di ornella » 2 apr 2009, 8:22
Cara Stefania,
mi permetto una breve risposta alla tua ultima. Io credo che la risposta sia nella parola "rifugio". Uno che si rifugia in un non meglio specificato altrove comunque fugge da qualcosa o da qualcuno. E' più difficile restare dove si è e tentare di modificare la situazione stando "dentro". Certo però se uno, in questo caso sto parlando di quei preti che, dopo il matrimonio, per sopravvivere psicologicamente con la loro famiglia, non "dimentica" e non si "occulta". Personalmente non credo che esista un rifugio sicuro, perché a se stessi non si sfugge... . Per farti un esempio banalissimo sullo stato di confusione e di illiceità che uno vive in certe situazioni, porto un aneddoto che riguarda una persona che ho conosciuta piuttosto da vicino: si è sposato una prima volta a Cintano, presso il cenacolo familiare, poi si è ri-sposato, ho letto, alla CdB. di don Barbero, e non ancora in pace con se stesso, avrebbe desiderato un altro matrimonio con due testimoni quali Ausilia e suo marito, allora ancora in vita.
Se questa non è la dimostrazione lampante di quanto difficile sia anche "regolarizzare" davanti a noi stessi una situazione che si vive come una trasgressione, io non saprei quale altro esempio portare.
La libertà non la si ottiene "rifugiandosi" né buttandosi nell'oblio, ma lavorando su noi stessi. Sarà faticoso, ma un lavoro su noi stessi, che del resto compiamo tutti/e nei punti di svolta della nostra vita, è il solo in grado di aprire la strada a una adultità di rapporti con la nostra fede e con il nostro prossimo.
Posso sbagliarmi, ovviamente, però la vedo così.
Con affetto
Ornella