Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

“Non è bene che l’uomo sia solo…” (Gen 18)

Questo blog nasce dall’esigenza di portare alla luce la sofferenza, i problemi, le contraddizioni e gli ostacoli o i divieti che derivano dalla legge del celibato obbligatorio dei preti, così come previsto nell’ordinamento della chiesa cattolica romana.
Vuole essere principalmente un punto per lo scambio di esperienze e per il sostegno reciproco di quanti sono coinvolti in questa problematica:

• Le donne, che sono costrette a nascondersi, talvolta a vergognarsi di ciò che provano, subendo i cambi continui di umore di una immaturità affettiva dei chierici

• I preti, che vivono uno stato di confusione tra ciò che sembra essere il loro obbligo di fedeltà verso la chiesa a cui appartengono, e la bellezza di una nuova scoperta.

• I figli nati da queste relazioni, che hanno tutto il diritto di essere figli come tutti gli altri e quindi amati e cresciuti da entrambi i genitori. Soprattutto, come la gerarchia sosteneva a riguardo del referendum sulla legge 40, hanno il diritto di conoscere chi è il loro padre

E’ evidente che il celibato obbligatorio sia solo uno dei sintomi di una rigidità dottrinale che non contempla il bene dell’uomo e, per questo, la chiesa stessa (il popolo di Dio) deve trovare la forza e la libertà di andare oltre la legge, proprio sulle orme dell’uomo Gesù che ha avuto il coraggio di sfidare i mali del Tempio.

Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi ornella » 16 apr 2009, 17:14

Breve commento a Chino: temo che tu abbia ragione. Sia sull'individualismo di troppi che sulla mancanza di coesione come movimento/i di preti sposati. Credo anche che difetti l'informazione/formazione del laicato non solo sul tema dell'obbligo celibatario. Credo insomma che manchi una seria formazione di base che sola renderebbe possibile un cambiamento nell'approccio alle varie problematiche da affrontare, che non sono solo di teologia morale, la sol ache paia toccare sul vivo l'individuo e che quindi viene analizzata più spesso, sono squisitamente ecclesiologiche. Senza una informazione e formazione adeguate, la soluzione che tu prospetti è la più probabile e credo la sola che la nostra gerarchia adotterà per semolificarsi la vita. Francamente io non considero un approccio corretto parlare dell'abolizione dell'obbligo celibatario come panacea di tutti i mali, desidererei che ci si confrontasse di più sullo stato della nostra chiesa a fronte della disaffezione che si constata che non dipende certo esclusivamente dalla carenza di ministri ordinati. i problemi per me sono di due ordini: pastorali e strutturali. Sulla problematica pastorale le soluzioni, favorite dalla confessione auricolare, sono le più diverse... . Sui problemi strutturali rimane il problema di come intervenire perché noi laici siamo l'ultima ruota del carro e senza alcuna possibilità di influire se non a livello parrocchiale, e anche lì a seconda del parroco che ci ritroviamo. Per non parlare del Vescovo... . Necessita un altro Concilio, ma anche se un papa, certamente non questo papa, volesse convocarlo, che possibilità concrete di svolta avremmo con questi Vescovi e questa curia?! E... pressocché senza presenza di laici e laiche?
Un affettuoso saluto
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Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi Stefania » 17 apr 2009, 19:06

Certamente l'abolizione del celibato e il fatto che i preti possano sposarsi non risolve proprio niente. Bisognerebbe abolire i seminari, la deformazione a cui i candidati al presbiterato sono sottoposti, ma per cambiare questa bisognerebbe cambiare tutta l'istituzione.
Se dal seminario uscissero Uomini degni di questo nome, persone capaci di parlare e vivere alla pari, di mettersi in discussione, di "sporcarsi le mani" nella varia umanità che li circonda, di imparare dal mondo, di non sentirsi arrivati, ecc... che fine farebbe il potere istituzionale?
Noi laici non contiamo niente soprattutto perché non cerchiamo luoghi di aggregazione "adulta". Ci basta la parrocchia con le sue attività retoriche (mi riferisco alla maggior parte di esse), con i suoi riti, i catechismi e la finta carità, il gruppo giovani, l'incontro per gli sposi, per i fidanzati, per le famiglie, perché esiste un Vangelo per ognuna di queste "categorie"... quel che importa è tenerci più possibile separati.
E ci sta bene così, anche quando ci accorgiamo che qualcosa stona. Dobbiamo uscire da questi recinti e incontrarci tutti fuori, il Vangelo è fuori.
E quando le parrocchie saranno vuote (perché spero che presto lo saranno), i parroci, ora oberati di lavoro, non sapranno cosa fare e forse, dico forse, si domanderanno il perché e verranno a cercarci e, sperabilmente, resteranno fuori con noi.
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Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi zanon Giuseppe » 17 apr 2009, 22:19

