Articolo sulle Compagne dei Preti - Rivista Ticinosette

“Non è bene che l’uomo sia solo…” (Gen 18)

Questo blog nasce dall’esigenza di portare alla luce la sofferenza, i problemi, le contraddizioni e gli ostacoli o i divieti che derivano dalla legge del celibato obbligatorio dei preti, così come previsto nell’ordinamento della chiesa cattolica romana.
Vuole essere principalmente un punto per lo scambio di esperienze e per il sostegno reciproco di quanti sono coinvolti in questa problematica:

• Le donne, che sono costrette a nascondersi, talvolta a vergognarsi di ciò che provano, subendo i cambi continui di umore di una immaturità affettiva dei chierici

• I preti, che vivono uno stato di confusione tra ciò che sembra essere il loro obbligo di fedeltà verso la chiesa a cui appartengono, e la bellezza di una nuova scoperta.

• I figli nati da queste relazioni, che hanno tutto il diritto di essere figli come tutti gli altri e quindi amati e cresciuti da entrambi i genitori. Soprattutto, come la gerarchia sosteneva a riguardo del referendum sulla legge 40, hanno il diritto di conoscere chi è il loro padre

E’ evidente che il celibato obbligatorio sia solo uno dei sintomi di una rigidità dottrinale che non contempla il bene dell’uomo e, per questo, la chiesa stessa (il popolo di Dio) deve trovare la forza e la libertà di andare oltre la legge, proprio sulle orme dell’uomo Gesù che ha avuto il coraggio di sfidare i mali del Tempio.

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Messaggiodi Stefania » 30 mar 2012, 16:25

Cari lettori,
riporto qui di seguito il testo dell'intervista che Ticinosette ha fatto alla sottroscritta in relazione a questo blog, ai suoi contenuti e al problema delle relazioni donna/prete di cui lo stesso blog si occupa.

Mi farà piacere se vorrete dare il vostro contributo/feedback.

Saluti
Stefania


LE DONNE DEI PRETI
Intervista a Stefania Salomone
di Roberto Roveda

Articolo pubblicato sulla rivista Ticinosette n. 12 del 23 marzo 2012 rubrica Agorà

I sentimenti dei sacerdoti rappresentano ancora un argomento delicato e spesso taciuto nella Chiesa cattolica, che, nelle sue più alte cariche, si appella al principio della sacralità del celibato ecclesiastico. Cidònonostante, anche i preti si innamorano, come accade a tutti gli altri uomini, e hanno donne che li amano in silenzio, spesso soffrendo per l'impossibilita di vivere la relazione alla luce del sole
"Sono storie che si sviluppano attorno alle esigenze del prete, alle quali la donna riesce a opporsi molto di rado, pretendendo solo qualche giorno in estate da trascorrere insieme in luoghi dove nessuno dei due sia conosciuto, e un po' di tempo durante la settimana, ove possibile"
Non e facile parlare di sacerdoti e dei loro sentimenti. Anche il solo accenno alla possibilità che al prete, come a tutti gli uomini, possa accadere di innamorarsi e di desiderare di avere accanto una persona con cui condividere la quotidianità, provoca reazioni spesso esagitate, soprattutto in seno al mondo ecclesiastico e accuse di voler fare del sensazionalismo e di cercare lo scandalo a tutti i costi. Come se il celibato sacerdotale fosse un'imposizione celeste e non una norma dettata da uomini per altri uomini. Ancora più spinoso e provare a parlare di quelle donne che vivono la loro vita a fianco dei sacerdoti, di nascosto, accettando relazioni ambigue e mai del tutto soddisfacenti. Relazioni dominate dal silenzio che e l'elemento che contraddistingue questo genere di situazioni, in ogni loro forma.
Quando inizia il legame, si instaura tra il sacerdote e la donna un reciproco patto di silenzio. Per portare avanti la storia si promette e si pretende un'assoluta riservatezza. Spesso i superiori del sacerdote ne sono a conoscenza, ma tacciono purché tutti gli altri facciano altrettanto. Da qualche tempo, pero, grazie anche a Internet, alcuni veli si stanno sollevando e molte donne hanno trovato il coraggio di raccontare il loro disagio e la loro sofferenza. Lo fanno rivolgendosi al blog "Amore Negato", che tratta di celibato obbligatorio e delle "donne dei preti" (http://www.ildialogo.org/phpBB302) sul sito "II Dialogo". Sono donne che accettano di rompere il silenzio in preda a una profonda disperazione, spesso presentandosi con un nome di fantasia perché temono di tradire la fiducia del sacerdote e per questo motivo di compromettere il legame affettivo. Di loro ci ha parlato la coordinatrice del blog Stefania Salomone.

