l'universo parallelo del silenzio

“Non è bene che l’uomo sia solo…” (Gen 18)

Questo blog nasce dall’esigenza di portare alla luce la sofferenza, i problemi, le contraddizioni e gli ostacoli o i divieti che derivano dalla legge del celibato obbligatorio dei preti, così come previsto nell’ordinamento della chiesa cattolica romana.
Vuole essere principalmente un punto per lo scambio di esperienze e per il sostegno reciproco di quanti sono coinvolti in questa problematica:

• Le donne, che sono costrette a nascondersi, talvolta a vergognarsi di ciò che provano, subendo i cambi continui di umore di una immaturità affettiva dei chierici

• I preti, che vivono uno stato di confusione tra ciò che sembra essere il loro obbligo di fedeltà verso la chiesa a cui appartengono, e la bellezza di una nuova scoperta.

• I figli nati da queste relazioni, che hanno tutto il diritto di essere figli come tutti gli altri e quindi amati e cresciuti da entrambi i genitori. Soprattutto, come la gerarchia sosteneva a riguardo del referendum sulla legge 40, hanno il diritto di conoscere chi è il loro padre

E’ evidente che il celibato obbligatorio sia solo uno dei sintomi di una rigidità dottrinale che non contempla il bene dell’uomo e, per questo, la chiesa stessa (il popolo di Dio) deve trovare la forza e la libertà di andare oltre la legge, proprio sulle orme dell’uomo Gesù che ha avuto il coraggio di sfidare i mali del Tempio.

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Messaggiodi signorafantasia » 16 nov 2008, 15:41