Stefania,con l'abolizione dell'obbligo del celibato ecclesiastico si porrebbe termine a tante ipocrisie,si avrebbe un comportamento più evangelico, quello del 'sì sì ,no no' evangelici,si avrebbe un carisma vissuto e condiviso,non si avrebbero tante vittime da parte dei sacerdoti forzati (prime vittime),delle donne coinvolte,seconde vittime.
E' il discorso di sempre:chiarezza e coerenza necessarie nella vita,necessarie nella professione religiosa.

Per i seminari,non prendiamocela troppo,si stanno svuotando in Italia ed in tutta Europa,il Signore continua a chiamare i suoi ministri senza passare attraverso l'allevamento del seminario. Non è questo il problema, i sacerdoti con i quali noi ci confrontiamo sono in gran parte venuti fuori dal seminario,lo sappiamo, ma i tempi stanno cambiando.

La parrocchia? Ma vuoi vedere che,nonostante tutte le sue difficoltà, è ancora la parte più convincente di tutta la struttura ecclesiastica ? A contatto con la realtà, non bastano le chiacchiere,ci vogliono i fatti,ci vuole una autentica testimonianza religiosa. Questa mattina ho fatto le mie tre ore nella segreteria parrocchiale,ho parlato con la gente e con il parroco,ho potuto dire tutto quello che penso,ieri sera abbiamo assistito ad una conferenza di studiosi e di testimoni della grande figura di parroco che era don Primo Mazzolari. Se poi alla parrocchia aggiungiamo il centro giovanile, qui veramente ci si salva solo con una autentica fede cristiana, qui le chiacchiere sono bollicine,qui i volontari ci fanno vedere cosa vuol dire avere incontrato Cristo ed aver voglia di farlo conoscere ai giovani di oggi.
Giuseppe
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Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi Stefania » 17 apr 2009, 22:42

E' proprio questo il punto. Io non credo che abolendo il celibato ci sarebbe meno ipocrisia.
I mali sono strutturali, non riguardano l'accettazione di una relazione con una donna; i preti non sanno instaurare rapporti decenti neanche con gli amici, né con la propria famiglia.
Abbiamo un clero auto-referenziale, una chiesa auto-referenziale e siamo laici auto-referenziali; ci occupiamo di fare del "presunto" bene per una "presunta" salvezza personale, perché questo ci hanno insegnato.
E la parrocchia è il ricettacolo di queste vecchie tradizioni e culture nate dal timore di Dio, dal castigo, dal diavolo e dall'inferno, passando per le adorazioni, i rosari, le apparizioni, i pellegrinaggi e compagnia cantando.
Conosco bene preti progressisti, che litigano col vescovo, che se ne fregano del celibato, che organizzano incontri di preghiera con fedeli di altre confessioni e tutto ciò che di più "avanti" ci possa venire in mente. E sai dove cadono? Sull'amicizia, sugli affetti, sul dono di sé, sulla telefonata, sul 'come stai'?
Se non scardiniamo questa de-forma mentis possiamo anche permettere al prete di avere 10 mogli e 40 figli, ma non ci sarà comunque una reale apertura all'altro, una reale distanza dal proprio ruolo integerrimo.
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Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi mara57 » 18 apr 2009, 0:12

CARA STEFANIA, io credo che abbia ragione Giuseppe ( non lo conosco ma non credo ci siano problemi se lo chiamo per nome ) e ti spiego perchè: tu sai molto bene che il prete che ho amato corrisponde in pieno ALLA TUA DESCRIZIONE e il problema è stato proprio quello di non saper stare DENTRO un rapporto. Ma io sono convinta che l'obbligo del celibato comporti per certi preti, che per poter "resistere" si debba annullare proprio quella parte "umana dei preti che li renderebbero vulnerabili ed esposti
alle pulsioni sessuali ed affettive. esercizi e consuetudini devono portarli ad "astenersi" sempre e comunque da tutto quanto possa ricondurre alla fisicità. mettici pure il fatto che , non a caso, vengono abituati a sostituire la fede e la religione a tutto ciò che in realotà sono bisogni affettivi e problemi psicologici , ed il gioco è fatto. ebbene : penso che tutto ciò non ci sarebbe se i preti non fossero obbligati a "farsi eunuchi per il Regno" a rimanere casti. E il discorso delle 10 mogli io lo vedo al contrario: quale maturità affettiva dimostrerebbe un uomo che - basta che non si sappia - avesse "tanto seme da spargere"....?!? con affetto. Mara
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Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi ornella » 18 apr 2009, 8:02