Signora Salomone, cosa si trovano ad affrontare le donne che vivono un coinvolgimento affettivo con un sacerdote?
"Innanzitutto, per quanto la persona possa essere convinta di quello che sta vivendo deve fare i conti con pregiudizi e ipocrisie. Prima di tutto i propri. La cultura cattolica in cui siamo cresciuti fa si che una donna che si innamora del suo parroco, per fare un esempio, si senta in qualche modo colpevole di aver tentato un uomo di Dio. Da sempre ci e stato insegnato che il prete è colui che compie la scelta suprema di dedicare tutta la sua vita al Signore e alla Chiesa e che quindi va trattato con particolare rispetto. Salvo poi che magari è proprio lui ad ammiccare quando si trattiene più a lungo a parlare con qualcuna... Comunque, una volta avviata la storia, di solito inizia la sconsolante danza del «vorrei ma non posso». E solitamente la donna, comprensiva di fronte ai doveri pastorali e morali cui lui starebbe mancando, gli lascia gestire tempi, modi, luoghi. Molto spesso il prete impone dei periodi di separazione, durante i quali tenta di eliminare il senso di colpa che lo opprime, per poi capitolare e tornare a illudersi e a illudere. Non e raro però che il sacerdote abbia superato la fase dei sensi di colpa, magari perché e già stato coinvolto in altre relazioni. Ciò non rende più facile la questione. Infatti e proprio in questi casi che ci si trova di fronte a un fenomeno altrettanto inquietante: il religioso diventa un collezionista, seminando trambusto e sofferenza tra le tante malcapitate che incrociano i suoi passi. Comunque il filo conduttore di tutto è non legarsi. Gli stessi superiori, quando vengono a sapere delle relazioni che coinvolgono i loro sottoposti, tendono a suggerire di non impegnarsi".

Già, quale atteggiamento tengono le autorità ecclesiastiche in questi casi?
"II problema per l'establishment non è, come si potrebbe pensare, la castità, il rispetto del celibato, ma la libertà del sacerdote da ogni legame. La storia
deve continuare in gran segreto. O meglio, possono anche esserne a conoscenza in tanti (vescovo compreso), ma l'essenziale è che non ci siano chiacchiere in giro, che i panni sporchi rimangano in famiglia. Se arrivassero voci alle orecchie sbagliate ai giornali, per esempio, allora bisognerebbe prendere provvedimenti. Ma anche qui, contrariamente a ciò che si pensa, difficilmente si va oltre la tirata d'orecchi. A quel punto si lascia che le acque si calmino e tutto può procedere come prima. La parola d'ordine, insomma, è discrezione. Con buona pace di tutti, specie di quelli che sanno e fanno finta di non sapere, magari riaffermando (lo ha fatto anche il pontefice in una lettera inviata nell'ottobre 2010 a tutti i seminaristi) la sacralità del vincolo celibatario".

Come viene portata avanti allora la relazione?
"Con la continua ricerca di una normalità irrealizzabile. Lei solitamente lamenta l'immaturità affettiva e il poco tempo che lui concede alla relazione: «tutto viene prima di me», mi scrivono sul blog. Lui lamenta il fatto che la donna non comprende quanto sia importante il ministero presbiterale, quella che per lui e una «scelta di vita». Conosco storie che vanno avanti da oltre vent'anni e hanno raggiunto una qualche stabilita. Sono storie che si sviluppano attorno alle esigenze del prete, alle quali la donna riesce a opporsi molto di rado, pretendendo solo qualche giorno in estate da trascorrere insieme in luoghi dove nessuno dei due sia conosciuto, e un po' di tempo durante la settimana, ove possibile. Ma non c'è traccia di una normalità accettabile. Lei praticamente vive da single (o meglio da vedova) pur non essendolo, nascondendo a tutti il fatto di avere un compagno. Ciclicamente poi avviene la crisi; a partire da un qualunque fatto, torna a galla l'insoddisfazione e spesso la delusione della donna che incomincia a reclamare e pretendere di più, ben sapendo quale sarà la risposta. Lui le ricorda di essere un prete, di avere dei doveri da anteporre a qualunque altra questione, di amare profondamente la propria missione. E, per finire, le promette che cercherà in futuro di creare degli spazi da dedicarle. Promessa quasi sempre disattesa, ovviamente".

