Donne sacerdoti

“Non è bene che l’uomo sia solo…” (Gen 18)

Questo blog nasce dall’esigenza di portare alla luce la sofferenza, i problemi, le contraddizioni e gli ostacoli o i divieti che derivano dalla legge del celibato obbligatorio dei preti, così come previsto nell’ordinamento della chiesa cattolica romana.
Vuole essere principalmente un punto per lo scambio di esperienze e per il sostegno reciproco di quanti sono coinvolti in questa problematica:

• Le donne, che sono costrette a nascondersi, talvolta a vergognarsi di ciò che provano, subendo i cambi continui di umore di una immaturità affettiva dei chierici

• I preti, che vivono uno stato di confusione tra ciò che sembra essere il loro obbligo di fedeltà verso la chiesa a cui appartengono, e la bellezza di una nuova scoperta.

• I figli nati da queste relazioni, che hanno tutto il diritto di essere figli come tutti gli altri e quindi amati e cresciuti da entrambi i genitori. Soprattutto, come la gerarchia sosteneva a riguardo del referendum sulla legge 40, hanno il diritto di conoscere chi è il loro padre

E’ evidente che il celibato obbligatorio sia solo uno dei sintomi di una rigidità dottrinale che non contempla il bene dell’uomo e, per questo, la chiesa stessa (il popolo di Dio) deve trovare la forza e la libertà di andare oltre la legge, proprio sulle orme dell’uomo Gesù che ha avuto il coraggio di sfidare i mali del Tempio.

Donne sacerdoti

Messaggiodi elena » 5 apr 2009, 23:34

Che ne pensate....?
elena
 

Re: Donne sacerdoti

Messaggiodi Stefania » 6 apr 2009, 14:03

Carissima Elena,
grazie per aver introdotto questo nuovo argomento. Credo che molti di noi già abbiano una propria opinione al riguardo e spero vogliano condividerla in questo spazio.
Personalmente ritengo che la prima cosa da fare sia abolire/dimenticare il termine 'sacerdote'. I sacerdoti erano quelli del tempio, i mediatori tra il popolo e la divinità, mentre sia il vangelo che le costituzioni del Concilio Vaticano II ci ribadiscono che stiamo parlando di un presbitero (l'anziano, scelto agli inizi del cristinesimo direttamente dalla comunità), la cui abbreviazione è prete.
In secondo luogo è evidente che il maschilismo proprio della cultura giudaica dell'epoca, ma anche dell'istituzione di oggi, ci fa dimenticare che Cristo non ha mai ragionato per categorie, per criteri di merito, non ha mai istituito privilegi, ma li ha combattuti e condannati, ove necessario, considerando uomini e donne alla pari, individui unici e irripetibili, creature divine.
Ma perché lamentarci, in fondo ci è stato concesso di leggere in chiesa, di cantare, di dismettere il velo bianco ... a parte situazioni di colloquio privato con il pontefice, caso in cui il velo va messo, ma nero. Dà più allegria...
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Re: Donne sacerdoti

Messaggiodi ornella » 6 apr 2009, 14:44

Concordo con Stefania sul superamento della parola "sacerdoti".
Telegraficamente, a meno di non rispolverare le trite questioni esposte più volte circa il fatto che geù scelse solo apostoli maschi etc., nulla osta se non fosse per il patriarcalismo, del quale la misoginia è solo un derivato, che si è innestato nella chiesa cattolica dal periodo costantiniano. In proposito, Stefania,sull'argomento ma non solo, vedi le tesi di Xabier Picaza tratte da Adista documenti dell'11 Aprile corrente, che dovresti trovarti in posta... te lo ho mandato or ora... .
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Re: Donne sacerdoti

Messaggiodi Stefania » 27 gen 2010, 14:22

PUBBLICO DI SEGUITO QUESTO ARTICOLO CHE LA NOSTRA AMICA ORNELLA MI HA INVIATO:

“Sinodo sulla donna?” In risposta a L. Cavani e E. Fattorini
di Lilia Sebastiani
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L’articolo Cavani-Fattorini (dal titolo “Un Sinodo sulla donna?”) pubblicato il 27 dicembre su Il Sole - 24 Ore suscita ammirazione e solidarietà, anche per la sua natura impegnativa e implicitamente militante: non si può che concordare con il rilievo al centro del discorso, cioè la latitanza del femminile in ogni ambito della vita della Chiesa; ed è vero che di questo fatto le ragioni sono molte e, “come sempre, quasi tutte dettate da paura”. Ma la stessa partecipe solidarietà spinge ad avanzare alcune osservazioni.
Concordiamo sull’esigenza di “entrare in contatto con il Signore anche con il corpo, con le emozioni, con tutta la propria persona e non solo con la testa, non solo con il pensiero”, l’esigenza cioè di una riflessione teologica più incarnata ed esperienziale, che consideri l’essere umano concreto maschio-e-femmina nell’integrità delle sue componenti. Forse però vi è un rischio quando l’indiscutibile necessità di considerare la dimensione corporea viene fuori in parallelo, anzi viene quasi identificata con l’esigenza di prestare maggiore attenzione alla ‘donna’, perché gli uomini di Chiesa hanno già troppo la tendenza a identificare la donna con la corporeità (anzi con il “corpo”, realtà diversa, più limitata e biologica), con le emozioni e con la pura relazionalità; di conseguenza, almeno implicitamente, l’uomo-maschio con il pensiero, la ragione e il potere. Sappiamo che la vita di ogni essere umano, uomo o donna, si esplica nella relazione, per la relazione, con Dio, con gli altri e con l’Altro, con la natura, con il proprio essere profondo. È questa relazione che consente di diventare compiutamente umani. Nel momento però in cui la donna – e solo lei – viene di fatto identificata con la relazionalità, il suo autonomo valore di persona tende a sfuggire.
L’articolo si conclude con un suggestivo (anzi ‘suggerente’) “è troppo ingenuo pensare all’urgenza addirittura di un Sinodo sulla donna?”. E questo suscita qualche perplessità: un Sinodo sulla donna, in questo momento, non ci sembrerebbe infatti la via migliore per gli “atti di grande portata e concretezza” auspicati dalle Autrici, che vogliono giustamente qualcosa di trasformativo: “Non l’ennesimo riconoscimento retorico di una idealizzata e disincarnata essenza femminile, ma la sua concreta promozione nella società senza svisarne la sua intima identità”.
Ci sembra che gli uomini di Chiesa abbiano fin troppo la tendenza a parlare della ‘donna’ anziché considerare e ascoltare le ‘donne’ più individuate, storiche e concrete. La donna come tale è un’astrazione teorica, e riflettere su ‘la donna’ espone proprio al rischio di un “ennesimo riconoscimento retorico di una idealizzata e disincarnata essenza femminile”, al rischio di ribadire in modo acritico o difensivo gli antichi stereotipi e gli antichi ruoli.
Forse sarebbe opportuno non parlare più di promozione della donna, quantomeno da parte di chi detiene un potere a qualunque titolo. Idea e immagine connessa vengono ormai percepite come inadeguate e paternalistiche, fanno pensare a qualche benevola concessione. Le donne non vogliono venir ‘promosse’ da qualsivoglia autorità – maschile s’intende – ma avere accesso alla pienezza delle possibilità e delle responsabilità, secondo le inclinazioni personali e le diverse situazioni di vita.
Riconoscimenti positivi nei confronti delle donne, cortesi e benintenzionati e anche lirici, esistono già da tempo: basti ricordare la lettera apostolica Mulieris Dignitatem di Giovanni Paolo II (1988), ricordata con favore dalle Autrici, che è certamente un testo di notevole importanza storico-culturale, se non di grande influenza nella prassi: spazza via ufficialmente, almeno in linea di principio, secoli di misoginia ecclesiastica. Ma non va dimenticato che esiste anche la misoginia latente, di cui le strutture della Chiesa e in parte anche della teologia, del linguaggio, sono tuttora impregnate nel profondo; e smentirla non è altrettanto facile, perché non è facile riconoscerla, e così può esercitare il suo influsso anche su uomini seriamente aperti e disponibili nei confronti dell’universo femminile. E anche su tante donne: tante infatti hanno interiorizzato un modo maschile di pensare e di dire se stesse.
Nella Mulieris Dignitatem il papa giungeva ad affidare alla donna l’essere umano (n. 30). Idea suggestiva certo, tuttavia anche eccessiva se presa sul serio: dell’essere umano e dell’umanità, lo crediamo fermamente, donne e uomini sono responsabili in solido. In compenso viene accentuata la contraddizione tra questa straordinaria importanza e positività della donna (tra parentesi, è ovvio che nessuno sentirebbe il bisogno di soffermarsi sulla straordinaria importanza e positività dell’uomo di sesso maschile: essere donna costituisce comunque sempre l’anomalia rispetto al modello umano!) e le limitatissime possibilità che alle donne concrete sono aperte in una Chiesa ufficiale declinata e visibile solo al maschile.
Ormai hanno avuto luogo diversi Sinodi, di cui conosciamo bene quasi solo i documenti iniziali e conclusivi; certo all’esterno non giunge tutto ciò che viene dibattuto nell’aula sinodale, ed è ben possibile che le cose più interessanti siano quelle che non si vengono a sapere, ma abbiamo ormai un’idea abbastanza chiara sul loro svolgimento, sulle indicazioni di lavoro, sulle conseguenze che possono sperarsi. Non sembra che i Sinodi già avvenuti – ora penso soprattutto a quelli riguardanti la famiglia, i laici ecc. – abbiano fatto molto avanzare la riflessione o determinato qualche deciso mutamento di prassi nei rispettivi ambiti; e le conclusioni pubblicate presentano spesso una sconcertante somiglianza con i Lineamenta dell’inizio.
Non si vede che cosa potrebbe dire di nuovo oggi un Sinodo sulla donna in cui il ruolo attivo sarebbe solo dei vescovi, uomini e chierici quindi, e sarebbe chiaramente fissato in partenza di che cosa si può parlare (la pari dignità, il “genio della donna”, la missione, la promozione ecc.) e su che cosa, tassativamente, si deve tacere.
E qui viene l’altra ragione di perplessità.
Le Autrici scrivono: “Non c’entra nulla la rivendicazione del sacerdozio femminile. Non è questo che le donne chiedono”. Un momento. Non si tratta qui di aspirazioni personali, nemmeno di pure e semplici rivendicazioni (anche se è giusto, anzi doveroso rivendicare con dignità e fermezza ciò che viene ingiustamente negato). Si tratta di qualcosa di assai più fondamentale: di coerenza nell’annuncio e nella prassi.
Visto che l’Ordine sacro è condizione imprescindibile per l’accesso a qualsiasi funzione di governo e di magistero nella Chiesa, escluderne le donne unicamente in base al loro sesso significa inchiodarle ad un destino ecclesiale di esclusione e subordinazione, ad un’incapacità di rappresentanza a cui ogni coscienza cristiana adulta, non solo femminile, non può non ribellarsi.
È probabile che le donne possano andare avanti benissimo senza il sacramento dell’Ordine; ma la Chiesa dell’Ordine sacro forse non può andare avanti continuando a escludere le donne (e qui occorre riferirsi a entrambe le forme di questa esclusione, distinte nelle manifestazioni, ma congiunte alla radice: divieto per le donne di accedere al ministero ordinato, divieto per i ministri ordinati di unirsi a donne).
Non temiamo di affermare che il persistere dell’esclusione delle donne – per la sua natura di indice di autenticità – può influire negativamente sul futuro della Chiesa cattolica, in misura assai maggiore di quanto possa sembrare a prima vista: non si tratta di un problema circoscritto. Finché sussisterà questa contraddizione di fondo, ‘scandalosa’ oggi (nel senso etimologico) come certo non era in altre epoche, i pur positivi e convinti, ma generici e indolori riconoscimenti in ordine alla pari dignità, al genio e alla missione della donna non possono che suonare alquanto evasivi.
E, per tornare alla proposta Cavani-Fattorini, non possiamo aspettarci molto di nuovo a questo riguardo da un eventuale Sinodo di vescovi, visto che comunque vi sarebbe in partenza anche il divieto di parlarne.
Del resto è noto che tra i requisiti per i candidati all’episcopato vi è quello di non essersi mai mostrati troppo ‘aperti’, almeno in pubblico, in ordine al ruolo ecclesiale delle donne.
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* Teologa morale
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da Adista Segni nuovi n. 9 del 30/01/2010
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