In linea di principio concordo con Stefania, sia sul fatto che le strutture parrocchiali rischino di essere autoreferenziali che sull'abolizione dei seminari come luoghi di "separatezza dal mondo".
Per le parrocchie l'autoreferenzialità dipende moltissimo dal luogo ove sono ubicate e da chi le presiede: le comunità abbastanza piccole funzionano meglio dei parrocchioni, se chi le presiede ha un concetto strettamente gerarchico della comunità. La missione "ad gentes" va a farsi benedire stretta tra mille impegni che sono il prodotto delle richieste dei fedeli per i sacramenti (quasi esclusivamente salvo commendevoli eccezioni) e la comunità diventa autoreferenziale trascurando quanti/e hanno bisogno di parola di Dio e non frequentano. Per quanto concerne i seminari, io credo che un giovane o una giovane (quest'ultimo riferimento è detto purtroppo in prospettiva) abbiano maggiore probabilità/possibilità di crescere psicologicamente e spiritualmente rimanendo a stretto contatto con le proprie radici e con la vita quotidiana, senza nulla togliere alla loro preparazione teologica e pastorale. Ci sono preti che conosco che dicono apertis verbis di avere buttato alle ortiche un sacco di nozioni non appena si sono resi conto della perniciosità delle stesse, e ce ne sono altri che mi hanno raccontato quanto disumanizzante fosse la vita, soprattutto in età adolescenziale, in una comunità chiusa come il seminario. Questo senza aggiungere i vari scandali che sono accaduti e sappiamo dai giornali... .
Io ho sempre servito da "esterna" alle comunità che frequentavo per svariati motivi, non ultimo la indisponibilità di un tempo fisso da dedicare, e devo dire che ho riscontrata una strana affezione "al campanile", spesso la mancanza di voglia di collaborare tra parroci, ma anche alla base tra i catechisti, pur se c'era una parrocchia limitrofa in chiare difficoltà. Per cui credo che il futuro passi attraverso piccole comunità laiche di lettura della Parola, di elaborazione collettiva di quanto si legge e perciò si pratica, con una crescita umana e spirituale che tonifichi e scuota dalla routine anche i frequentatori assidui e impegnati delle parrocchie, laddove è possibile. Personalmente ho sempre "mangiato" dove mi trovavo, ma ho sempre affiancato alla celebrazione eucaristica un dialogo e un confronto teologico stretto col presbitero e qualche fratello/sorella, ove fosse possibile. Manca però, almeno per la mia esperienza, un'evangelizzazione "di strada", che esca dalle mura e raggiunga altri/e dove ci si trova, indipendentemente dal dove si frequenta. Io ho visto, e alcuni preti poi se ne lamentano non rendendosi conto che proprio la struttura e la pastorale settoriale delle parrocchie tendono a favorirlo, che ci sono fratelli e sorelle "specializzati" settorialmente che però, una volta terminate le loro "funzioni", all'esterno chiudono la bocca! Ho anche visto ex catechisti abituati a fare catechesi secondo quanto il parroco loro diceva di dire, pur non essendo convinti del tutto di quanto andavano dicendo... . Altro potrei aggiungere. Per contro, a oggi, l'unità pastorale e punto di riferimento rimane la parrocchia coi suoi pregi , che sono molti se non altro come prima accoglienza, e i suoi difetti, e da lì è obbligatorio partire. Da lì e dalle famiglie che ruotano intorno alle varie comunità. Perché questo abbiamo e non tutto è da buttare. Oltrepassare spiritualmente e fisicamente le "mura" e i "campanili" è fattibile da subito. Basta rimboccarsi le maniche e non marcare il cartellino appena finita la "lezione". Io ho fatto di tutto: dal collaborare ad animazioni liturgiche alle illustrazioni a computer dei tempi forti, dalle sintesi di testi di teologia al preparare celebrazioni per catechisti e animatori. Non ho mai fatta direttamente catechesi sacramentale, ma ho fornito molto materiale anche in questo settore, da quella per i bambini a quella prematrimoniale. Ma mai mi sono sognata di smettere quello che ho sempre ritenuto un dovere e un privilegio: ricercare con altri/e sui passi del Vangelo anche a casa, mia o altrui, e dare una mano come potevo. Ho imparato molto sia umanamente che spiritualmente. Bisogna che le persone ce le andiamo a cercare noi, e non occorre bussare alla porta in due come i TdG., vengono da sole se riscontrano apertura e disponibilità all'ascolto. Le curiosità sono tante, le reminescenze di esperienze devastanti a contatto con la struttura religiosa di più, e a fronte di questo le parrocchie non possono fare molto, abituate come sono che siamo noi che "andiamo" da loro. C'è tanto spazio "vergine" se ci si vuole/può mescolare con coloro che sono in qualche modo fuori dall'istituzione, e c'è un gran bisogno di ascolto degli adulti, per i quali la struttura non è in grado di fare niente perché non ci vanno. Un ascolto amicale e gratuito può aiutare a fare il primo passo verso... la scelta che poi ognuno/a farà in piena autonomia, senza aspettarci alcun risultato, senza statistiche dell'affluenza alle messe, senza aspettarsi di "portare a casa" qualche pecorella smarrita. Col solo mezzo e fine della gratuità.
Un saluto affettuoso
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Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi Stefania » 18 apr 2009, 9:35