Chi sono le donne che hanno legami sentimentali con sacerdoti?
"Per la mia esperienza personale e soprattutto di ascolto attraverso il blog, posso affermare che le donne coinvolte nelle storie appartengono alle più svariate categorie. Sono donne a volte molto giovani, a volte più mature, spesso in carriera. In massima parte frequentano la parrocchia e sono molto attive al suo interno, giungendo a divenire una sorta di braccio destro o consigliere particolare del parroco. Non di rado sono esperte catechiste o gestiscono alcuni settori dell'amministrazione parrocchiale. A ogni modo tutte le donne coinvolte in queste relazioni sono persone tendenzialmente insicure di se, del proprio valore, pronte a considerare il prete mille volte superiore o comunque ad accettare che lui si consideri tale. Certo la mentalità clericale non aiuta il processo di evoluzione, ma devo dire che la cosa per cui mi batto con maggiore frequenza e che esse arrivino a guardare alla storia con lucidità, come se riguardasse qualcun'altra".

E ci riescono?
"Mah, una delle domande che mi viene rivolta spesso e: «Vorrei allontanarlo, ma alla fine non ci riesco. Cosa posso fare?» Ecco, ammetto che di fronte a questa domanda resto sempre abbastanza sconcertata. Quando si arriva a voler allontanare chi ci fa soffrire si presuppone che la decisione sia presa, pur sapendo a quale dolore si va incontro. Viceversa e sufficiente un sms o una telefonata da parte di lui per far crollare i «buoni propositi». A quel punto propongo delle soluzioni semplici: cambia scheda telefonica e allontanati dalla parrocchia per tutto il tempo necessario. Non starò qui a dire quante e quali ragioni vengono addotte per spiegare l'impossibilità di dare seguito anche a uno solo dei suggerimenti! C'è però un caso in cui la donna riesce ad allontanarsi dal prete che la fa soffrire: quando scopre che il prete frequenta altre donne. In un sussulto di dignità molte si sono defilate, poiché la gelosia, la rabbia e la delusione hanno preso il sopravento sull'illusione. Anche qui, però, bisogna capire cosa fa scaturire la delusione. Spesso, infatti, la donna non resta delusa dal comportamento dell'uomo, ma da quello del prete. Cioè sente che lui ha tradito il suo ruolo, o meglio l'immagine che lei ne aveva, e non la sua compagna. Insomma l'ennesima vittoria di una certa mentalità clericale e maschilista che vige nella Chiesa cattolica".
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Re: Articolo sulle Compagne dei Preti - Rivista Ticinosette

