno a risuonare con quelle parti di te che ancora non sono libere, con quell’uomo vecchio che non vuole nasca il nuovo. E provocano un oceano di confusione, depressione e sofferenza, in me e in Elena sulla quale, in ultima istanza, cadono le accuse: io sono la vittima, lacolpevole è lei . Sì, è colpevole, ha compiuto verso di me un’opera bella. Ecco la sua colpa. E dunque, lasciatela stare. Perché le date fastidio? D’ora in poi per me annunciare il Vangelo sarà raccontare anche ciò che ella ha fatto per me, l’amore che Dio mi ha usato attraverso di lei. E dunque basta soffrire, piangere e pregare perché torni sui miei passi e rientri nei ranghi. Dovevate farlo prima, quando ero solo, non ora, che, battezzato nell’amore sto camminando in una vita nuova. Non piangete su di me ma su di voi. E se per me non sapete rallegrarvi ed esultare, allora, ve ne prego, smettetela di pregare. “A due a due” (Luca 10,1) 28 settembre 2003. E adesso come va? Non è più notte, ma non è ancora giorno. Fuori dall’Egitto non c’è la terra promessa ma il deserto. Come attraversarlo? Nulla. Per il viaggio non prendete nulla, né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa, nulla. Ma andate a due a due. Lunedì, 10 novembre 2003 |