RIAMMISSIONE ALLA CONDIZIONE DI CHIERICO.

di p. Nadir Giuseppe Perin

Una risposta alla domanda "E' possibile essere riammessi alla condizione di chierico?"


Una domanda che a volte viene fatta anche dai laici è  :  un prete che da qualche anno o da diversi anni ha “lasciato l’istituzione ecclesiastica” chiedendo e ricevendo il Rescritto di dispensa dalla promessa di celibato, senza però, nel frattempo, aver mai contratto matrimonio, né civile, né religioso, potrebbe essere riammesso alla condizione di chierico, qualora lo richiedesse ?
 
Qualora, dopo la comunicazione del rescritto, il richiedente, mosso a penitenza, manifestasse l’intenzione di voler continuare nell’esercizio del ministero presbiterale, egli rimane ugualmente sospeso da qualunque ufficio presbiterale, dato che con la notificazione ha già perso la sua condizione di chierico. Può inviare alla Congregazione una nuova petizione per essere riammesso allo stato clericale. La Congregazione, dopo un giusto tempo di prova, tenuto presente il parere favorevole dell’ordinario, deciderà sull’opportunità di inoltrare la nuova richiesta al Sommo Pontefice[1].
Anche se la perdita dello stato clericale è una pena espiatoria che usualmente viene inflitta in modo perpetuo, poiché lo stato clericale, in quanto tale, è una costruzione del Diritto canonico e poiché le situazioni sono tante e diversificate le une dalle altre, anche se occorre prudenza, non si può escludere, a priori, la possibilità di riammissione nello stato clericale.
Si tratta sempre di disposizioni codificate dall’uomo e non da Dio. Con il tempo si chiariscono tante situazioni difficili o addirittura impossibili. La stessa età può portare ad una maggiore ponderazione e maturazione. La grazia di Dio, del resto, non cessa di operare e di trasformare le coscienze. Gli effetti tuttavia della perdita di tale stato sono uguali per tutti, indipendentemente dalla causa che l’ha prodotto.
Una eventuale riammissione allo stato clericale è pura grazia, come lo è stata la dispensa dalla legge del celibato e può essere concessa solo dalla Sede Apostolica mediante rescritto[2]
Il prete che viene riammesso nella condizione clericale deve essere incardinato, nuovamente, cioè ascritto ad una Chiesa particolare.
l'incardinazione è un principio fondamentale dell'ordinamento canonico. Ogni chierico deve essere ascritto ad una Chiesa particolare (diocesi, prelatura, abbazia territoriale, vicariato o prelatura apostolica, amministrazione apostolica stabilmente eretta) o ad una prelatura personale o ad un istituto di vita consacrata o ad una società di vita apostolica che ne abbiano facoltà. In nessun modo è consentito che ci siano chierici acefali o vaganti, privi cioè d’incardinazione.
L'istituto dell’incardinazione è uno degli istituti più antichi dell'organizzazione ecclesiastica. Risale all'epoca apostolica, perché fin da allora prevalse il principio di non ordinare chierici se non per il servizio di una determinata chiesa. Gli stessi concili - specialmente quello di Nicea (325) e quello di Calcedonia (451)- sanzionarono tale norma, vietando le ordinazioni assolute, cioè senza alcun titolo e interdicendo ai chierici acefali l'esercizio degli ordini. Fu inoltre vietato il passaggio ad un'altra Chiesa.
Durante il Medio Evo per l'allentarsi della disciplina, le ordinazioni assolute si fecero frequenti. Contro di esse intervenne il concilio di Trento, il quale richiamò le disposizioni del concilio Calcedonense, confermandone le sanzioni[3].
Con la perdita dello stato clericale si perde anche l’incardinazione in una diocesi o l’appartenenza ad un istituto religioso[4] ed il chierico - non incardinato - non ha più un ordinario che sia il "punto di riferimento" da un punto di vista giuridico; d’altra parte, per poter esercitare il proprio ministero, derivante dall’ordine, non si può fare a meno dell’incardinazione; bisogna essere dei “chierici incardinati”. Tanto è vero che l’escardinazione pur concessa nei modi prescritti dal diritto non ha effetto se non è stata ottenuta l’incardinazione in un’altra Chiesa particolare.
Se si tratta, poi, di un chierico religioso questi, pur potendo essere riammesso, come religioso, all’istituto, non può essere ammesso allo stato clericale se non con un rescritto della Santa Sede.
L'incardinazione ha una triplice finalità: pastorale, cioè provvedere efficacemente all'organizzazione e all'attività della Chiesa particolare. I chierici incardinati sono al servizio di quella chiesa; disciplinare, cioè ordinare opportunamente la vita del clero e l'esercizio del ministero, impedendo con un particolare legame di dipendenza dell'autorità costituita, gravi abusi e disordini; personale, cioè garantire ad ogni chierico la sua libertà, i suoi diritti e anche il necessario sostentamento.
L'acquisizione della condizione ecclesiale di chierico e la relativa incardinazione originaria, oggi, hanno luogo mediante la recezione del diaconato.
L'incardinazione derivata formale si effettua mediante un procedimento amministrativo che comprende, affinché sia valida, due atti distinti: la lettera di escardinazione del proprio Vescovo diocesano il quale concede che un suo chierico lasci definitivamente la diocesi; e la lettera di incardinazione del vescovo che riceve nella sua diocesi il predetto chierico. Le due lettere devono essere sottoscritte personalmente.
Quando un chierico secolare viene trasferito legittimamente dalla propria Chiesa particolare in un'altra, egli viene incardinato per diritto nella nuova chiesa a condizione che il chierico manifesti la sua volontà di essere incardinato nella nuova chiesa; che tale manifestazione di volontà avvenga in iscritto, e sia fatta tanto al Vescovo proprio che al Vescovo ospite; che sia trascorso un quinquennio di legittima permanenza nella nuova Chiesa; inoltre che nessuno dei due Vescovi, entro quattro mesi dalla ricezione della lettera del chierico, abbia manifestato una volontà contraria alla detta incardinazione.
Quando un chierico viene ammesso in un Istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica che abbiano la facoltà di incardinare loro membri chierici, con l'ammissione perpetua o definitiva in detto Istituto o Società, il chierico viene “per lo stesso diritto” escardinato dalla propria diocesi e incardinato nell'Istituto o nella Società.
Quando un chierico incardinato in un Istituto religioso o in una società di vita apostolica, il quale ottiene l'indulto di lasciare l'Istituto o la società ed è accolto in prova in una diocesi del Vescovo del luogo, trascorsi cinque anni, senza che il Vescovo lo respinga, esso viene incardinato per diritto stesso nella diocesi ospite.
Al di fuori di una vera necessità della propria Chiesa particolare, il Vescovo diocesano non può negare di trasferirsi altrove, a quei chierici che ritenga preparati e idonei a recarsi in regioni scarse di clero, per esercitarvi il loro ministero. Deve aver cura che i diritti e doveri dei chierici siano opportunamente definiti, mediante una convenzione scritta col Vescovo del luogo che intendono raggiungere; la licenza del trasferimento può essere concessa per un tempo determinato, rinnovabile più volte, in modo tuttavia che i chierici che si trasferiscono, rimangano incardinati nelle proprie diocesi e, ritornandovi, godano di tutti i diritti di cui sarebbero in possesso, se avessero esercitato in essa il ministero.
Il chierico che si è trasferito legittimamente in altra chiesa, può essere sempre richiamato per una giusta causa dal proprio vescovo purché siano rispettate le convenzioni stipulate con l'altro Vescovo e salva anche l'equità naturale. Anche il Vescovo al quale il chierico si è rivolto per essere incardinato, può, per una giusta causa, negare al chierico la licenza di una sua ulteriore permanenza nel suo territorio.
L'amministratore diocesano non può concedere il permesso di trasferirsi in un'altra chiesa particolare, né, molto meno, l'escardinazione o l'incardinazione, se non a due necessarie condizioni: che sia trascorso un anno dalla vacanza della sede episcopale e che ci sia il consenso del collegio dei consultori.
D’altra parte un’eventuale riammissione richiede sempre tempi lunghi o comunque periodi di prova, che esigono soluzioni di transizione, anche per ciò che attiene all’esercizio del ministero. Situazioni del genere vanno riferite fin dall’inizio alla Santa Sede e ci si dovrà attenere, poi, alle istruzioni che verranno date.
 