Salve a tutti, alcune tra voi mi conoscono già, benchè sia una presenza relativamente “nuova” all’interno di questo microcosmo in espansione rappresentato da donne e uomini che vivono l’esperienza dell’amore negato,e voglio ringraziare Stefania per avermi dato la possibilità di partecipare a questo tipo di confronto, e quanti altri si sono adoperati per far venire alla luce questo sito. Ho letto qua e là i vari interventi dei partecipanti, e mi fa piacere constatare che ci siano persone sensibili alla problematica, benchè non direttamente coinvolte in un’esperienza del genere. Vorrei ringraziare a questo proposito anche Donfy, non capita spesso di sentire il parere di chi sta “dall’altra parte della barricata” senza che questo sia accompagnato da giudizi più o meno gratuiti , consigli elargiti altrettanto facilmente,e, naturalmente, ammonimenti riguardo la necessità,più o meno irreprensibile, di mantenere il silenzio. Il silenzio è certamente l’arma più potente nelle mani di uno stratega, peccato che questo potere spesso e volentieri venga usato da noi donne contro noi stesse. Al di là delle contraddizioni della Chiesa cattolica estremamente istituzionalizzata e legata a doppio filo con il potere,al di là dell’assurdità di molti precetti e prescrizioni del diritto canonico,lontane anni luce dallo spirito evangelico,penso che l’ostacolo più grande da affrontare non sia la mal disposizione del clero verso argomenti considerati spinosi e scomodi,ma proprio la volontà manifesta da parte di molte persone di non affrontare il problema da un punto di vista che non sia velato dalla clandestinità e offuscato dalla paura. C’è un universo di parole non dette, gesti mancati, lacrime soffocate dietro un’apparente tranquillità per paura, per “amore” di chi non può ricambiare alla luce del sole i nostri sentimenti, che nasce nello stesso istante in cui capiamo di esserci innamorate di un prete, e che purtroppo, molto spesso, muore nello stesso silenzio di cui si è nutrito. Quante tra noi hanno represso e costretto all’implosione questo universo, per il timore di perdere la persona amata, di ferirlo, o più semplicemente, di non essere capite? Ma non è forse l’amore con-divisione? Non significa forse partecipare all’altro e dell’altro pienamente,ciascuno con le proprie luci e le proprie ombre?
Personalmente, dopo aver oltrepassato il limite della dipendenza affettiva, non raro in dinamiche relazionali così complicate,credo che una relazione profonda e matura implichi il rispetto e la reciprocità,nonché la necessità che ciascuno mantenga spazi ben definiti dentro di sé. Purtroppo nella maggior parte dei casi questo risulta difficile da realizzare,soprattutto per noi donne,proprio perché si tende a identificare questa necessità di mantenere ben distinta la propria individualità con l’abbandono, nel senso più negativo del termine,del partner a se stesso. E finiamo per annullarci e negare la nostra condizione di donne,quindi la nostra dignità, per una semplice svista. Perchè non abbiamo la lucidità e la lungimiranza adatta per comprendere che questo “lasciare all’altro ciò che è suo” è l’inizio della sua salvezza, e della nostra. Credo sia fondamentale che il prete che si innamora trovi la forza di affrontare il cammino difficile del discernimento,e che lo faccia senza forzature,in solitudine; il sostegno da parte della donna è un ottimo coadiuvante, ma deve essere gestito con estrema delicatezza,senza interferenze. E’ il primo passo verso una maturazione più profonda,che porta allo sganciarsi da quella mentalità stagna e perciò debole che viene costruita negli anni del seminario, e di una vera crescita spirituale. Mi rendo conto, tuttavia, di quanto questo proposito sia lontano dalla realtà,dove nella migliore delle ipotesi il prete vive una doppia vita,nascondendo il proprio legame con una donna e costringendola a fare altrettanto,vivendo perennemente con la paura di essere scoperti,e il senso di colpa più o meno latente. E chi paga lo scotto maggiore,come al solito,non è chi indossa i paramenti. Non sto negando il dolore immenso che tocca la vita di chi sta dall’altra parte,per carità; non è una gara a chi soffre di più. Ma la donna è senza alibi, è comunque “la tentatrice”,o comunque, colei che non è riuscita a stare al proprio posto, e ha macchiato la veste immacolata di un uomo santo. E non ha voce in capitolo,perché lei, per prima, la soffoca. E’ per questo che credo sia necessario cominciare a parlare,a raccontarsi,a condividere esperienze e sofferenze,e fare in modo che anche i preti con i quali si intreccia una relazione trovino il coraggio di fare altrettanto. Credo che altrimenti non abbia molto senso stare qui a discuterne. Va bene il confronto, è senza dubbio uno strumento efficace e di grande conforto,ma si rischia di fare la fine del gatto che si morde la coda,e di far riecheggiare tante belle parole in uno spazio chiuso,proprio quando è forte la necessità di farle uscire,e diffondersi il più possibile. E non possiamo far accettare agli altri l’esigenza di affrontare la problematica del celibato se noi,per prime, non prendiamo atto della necessità di coinvolgere tutti coloro che ci stanno dentro. Sia che si porti la veste,sia che invece si indossi il rossetto. Voi cosa ne pensate?
Un abbraccio
ange
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Re: l'universo parallelo del silenzio

Messaggiodi donfy » 16 nov 2008, 16:54

Condivido appieno le tue parole. Credo che la condivisione delle eperienze, e non il dover insegnare a campare, sia il passo autentico d fare. E' come la semina nella coscienza di chi ci ascolta, sapendo però che non è che l'interlocutore sia necessariamente uno stupido e semplicemnete dalla parte del torto (per esempio la Chiesa e sue leggi). Se si dialoga si deve saper cogliere il positivo in tutti, anche se chi la vede diversamete non ci capisce. La vera sfida è quella della mutua integrazione, cioè il tentativo di immergersi l'uno nella posizione dell'altro arricchendoci. Certo non è facile accogliere la posizione a noi distante e trasmettere anche i nostri elementi di novità. Ma non vedo come si possa fare diversamente.
Se io dico che la Chiesa sbaglia tutto, che i preti sono vigliacchi, che la gerarchia è prevenuta (ed io non ne sono convinto) la battaglia è già finita anche perchè comincia su basi sbagliate o comunque poco costrutive. Sarà veroin parte, ma anche noi siamo prevenuti, limitati.
Io mi sento vicino a, ma riconosco che la Chiesa ha le sue ragioni giuste, fondate e legittime e che, riguardo al Celibato, forse è giunto il tempo di ripensarlo, magari in una rimodulazione della priposta celibataria, una differenziazione che non sia una cancellazione.
Comunque io ringrazio voi con le vostre testimonianze e le donne che ho amato e che mi hanno amato perchè attraverso di loro sono maturato affettivamente in maniera immensa. E' costato tantisimo a tutti, ma ringrazio la Provvidenza di aver incontrato "amori" che non mi hanno "ricattato", ma amato e accolto anche nella mia consapevolezza di non voler abbandonare la mia strada. Questo non ci ha impedito di regalarci amore vero.
Ange, grazie e a risentirci
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Re: l'universo parallelo del silenzio

Messaggiodi Emma » 17 nov 2008, 14:09

Salve a tutti amici del forum! Alcuni di voi già sapranno chi sono (come Stefania o Ange) perchè sono intervenuta in un altro forum, con la stessa tematica sul celibato sacerdotale.La mia è una storia comune quanto dolorosa,ovvero l'amore per un prete,un amore negato e mai vissuto.Parlo,quindi,per esperienza,perchè so i grovigli interiori che scatena una situazione del genere nell'animo femminile. Al riguardo m'inserisco molto volentieri nell'argomento proposto da Ange e soprattutto vorrei rispondere a Donfy.Innanzitutto mi congratulo che un don intervenga in questi argomenti spinosi e non si nascondi.Quello che proprio non condivido eticamente,invece, è che un "presbitero" che aderisce in pieno allo stile di vita che la Chiesa ha pensato per lui sia tanto contraddittorio nei suoi pensieri.Intendiamoci,non sono quì per giudicarti,caro Donfy,ci pensa già la Chiesa istituzione,di cui sei membro, a sollevare anatemi.Il mio intento è solo quello di evidenziarti una profonfa discrasia tra le parole che hai usato e il loro effettivo significato.Prima su tutte la parola amore.Troppo si abusa di questo termine nella nostra società,forse perchè c'è troppa superficialità in giro,ma da te Donfy,da quello che rappresenti,ovvero un uomo che predica costantemente il messaggio evangelico di Gesù,proprio no!Non si può affermare di amare sul serio una donna quando non le si può offrire dignità nel vivere un sentimento,quando la si relega su un gradino inferiore (mi riferisco al ruolo sacrale che la Chiesa dà al sacerdote).No questo non è amare, è soltanto fare i propri comodi,pensando solo a sè stessi.Ma l'amore ,caro Donfy, è tutt'altro!Fin quando il prete sarà ritenuto ciò che la Chiesa attuale statuisce,ovvero l'uomo del sacro,l'ntermediario tra l'uomo e Dio,non ci sarà parità tra il clero e i laici e di conseguenza vera dignità tra il prete-uomo e la donna.Ci sarà sempre un pulpito che li separa,un pulpito che l'uomo ha creato e che non ha nulla di evangelico! Bisogna assumersi le proprie responsablità nella vita e capire quanto, "mantenere il piede in due staffe" sia comodo e condannabile eticamente e moralmente! Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensi al riguardo.Saluti a te e a tutti voi del forum. Emma.
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Re: l'universo parallelo del silenzio

Messaggiodi Stefania » 17 nov 2008, 14:32

Salve Ange,
se davvero fossimo tutti d'accordo sul fatto che la svolta effettiva è "uscire dal silenzio", la situazione non sarebbe quella che è. L'istituzione impone il silenzio (non la presunta irreprensibilità, bada bene!), il prete spesso impone il silenzio alla donna, e la donna, che è quella che di fatto è alla base di questa catena, invece di spezzarla, che fa? Si nasconde, a sua volta, e tace.
Secondo me c'è un abisso tra una naturale e dovuta riservatezza e la paura di uscire allo scoperto.
Non si tratta di affermare: "Abbasso il papa!"
Si tratta di poter dire a gran voce: "Mi sono innamorata - Mi sono innamorato! E non mi vergogno". "Esiste una norma che ho accettato quando ero poco più che un adolescente; ma oggi non posso più osservarla. Posso non sposarmi, ma non posso non amare e non desiderare di essere amato/a. Ormai non mi è più possibile. E non sono impazzito, sono felice!"
"Tu che dici di essere mia madre, non farmi questo! Non costringermi a vivere di nascosto il mio amore o ad abbandonare il ministero, non obbligarmi al senso di colpa, non trattarmi da traditore! Non sto scegliendo un ministero di serie B, non mi sono perso in un amore più piccolo, trascurando quello più grande... il mio cuore si è espanso, sono entrambi dentro di me!"
Non c'è rivendicazione, c'è assunzione di responsabilità.
Ma, a mio avviso, se a fronte di questa consapevolezza e successiva esternazione, resta tutto invariato, si va oltre e si continua sulla propria strada, a prescindere da norme e precetti.
La verità ci farà liberi, a patto che vogliamo liberarci.
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Re: l'universo parallelo del silenzio

Messaggiodi donfy » 17 nov 2008, 16:09

"Si tratta di poter dire a gran voce: "Mi sono innamorata - Mi sono innamorato! E non mi vergogno". "Esiste una norma che ho accettato quando ero poco più che un adolescente; ma oggi non posso più osservarla. Posso non sposarmi, ma non posso non amare e non desiderare di essere amato/a. Ormai non mi è più possibile. E non sono impazzito, sono felice!"
"Tu che dici di essere mia madre, non farmi questo! Non costringermi a vivere di nascosto il mio amore o ad abbandonare il ministero, non obbligarmi al senso di colpa, non trattarmi da traditore! Non sto scegliendo un ministero di serie B, non mi sono perso in un amore più piccolo, trascurando quello più grande... il mio cuore si è espanso, sono entrambi dentro di me!"
Non c'è rivendicazione, c'è assunzione di responsabilità"

Pienamente d'accordo con te Stefania. E' ciò che ho dentro il cuore e tu l'hai colto.
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Re: l'universo parallelo del silenzio

Messaggiodi ornella » 17 nov 2008, 16:42

Cari/e tutti/e,
non posso che dare in toto ragione a Stefania, e questo soprattutto dopo averne discusso a lungo proprio con fratelli preti, alcuni dei quali formatori e quindi particolarmente interessati proprio all'educazione dei seminaristi. Sono troppi quelli che lamentano le carenze che loro stessi, a suo tempo, avevano a livello affettivo, sia frutto dell'educazione familiare che di quella seminariale, e sono loro stessi che capiscono bene come l'innamoramento non sia come una "malattia infantile", superata la quale uno esce dall'adolescenza ed entra nell'età adulta. Purtroppo però ci si ferma lì coi discorsi e non si prosegue verso una presa di coscienza che l'innamoramento non basta a fare una coppia, come del resto l'innamoramento non basta a fare una vocazione presbiterale. L'innamoramento non è che il primo passo, il primissimo, per un progetto di vita a due ed anche per una vita celibe dedicata al servizio della Chiesa, cui deve far seguito, in piena libertà, un'assunzione di responsabilità, che essa sia di celibato o che essa sia di matrimonio non dovrebbe fare alcuna differenza. Io credo che sia possibile andare oltre, come dice Stefania, quando ci si rende conto che non siamo NOI, è la Chiesa che ci impone dei "pesi insopportabili" definendo di fatto inconciliabili due sacramenti: il ministero ordinato e il matrimonio. Altro discorso si deve fare per i religiosi e le religiose, che fanno voto senza per questo essere preti, per le donne poi è assurdamente impossibile, ma anche a questo proposito io credo che una maggiore comprensione del cammino di ciascuno/a eviterebbe tante vere e proprie pressioni psicologiche, tracimanti spesso nella vessazione, davanti a sentimenti consolidati. L'esclautrazione non dovrebbe essere un dramma, ma un punto di svolta dopo adeguato discernimento personale.
Una parola alle mie sorelle: liberatevi dalle dipendenze, se le riconoscete come tali, e chiedetevi sempre se il vostro atteggiamento e le vostre attese sarebbero forse diverse e meno laceranti se vi foste innamorate di un uomo "qualunque", che non può scaricare verso "terzi" (la Chiesa) la responsabilità di una decisione che è solo ed esclusivamente sua. D'altra parte devo dire che è un malvezzo maschile abbastanza diffuso il "lasciar fare" sino al "permettere di essere lasciati" piuttosto che prendere un'iniziativa chiara e schietta nei confronti della partner.
Riguardo alle "buone ragioni" della Chiesa, non vi è ragione che tenga quando si accettano relazioni clandestine, figli nati dalle medesime, magari sovvenzionando le madri purché... purché non si faccia scandalo.
E' più scandaloso (e più crudelmente ipocrita) privare un bambino del proprio papà, mentre si parla tanto di famiglia, pur di trattenere tra i ranghi un uomo che avrebbe altre responsabilità, di fatto stabilendo una gerarchia "di valore" che tutto sottomette, ivi incluse la vita della donna e quella dell'eventuale figlio/a (quando non si ricorre all'aborto), alla "sacralità della promessa". Ho detto "promessa", non ho detto "voto", che viene professato a prescindere che poi uno diventi prete. Mi pare, e mi spiace se questo piacerà poco a troppi/e, che di fatto si sia teso ad equiparare il servizio "presbiterale" ai voti monastici, che sono invece altro e sono nati proprio ad argine del lassismo di costumi non solo sessuali, ma anche di temporalismo spinto ed avidità di potere e di danaro, di parecchi preti secolari.
Per quanto concerne la mia idea di chiesa, coincide con quanto esprime Stefania, ma abbiamo davanti questa istituzione e non un'altra: il riformarla spetta a tutti/e, consapevoli però che senza alleati tra i vescovi l'impresa si presenta disperata eccetto per chi continua a sperare nello Spirito. Questo significa prendere partito in ogni modo possibile, e profittevole, non per rivendicare, ma per sensibilizzare e proporre, approfittando di ogni opportunità che ci venga fornita, a partire dalla nostra quotidianità. Riguardo alla perversa equazione "omosessualità uguale pedofilia", vorrei che non passasse una semplificazione del genere, come vorrei che non passasse l'idea anche solo larvata da parte di qualche prete sposato come quella che mi è accaduto di sentire telefonicamente, all'insegna che "noi almeno non siamo pedofili". A questo proposito mi raccontava un comune amico che oggi non c'è più che, nell'organizzazione di preti sposati cui apparteneva, ne hanno trovati quattro, che non so se abbiano denunciato alle autorità competenti, ma so che hanno espulso.
Un abbraccio affettuoso a tutti/e
Ornella
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Re: l'universo parallelo del silenzio

Messaggiodi signorafantasia » 17 nov 2008, 16:49

Anzitutto vorrei ringraziare quanti sono intervenuti al dibattito da me sollevato. E’ sempre un piacere constatare che ci sia qualcuno disposto a confrontarsi... Vorrei poi puntualizzare una cosa, che forse non è emersa dal mio precedente intervento; mea culpa,a volte mi perdo in giri di parole inutili e non riesco a far arrivare chiaro il messaggio. Quello a cui mi riferivo, parlando della necessità dell’impegno da ambedue le parti,e del bisogno di mantenere i ruoli ben separati in un rapporto, è di smettere di giustificare la debolezza e la sterilità emotiva dei preti, ricordando che prima di tutto sono persone,e in quanto tali capaci di intendere e di volere, nonché di fare uso dell’intelligenza, un dono che il Signore ha elargito con amore a tutti. Ragionare con la propria testa,liberi da preconcetti e dettami inutili,lontani dallo spirito evangelico. Sentire il cuore,che batte forte dentro al petto di ciascuno di noi,e ascoltare cos’ha da dirci. Se nel confronto con l’altro abbiamo paura di perdere le deboli certezze a cui strenuamente ci aggrappiamo,e ci barrichiamo per difendere con le unghie e con i denti le nostre posizioni,non si va da nessuna parte,e ogni discussione lascia il tempo che trova. E non ha senso combattere un giorno solo per salvare il proprio orticello, e poi chi si è visto si è visto. Se vogliamo per la Chiesa il rinnovamento, bisogna iniziare a costruirlo. “Vino nuovo in otri nuovi”, ha detto Gesù. E allora, se vogliamo che il vino non si perda, dobbiamo iniziare a pensare di trasferirlo in una botte più grande,e un po’ più solida di quella costruita dalle gerarchie.
La Chiesa ha una grossa responsabilità,e non solo nei confronti dei preti, ma di quanti si accostano con spirito di estrema umiltà e senso di profonda fiducia nei confronti della religione, e questo perché ha ormai dimenticato, credo, l’obbedienza alla Parola di Dio che ha abdicato in favore del Diritto Canonico,e di quella che definisco teologia di comodo. E’ troppo facile scegliere cosa va bene e cosa invece no quando si ha il potere di manovrare le coscienze altrui,ed è altrettanto semplice rigirare la frittata appellandosi alla sacralità di certe questioni, quando chi parla ha creato le regole del gioco. E il problema non riguarda solo il celibato. Ha a che fare con qualcosa di molto più serio, che è la dignità e la spiritualità dell’individuo. Che sia ricco,povero, nero,giallo o rosso, gay o divorziato,uomo o donna poco importa. Vogliamo poi parlare della esclusione dai sacramenti delle persone omosessuali o divorziate? O dell’impossibilità da parte delle donne di accedere al sacramento dell’ordinazione sacerdotale? Non mi pare che siano argomenti meno degni della questione del celibato,e tutti comunque riconducibili sempre allo stesso punto. E’ l’ingerenza inopportuna da parte della Chiesa in questioni che non competono,l’arroganza e la pretesa di possedere la verità assoluta, la chiusura totale al dialogo, che ferisce le coscienze e solleva interrogativi che molti non vogliono porsi. La paura la fa da padrone. Paura dell’altro, di come la pensa, di quello che ha da dire. Paura di perdersi. Paura di capire che c’è un altro modo di vedere le cose, ed è esattamente degno quanto il mio. Semplicemente perché nessuno possiede la Verità,che è inafferrabile, ma che chiede di essere cercata. E che non mi si venga a dire che è una questione di aderire completamente o non aderire alla fede,buttandola sul misticismo. La fede non è qualcosa che ti cade dal Cielo, e tu conservi per tutta la vita senza doverti preoccupare di nulla. La fede non è statica, ma è qualcosa che si costruisce attraverso l’esperienza del dubbio,del deserto,è il crollare di tutte le tue certezze,di tutte le tue convinzioni; è il risveglio della coscienza, non il soffocamento assoluto di essa. E’ un cammino assolutamente personale e libero verso la Verità. Sarà un caso che Gesù abbia detto “sono venuto per liberare, e non per condannare”? Sarà per una strana coincidenza che Dio abbia scelto una ragazza madre, simbolo del pregiudizio sociale, per far venire al mondo il Redentore? E sarà altrettanto casuale che Gesù si circondasse di ladroni, peccatori e prostitute,anziché banchettare con i potenti e i sacerdoti del tempio? No, non credo. E allora smettiamola di appellarci all’inappellabile,ci stiamo nascondendo dietro a un dito, creando altri alibi per non affrontare il problema come si deve. Quanto al celibato, caro Donfy, mi pare che le uniche ragioni alle quali la Chiesa si appella siano di natura tutt’altro che spirituale. Correggimi se sbaglio, ma il celibato dei preti di confessione cattolica e di rito latino (quelli di rito orientale possono sposarsi, per coloro che non lo sapessero) è una “regola” che risale alla seconda metà dell’XI secolo( vale a dire più o meno mille anni dopo la nascita delle prime comunità cristiane), in seguito alla riforma gregoriana, come contromisura socio-politica più che come esigenza spirituale. Prima di quella data, i preti potevano sposarsi. Fu Gregorio VII ,infatti,a scegliere di adottare questo espediente per evitare che l’alto clero finisse per favorire gli interessi delle grandi famiglie aristocratiche del tempo, a scapito di quelli della Chiesa. Il Concilio di Trento del 1545 sancì in modo definitivo questa disposizione, e anche questo fu un modo per contrastare le rivendicazioni della Riforma Protestante, che voleva un clero vicino al popolo,e non separato da esso. Tutto quello che ne consegue credo lo conosciamo tutti. