di ornella » 14 mar 2009, 8:47
Caro Federico e care tutte,
solo due righe mentre mio marito è ancora ricoverato in ospedale, quindi di corsa (questo per chi mi conosce).
Credo che un processo di autocoscienza come il tuo, Federico, sia tramite la psicoterapia sia tramite un guardarsi dentro in profondità fuori dai "ruoli" sociali ed ecclesiastici sia una svolta fondamentale e di sostanza per il volersi più bene, per non sentirsi dei/delle reietti/e, o dei casi limite.
Io sono felicemente sposata da quasi quarant'anni, il mio ministero è quello del matrimonio, ma solitamente non mi manca il tempo per "altro"... e in questo "altro" comprendo anche un servizio stabile o comunitario o via internet per quanto è nelle mie possibilità.
Certo coniugare ministero presbiterale e rapporto di coppia e paternità comporta un profondo mutamento non solo personale, comporta una crescita della chiesa intesa come comunità per uscire dalla nozione infantile che la mostra spesso come dispenser di sacramenti... . Se l'impegno comunitario dei laici e delle laiche fosse maggiormente favorito con un'assunzione di responsabilità diretta nella gestione della comunità e nell'evangelizzazione sarebbe un passo in avanti anche per liberarci dalla visione unilaterale e sacrale del presbitero, e permettergli una vita più serena, con l'intimità indispensabile a costruire e mantenere un rapporto di coppia. Insomma a viversi pienamente la vita al servizio dei fratelli e delle sorelle in Cristo, con un'indipendenza maggiore rispetto all'accentramento, favorito dalla mentalità corrente, che vedo oggi. E chiarirebbe molte situazioni di crisi che si reggono, di fatto, su contatti occasionali, clandestini, asfittici. L'amore, come gli alberi, per crescere ha bisogno di luce del sole, di calore, di gioia di vivere e di viversi. E di dedizione. L'errore che si compie spesso è che si pensa all'amore di coppia come ad un rapporto "esclusivo", sbagliando. Non credo che ci sia rapporto di coppia fecondo che non sia "inclusivo", e come include i figli per i laici e le laiche, include certamente anche la comunità che si serve. Altrimenti significa che ci si ferma sulla soglia: all'innamoramento. E questo forse per un celibe è difficile capirlo. Io non sono contraria al celibato di per se stesso, sono però per la libera scelta di ognuno secondo i suoi carismi e i suoi percorsi di vita. Nessun prete è più santo perché è celibe, e nessuno è "migliore" perché è sposato. Non siamo "esempi", siamo tutti testimoni di quello che crediamo, ma soprattutto con quello che viviamo. E vivere in eterno nell'ambiguità delle non scelte finisce col far male all'altro/a. Non credo perciò che i "frutti" siano buoni.
Quando potrò, leggerò con interesse quanto scrivi, che mi trova assolutamente d'accordo.
Un sororale abbraccio a te e a tua moglie
Ornella