p. Giuseppe dall’Abruzzo


[1] Cfr. Paolo VI, Sacerdotalis caelibatus in AAS (1967) 657-697- Congregazione per la dottrina della fede, De dispensatione a sacerdotali caelibatu, in AAS (1980) 1132-1135 -W. Bertrams, Adnotatio brevis quoad illa quae Conc. Vat. II de caelibatu sacerdotali enuntiat in Periodica (1956) 594-599- V. De Paolis, Stati di vita delle persone nella Chiesa, secondo il CIC in Episcopato, presbiterato e diaconato, Ed. Paoline, 1988, 75- 144- V. De Paolis, I ministri sacri o chierici in Il fedele cristiano, Dehoniane, Bologna 1989, 103- 174- V. De Paolis, Amissio status clericalis, in Periodica (1992) 251- 282 - M. Zalba, De sacerdotalis caelibatus dispensatione normae hodierne in Periodica (1981) 238 -256
[2] Cfr. can. 293; Congreg. Santo Ufficio, Circolare e Norme, 2 Febbraio 1964; Congregazione Dottrina della Fede, Norme, 14 ottobre 1980.
[3] Concilio di Trento, Sess. XXIII, 15 luglio 1563, De Reformatione, can. XVI. Cfr. LUIGI CHIAPPETTA, op. cit. , pp.200 ss.
[4] I canoni che parlano dell'ascrizione o incardinazione dei chierici sono i can. 265-272. Il procedimento per l'escardinazione e l'incardinazione è lo stesso (cann. 267-268).


Marted́ 02 Dicembre,2008 Ore: 10:47