Messaggiodi Porfirea » 30 mar 2012, 20:43

Salve,
mi sono iscritta da pochi giorni e ho scelto il nome di Porfirea, nome che dovrebbe essere stato quello della moglie di S. Pietro e che rappresenta il sogno di tante di noi.
Anch’io ho sognato un matrimonio con il mio compagno-sacerdote (ma non so mai come chiamarlo: amico del cuore, marito, amante…) e dopo quasi vent’anni di vita vissuta quasi-insieme, sento quanto mi manca una famiglia, un po’ di stabilità, una casa comune, il vivere la nostra storia alla luce del sole. L’intervista di Stefania è uno specchio di questi anni, fatti sì di sentimenti forti, ma anche di silenzi, di bugie, di nascondimenti, e di crisi ricorrenti per entrambi. Io e il mio uomo ci diciamo spesso che forse fra venti, trent’anni sarà tutto più facile, che almeno la generazione futura non soffrirà quanto abbiamo sofferto noi. So bene che avrebbe potuto lasciare il sacerdozio e formare una famiglia con me, ma non credo che avrebbe funzionato. Ho capito presto che gli sarebbe mancato tutto quello che doveva lasciare.
Volevo e voglio che rimanga l’uomo che è, cercato e apprezzato da tante persone, coraggioso e impegnato a portare avanti un’idea di chiesa aperta e solidale. E io volevo condividere con lui tutto questo.
Mi sento di dire che la comunità laica è ormai pronta ad accettare un sacerdote sposato, ma purtroppo i laici hanno poca forza per cambiare le cose. Eppure penso che qualcosa possiamo fare, proprio noi donne, cercando di esporci un po’ di più. In fondo quante siamo? Credo tante, anche se ognuna di noi ha vissuto finora la propria esperienza da sola. Un articolo come quello di Stefania è una goccia, ma è così che si spezzano i pregiudizi, informando, parlando. Non possiamo certo aspettarci un’apertura improvvisa dalle gerarchie ecclesiastiche.
Possiamo fare qualcosa, almeno noi che ci leggiamo qui? Che ne so, magari inviare una lettera ai nostri settimanali diocesani. Forse non la pubblicheranno, ma può essere che si trovi qualche direttore sensibile e coraggioso. Io ci stavo già pensando e l’articolo di Stefania mi ha convinto definitivamente. Quest’anno si ricordano i 50 anni dal Concilio Vaticano II, e ormai i tempi sono nuovamente maturi per mettere in discussione altre problematiche all’interno della chiesa come quella del celibato dei sacerdoti. E perché non facciamo anche noi la nostra piccola parte? Vi farò sapere l’esito della lettera che spedirò al giornale.
Un saluto.
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Re: Articolo sulle Compagne dei Preti - Rivista Ticinosette

Messaggiodi Stefania » 2 apr 2012, 17:03

Beh, cara Porfirea, sostengo questa tua iniziativa pur sapendo che difficilmente qualcun'altra si prenderà la briga di scrivere a sua volta al settimanale diocesano.
Secondo me sarebbe una cosa da pensare e fare tutte insieme, affinché abbia più forza e visibilità.
Ma spesso la donna è ripiegata su se stessa e dimentica che le situazioni possono cambiare solo se alza la testa.
Perché non provi a mandarmi all'indirizzo email stefrissina@yahoo.it il testo che intendi scrivere e lanciamo un appello alle altre?

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Re: Articolo sulle Compagne dei Preti - Rivista Ticinosette

Messaggiodi miki » 10 apr 2012, 15:31

ciao a tutte! stefy chiedeva di leggere e commentare l'intervista...
secondo me, è fatta molto bene. sei stata chiarissima e molto concreta. stavo pensando di postare l'intervista su fb... che dici?
l'unica cosa, stefy, che io trovo differente rispetto a ciò che dici, è la gestione del rapporto quando viene allo scoperto. nella parrocchia che frequento da tanti anni ormai, quando ciò è successo i preti sono stati tempestivamente allontanati. in entrambi i casi, la comunità non ne sapeva ancora nulla, ma ne erano venuti a conoscenza i superiori... non so se ciò dipenda dalla differenza diocesani/religiosi... da noi ci sono gli agostiniani scalzi... intendo dire, dato che i religiosi avrebbero anche il voto di castità, magari i superiori si comportano in modo più severo...

volevo anche rispondere a porfirea: purtroppo non credo che i tempi siano maturi, xké la gerarchia non sarà mai pronta a rinunciare al potere e a tutti i suoi privilegi (meschinamente terreni...). celibato dei preti = potere della chiesa gerarchica.
come dice stefania, ciò che importa è che il prete non abbia legami... x quale motivo? xké sia psicologicamente legato a mamma chiesa. credo che la maggioranza dei preti che ha una storia con una donna non sia innamorato della persona in questione. quando ciò avviene, il prete lascia il ministero, xké non possono esserci vie di mezzo: non puoi più accettare di predicare in chiesa ciò che tu stesso senti, comprendi che non può essere del tutto vero, giusto, corretto.
non è assolutamente mia intenzione essere pessimista, spero davvero che le cose potranno cambiare in futuro...
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Re: Articolo sulle Compagne dei Preti - Rivista Ticinosette

Messaggiodi Stefania » 23 mag 2012, 16:50

VORREI PUBBLICARE IL COMMENTO DI UN LETTORE A QUESTO ARTICOLO E LA MIA SUCCESSIVA RISPOSTA (entrambi pubblicati su numeri successivi della stessa rivista)

Lettera di commento di F.F giunto per conoscenza alla redazione di Ticinosette.