Carissima Mara, è proprio perché conosco la persona che credo che questo discorso gli calzi a pennello. Ma davvero pensi che se non ci fosse stato l'obbligo al celibato le cose tra te e lui sarebbero andate diversamente?
Ti soffermi molto sulla parte fisica, e non hai torto, ma quella è il risultato di tutta una struttura mentale che non riguarda il "farsi eunuchi per il Regno"; riguarda piuttosto l'essere cresciuti da primi della classe, quelli che hanno l'ultima parola in nome di Dio, quelli che ti assolvono, ti salvano ... E pensare di perdere questa "supremazia ontologica" mischiandosi col popolo (in particolare con la donna) è un qualcosa che diventa impensabile e pericoloso.
Diventare parte di una coppia, ALLA PARI, lasciarsi permeare dal sentimento, far parte di un gruppo da fratello, senza gerarchie ... è inaccettabile.
Credo che in fondo sia questo il problema reale col quale tutte noi ci siamo scontrate, un problema spesso confuso con il "non posso", "mi sento in colpa", "ho tradito il Signore", ma che sotto sotto era tutt'altro.
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Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi ornella » 18 apr 2009, 9:57

In riferimento all'ultimo intervento di Stefania, innanzitutto mi scuso se inavvertitamente possa essere andata "fuori tema" nella mia precedente, ma l'argomento era ghiotto. Riguardo alla superiorità "ontologica", sarebbe bello poter parlare di diversità di carismi. C'è chi lo fa anche tra i presbiteri, ma al redde rationem ancora di abbarbica alla separatezza castale... . Questo purtroppo indipendentemente dalle risposte date a chicchessia e per qualsivoglia motivo. Ed è per questo che io parlo di problemi strutturali: di struttura ecclesiale ma anche di struttura mentale, per i laici ma anche per i chierici, senza distinzioni di sorta. L'uso utilitaristico della superiorità ontologica, assunta col latte materno da laico, si accentua pesantemente quando, ad esempio, uno si ritrova a darti ragione su alcuni argomenti ma poi rientra nel "presbiterio" quando si debbono prendere delle decisioni coerenti. Indipendentemente se ci sia di mezzo o meno una relazione con una donna, tanto per essere chiari. Si sa, quando si fa valere una differenza castale e ci si appella del tutto inavvertitamente al "potere", siignifica che manca il coraggio di sostenere i propri argomenti coram populo, ivi incluso spesso il proprio consiglio pastorale. Si finisce con l'avere paura di "fare diversamente" perché da una parte si mette sulla bilancia la comunità nel suo insieme e la possibilità che venga interdetta la continuazione di un servizio, e dall'altra la parresìa evangelica. Meno nobilmente, ci si affida perciò alla confessione individuale per rimettere certi peccati del tutto privatamente. Da qui nascono i passa parola del "va da quel prete lì che è bravo..." personificando il messaggio. Si finisce con l'essere "di Paolo o di Apollo", per noi laici. E questo perpetua all'interno di un rapporto che riteniamo "privilegiato", proprio la separatezza ontologica.
E intanto si tira a campare... . Cosa che io rifiuto. Sempre. Ma si sa, la coerenza non è una virtù cristiana... :-)
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Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi mara57 » 18 apr 2009, 13:47

cara Stefania, quqando si parla di obbligo al celibato si parla di una norma riguardante la fisicità e tutto quello che comporta assecondare la fisicità ( compreso il bisogno di relazioni affettive e sentimentali) . il mio discorso infatti era , più in generale, sui condizionamenti che si mettono in atto per fare in modo che una norma così suscettibile di "sgarri" possa essere non solo accettata, ma inglobata nel personale modo di percepirsi e relazionarsi.
Qui non è più questione di fisicità ma si parla di bisogno di assumere una identità inevitabilmente SUPERIORE : superiore a qualsiasi bisogno terreno. quando dico che la Chiesa sostituisce la fede e la religione ai bisogni affettivi e psichici mi riferisco proprio a questo : il prete non deve avere questo tipo di bisogni : deve essere superiore.
Ribadisco : la questione non si limita alla fisicità ma è da lì che parte e poi ritorna. Perchè il prete , prima ancora di ordinarsi è un uomo. eppure anche questo è grosso scoglio : non si FA il prete, ma si E' prete !!! Nel Vangelodi Luca (1-1,9 ) " C'era un sacerdote di nome Zaccaria ....che aveva per moglie una donna....TRASCORSO IL PERIODO DEL SUO SERVIZIO , SE NE TORNò A CASA SUA...." I nostri preti , invece, ricevono la CHIAMATA a 12 - 13 anni e da quel momento SONO e RIMARRANNO
preti . L'abolizione del celibato servirebbe perchè conseguentemente non avrebbe più ragione di esistere quell'insieme di strutture, atteggiamenti e procedure che portano i preti a sentirsi superiori ed impenetrabili. Certo, molti ( non tutti ) di quelli così formati, andrebbero in frantumi se dovessero scendere a patti con le loro esigenze "umane" e noi , donne di preti, portiamo i graffi nell'anima come segni delle contraddizioni di questi soggetti contorti che non sanno riconoscere l'amore dentro se stessi; non sanno collocarlo nè tanto mrno gestirlo. INCONSAPEVOLI O VILI E COLPEVOLI ? ? ?
scostandomi un'attimo dallo specifico : io continuo a chiedermi perchè non sento parlare di abolizione dell'obbligo al celibato le associazioni di preti sposati o le comunità di base ? mah ! mara
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Re: Lasciare il ministero: una scelta per la libertà?

Messaggiodi chino » 18 apr 2009, 19:24

cara Mara57 sono 30 anni che seguo gruppi e movimenti di preti sposati in Italia e fuori e anche il lavoro delle comunità di base. Sempre in primo piano ho notato la richiesta spesso anche polemica dell'abolizione del celibato obbligatorio. Non so perchè dici che i suddetti movimenti non ne parlano. Anzi ci rimproverano di chiedere quasi solo quello. Tornando al tema: lasciare il ministero: una scelta per la libertà??? E' necessario cercare di capire cos'è la libertà prima di tutto. Per me è stata una scelta durissima, come per tanti altri. Sono stato messo nella condizione assurda di scegliere fra due valori che potevano benissimo coesistere: il ministero e l'amore per Nadia. Questi due valori sono stati messi in competizione, la donna è rivale di Dio, ti divide il cuore, non ti consente di darti tutto alla chiesa di Dio. In realtà è questa chiesuola di questo vescovino funzionario di Roma che vede nel celibato obbligatorio non tanto un carisma per il regno ma un'occasione di potere, perchè la sua diocesi vale per il numero dei preti sempre disponibili ed obbedienti per ogni trasferimento ad nutum del vescovo. Per me ha pienamente ragione Giovanni Franzoni quando definisce la legge obbligatoria del celibato, una legge criminogena. Non dovrebbe essere lecito a nessuna barba di papa, di vescovo o di concilio porre un diritto primario inderogabile come il diritto naturale al matrimonio contro l'esercizio di un ministero presbiterale lecitamente ricevuto con l'imposizione delle mani di vescovi e tanti preti. Chino
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