Su Ticinosette n. 21 (n. 12 ndr) è stata pubblicata una relazione su “le donne dei preti” della signora Stefania Salomone, coordinatrice del blog Amore Negato che tratta di celibato obbligatorio e delle “donne dei preti”. Si tratta, in sintesi, di una sorta di deplorazione dello stato lamentevole in cui verserebbero quelle donne che, loro malgrado, si lasciano coinvolgere in “legami sentimentali” con preti per venire incontro alle “esigenze” di questi ultimi. All’origine del disagio vi sarebbero i “pregiudizi” e le “ipocrisie” della cultura cattolica e “una certa mentalità clericale e maschilista che vige nella Chiesa Cattolica”. Le affermazioni della signora mi sembrano (…) piuttosto ardite e stupefacenti. Seppure da profano, mi permetto quindi di esprimere qualche appunto.
Per quanto riguarda i doveri (e quindi gli obblighi) del prete (dello stato clericale), al presente (“de lege lata”, per dirla in termini giuridici), le cose sono affatto chiare. Se poi sia ancora opportuno mantenere l’obbligo del celibato (che costituirebbe, in fondo, l’origine di tutti i mali e che altro non sarebbe che “una norma dettata da uomini per altri uomini”) è un altro discorso. Per intanto e fin quando l’ordinamento in fatto di celibato non sarà stato cambiato, bisogna stare alle norme vigenti, giuste o sbagliate che siano. In base a queste norme il prete sa (…) come deve condursi con le singole categorie di persone per evitare di venir meno ai voti pronunciati. Se, nonostante la buona volontà e contrariamente alle apparenze, non vi si attiene (come talvolta accade e come è sempre accaduto) ciò dovrebbe essere imputabile non tanto a ipocrisia quanto, piuttosto, a inettitudine, più o meno responsabile, nell’adempiere a impegni che esigono molti sacrifici e forza d’animo. A meno che non si tratti di un prete che, intimamente, ha abbandonato ogni scrupoli e deliberatamente si comporta in modo contrario al suo stato. Se si deve credere alla signora Salomone, nel caso di relazioni “affettive” la prima vittima sarebbe sempre rappresentata dalle donne: queste, “comprensive”, si lascerebbero facilmente irretire cedendo alla soggezione e al rispetto che un prete, per il fatto stesso di essere tale, induce ad avere. In questa affermazione è implicito, a me pare, un giudizio negativo, sfavorevole, sul conto delle donne in genere. E’, in fondo, come dire che le donne sono, in certo senso, delle minorate, che a esse manca piena capacità di autodeterminazione (…) nel campo degli affetti. Come l’esperienza comune insegna, normalmente (eccettuati i casi di dolo o di inganno) in queste cose, trattandosi di persone maggiorenni e sane di mente, la responsabilità dovrebbe più o meno essere equivalente (pari) o, per lo meno, non dovrebbe mai essere soltanto di una parte. Su chi, poi, maggiormente ricadano gli effetti negativi di siffatti legami clandestini (chi sia in realtà la vittima) si può evidentemente discutere. A me pare (…) che, almeno dal punto di vista morale e propriamente religioso, tutto sommato chi ne esce peggio è il sacerdote. Comunque sia, mi pare che, generalmente parlando, non si possa commiserare una parte più dell’altra. Certo è che, una volta cacciatisi in un vicolo cieco, per i protagonisti non sembra esistano soluzioni a buon mercato e indolori. L’esperta dice (…) che tante volte la donna resterebbe delusa perché “sente che lui ha tradito il suo ruolo”. Ma questo (…) dovrebbe sentirlo e intravederlo fin dall’inizio e quindi non prestarsi (…) a far sì che lui tradisca il suo stato. Altrimenti, si rende complice. Perché, infine, in tutto ciò entrerebbe una mentalità “clericale e maschilista” mi riesce del tutto incomprensibile.


__________________________

Vorrei molto brevemente replicare alle osservazioni del Sig. F.F. in merito all’intervista di Roberto Roveda alla sottoscritta sulle relazioni donna-prete pubblicata sul n. 12 della rivista.
Nello scritto del Sig. F.F. ho ravvisato il tipico ardore di chi pretende di parlare di argomenti di cui non conosce quasi niente, tanto da definirsi egli stesso “profano”. Mi sembra che sia palese una confusione dei piani della questione. Se ben informato, chiunque potrebbe conoscere la normativa ecclesiastica o se vogliamo la tradizione dottrinale da cui questa è scaturita. Più difficile invece conoscere le conseguenze di questo impianto di regole e consuetudini che nulla hanno a che vedere con il cristianesimo e le sue origini, né tanto meno con Gesù di Nazareth, il quale si è ben guardato dal parlare di questo come di molte altri aspetti della vita umana che l’istituzione ecclesiastica tanto tiene a governare (la nascita, la sessualità, la morte).
Credo di poter affermare che il Sig. F.F., come larga parte dell’opinione pubblica, sia convinto che:
- Lo stato clericale determini una variazione nello status della persona tanto da farle acquisire dei doveri
- Il prete che inizia una relazione venga meno ad un voto (Il prete non fa alcun voto, ma fa promessa di celibato e di ubbidienza al vescovo. Diverso è il caso dei religiosi che invece pronunciano i tre voti).
- Il prete che inizia una relazione abbia abbandonato ogni scrupolo e si comporti in modo contrario al suo stato.
Ci basterebbe guardare alla storia per constatare che nelle prime comunità cristiane non esisteva uno stato clericale. I presbiteri venivano eletti dalla gente e lavoravano per mantenersi. Il loro era un servizio non un titolo onorifico. E non avevano diritti né doveri legati al ruolo. Tutto il resto è stato creato appresso, ciò che in maniera forse semplicistica definisco “norme dettate da uomini per altri uomini”, e di queste fa parte il celibato ecclesiastico.
Per quanto riguarda le donne che hanno storie con i preti, lungi da me l’idea che si tratti di minorate mentali, sarei tra l’altro ingenerosa anche con me stessa. La tematica del sacro, cioè lo squilibrio tra il potere istituzionalizzato e le persone, è di fatto alla base di queste situazioni. La donna non è incapace, ma da sempre soggetta (anche culturalmente) alla misoginia e alla supremazia di un’istituzione prettamente maschile e maschilista. Quindi non solo si trova ad avere a che fare con un uomo che qualcuno ha convinto di essere ontologicamente superiore, ma ha imparato dalle stesse “sacre fonti” che lei è come un inserto di giornale: se c’è può far piacere, se non c’è pazienza.
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Re: Articolo sulle Compagne dei Preti - Rivista Ticinosette

Messaggiodi Stefania » 22 feb 2013, 12:33

Incollo qui di seguito un interessante articolo sul celibato, pubblicato sul numero di Ticinosette del 15 febbraio 2013.
Si tratta di un'intervista a Padre Michele Ravetta, cappuccino, assistente sociale e cappellano al carcere della Stampa.


Celibato ecclesiastico: la scelta “obbligata”

Prima di tutto, che significato ha per lei il celibato? E perchè a suo parere il clero e i monaci è bene che siano celibi?
Il celibato nella Chiesa Cattolica fa discutere ed è buona cosa prendersi il tempo per capire a fondo le ragioni storiche e teologiche di una simile attitudine. Si tratta di una condizione di vita che da alcuni secoli è stata imposta ai religiosi (clero, monaci, suore, frati...) per questioni disciplinari più che morali. Va detto che all'inizio della comunità cristiana organizzata, che noi chiamiamo la Chiesa, alcuni apostoli erano sposati; i vescovi dei primi secoli dovevano essere non solo buoni pastori d'anime ma anche buoni padri di famiglia! Eppure nella teologia paolina già si legge sulla questione del matrimonio o del celibato, ad esempio nella prima lettera ai Corinzi: "Chi si sposa fa bene, chi non si sposa fa meglio" (1Cor 7,38). Un valore antico che a fatica viene riproposto ai nostri giorni quasi fosse una condizione indispensabile per servire Dio e la Chiesa. Da un lato l'obbligo del celibato non impone gravi difficoltà di comprensione ed accettazione perché di fatto vieta "solo" il matrimonio. Il vero problema è la castità, cioè la privazione della sessualità. Posso capire che il non sposarsi lasci molta più libertà al consacrato di assumere nuovi impegni, talvolta anche all'estero o di essere trasferito da una comunità all'altra senza dover pensare a traslocare anche la famiglia, ma mi domando se sia giusto "castrare" uomini e donne che per natura sono orientati ad avere uno scambio affettivo-sessuale. Qualcuno sostiene (a mio parere, giustamente) che anche il consacrato possa innamorarsi... ma poi? Tutto deve fermarsi ad un amore platonico che il più delle volte non basta. La persona umana, nella mente di Dio, è pensata per la procreazione non per il celibato. E qui affiora il problema morale: se uno non vuol procreare, quindi servirsi della sessualità per mettere al mondo nuove creature... che fa? Secondo la morale cattolica deve restare casto... ma per favore! Capisco che la Chiesa non deve andare dietro alle mode che oggi ci sono e domani non esistono più, ma in un mondo come il nostro dove anche i raduni mondiali della gioventù convocati dal Papa diventano luogo di amoreggiamenti improvvisati, il messaggio della castità prematrimoniale non regge.

Che valore ha per l'uomo e la donna di Chiesa, in che modo li aiuta a svolgere meglio la propria missione?
E' un valore spirituale di grande libertà interiore: non si ama una persona in particolare ma un'entità immensamente più vasta: Dio, i poveri, la comunità, il messaggio evangelico di cui si diventa annunciatori. In sé credo abbia un profondo significato, almeno a livello ideale, ma con i tempi che cambiano, mi chiedo sull'effettiva attualità della norma. Si può amare e servire Dio da "single" così come da "impegnato".

In alcuni casi è viceversa un peso?
Decisamente sì. Pensiamo alla fatica di uomini e donne "di chiesa" che amano Dio con tutto il cuore ma vorrebbero avere anche una vita affettiva e sessuale. Devono scegliere e prendere una decisione che spesso si rivela dolorosa, quando sulla bilancia ci sono valori molto alti per l'individuo. Questo porta alle relazioni ambigue che spesso sono fonte di sofferenze, perché devono restare clandestine. Va anche detto che colui o colei che "lascia la tonaca" per una vita affettiva e/o familiare, viene ancora visto male sia dagli ecclesiastici sia dalla gente, specialmente in territori piccoli come i nostri Cantoni o in territori "tradizionalmente cattolici" come l'Italia.

Il celibato è una scelta oppure è solo un obbligo, una imposizione come la descrivono i suoi oppositori, fuori e dentro la Chiesa?
E'... una scelta obbligata. Sono le "regole del gioco": se vuoi consacrarti alla vita religiosa, devi essere celibe. Se vuoi essere un cristiano coerente e non ti sposi, devi essere casto. Più chiaro di così... A mio parere, non è il celibato il problema più urgente della Chiesa del secondo millennio. La gente muore ancora di fame e di malattie curabili ma senza la possibilità di accedere ai farmaci e noi corriamo dietro alle farfalle. Abbiamo nelle nostre mani un messaggio grandissimo da condividere con la gente che cerca in Dio un sostegno concreto per andare avanti, è la forza del Vangelo, non riduciamo tutto a precetti e divieti. Viceversa, non credo che l'abolizione del celibato porterebbe più vocazioni alla Chiesa: si tratta di una chiamata, un rapporto a tu per tu tra Dio e l'uomo e la donna che ascoltano il suo invito a servire, celebrare, assistere, pregare, amare con cuore indiviso.

Fino al Medioevo il celibato era distintivo solo dei monaci, poi è stato esteso a tutto il clero. Ha ancora senso per lei mantenere questa regola?
Per i religiosi, quindi coloro che vivono in conventi e monasteri, sarebbe impensabile che ognuno avesse la propria famiglia: spesso la convivenza fraterna è già di per sé un miracolo, perché poggia su delicatissimi equilibri personali ed interpersonali, figuriamoci se ci si mettono pure mariti, mogli e figli! Per il clero secolare (i preti), le case parrocchiali potrebbero benissimo animarsi con "la famiglia del curato". Ma è musica del futuro... Il celibato non è necessario per servire bene Dio: questo ce lo insegnano i molti laici che sono sposati e che servono il Vangelo e la Chiesa con fedeltà e dedizione. Essendo il celibato una norma disciplinare, come è stato imposto, così potrà essere soppresso... ma non illudiamoci! Il celibato può costituire una valenza positiva nell'ottica di una maggiore libertà rispetto ai legami "preferenziali", che inevitabilmente legano, ma se la libertà non è vissuta interiormente come un valore ed un diritto individuale, molto difficilmente sarà trasformabile ed applicabile come una norma da seguire. Ancora s. Paolo scrive: "Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!". (1Cor 7,32-43). La teologia paolina non fa una piega sul senso profondo del celibato ed è anche su questo che la Chiesa fa leva per promuoverlo come valore "sine qua non" cioè indispensabile. Credo però nella forza rinnovatrice della comunità dei credenti che può modificare un atteggiamento senza alterarne il senso.

Vede possibile una Chiesa Cattolica con clero sposato sul modello delle Chiese protestanti (anche se già esiste clero cattolico sposato in Oriente)?
Sono certo che concluderò la mia esistenza terrena con l'attuale "status quo" a proposito del celibato nella Chiesa latina. Roma non ha nessuna intenzione di chinarsi sul problema o se lo fa, non propone alternative. In attesa di poche probabili aperture, è necessario che i candidati alla vita consacrata ricevano una buona educazione nei seminari e nei noviziati. Si parli apertamente di sessualità, senza tabu e paure antiche. La sessualità è parte integrande della vita dell'uomo e della donna: rinunciare ad essa implica una grande maturazione umana e spirituale. Sarebbe utile, nel cammino formativo, avere un confronto diretto anche con la medicina e la psicologia del corpo e non solo precetti morali impartiti da preti talvolta così anziani da non ricordare più cosa siano le tentazioni. Precetti che i futuri preti dovranno insegnare al popolo di Dio ma che sono in parte inattuabili perché incomprensibili. Meno moralismo, più umanità! Chi non ricorda le morbose domande di confessori c
he volevano sapere nei dettagli la vita sessuale dei penitenti? Va anche detto che la Chiesa Cattolica e la Chiesa Riformata non hanno gli stessi modi di celebrare o annunciare il Vangelo: i riformati non celebrano l'Eucaristia quotidianamente come i cattolici, non hanno il sacramento della confessione e dell'unzione degli ammalati che sono tempi preziosi per avvicinarsi ai sofferenti e dedicare loro tempo ed energie. Con questo non intendo dire che i riformati facciano meno dei cattolici ma fanno diversamente. E' storicamente e teologicamente errato paragonare un prete cattolico con un pastore riformato.

Per alcuni l'obbligo di celibato è una delle cause degli scandali che hanno afflitto recentemente la Chiesa. Lei come risponderebbe a chi la pensa così?
Credo sia una stupidaggine. Farei una distinzione di fondo: considero "scandali sessuali" ad opera del clero gli abusi su minori e persone incapaci di discernimento: questi atti devono essere perseguiti e condannati fermamente sia dalla Chiesa che dall'autorità giudiziaria; in altre parole: basta con i trasferimenti in altri luoghi di ecclesiastici dalla condotta criminale! Di loro il Vangelo di Luca dice: "È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!". (Lc 17,1-3). Gli atti sessuali compiuti con persone adulte e consenzienti non li considero scandalosi in sé ma certamente una contro-testimonianza e fonte di non poche preoccupazioni. Non dimentichiamo che oltre allo "sfogo" della sessualità, anche il cuore ha la sua da dire. Un ecclesiastico che si innamora si trova in un bel pasticcio perché prima o poi, nello stato attuale della cose, e se vorrà perseverare nell'amore verso una persona, si imporrà una scelta. Spesso la Chiesa ha pensato solo a castigare o... promuovere per rimuovere (promoveatur ut amoveatur) i suoi ministri peccatori ma troppo poco si è fatto e si fa per "l'altra metà" coinvolta nella relazione. Penso in particolare alle donne innamorate di ecclesiastici. Quale dramma profondo devono vivere per un uomo che non sarà mai loro e che magari diventerà padre nel senso stretto del termine? Un detto latino sentito dal clero italiano dell'epoca e riportato da Salimbene de Adam (1221-1288) al ritorno da un suo viaggio in Italia recita: "Si non caste, tamen caute" cioè: "Se non castamente, almeno con cautela". Voglio aggiungere: cautela anche con i sentimenti delle persone, sia ecclesiastici che laici. L'amore è e rimane l'espressione più alta di ogni individuo: in essa ci si realizza e la vita acquista un senso umano-divino. Invece di bastonare in nome di Dio, proviamo ad amare in nome di Dio.
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Stefania
 
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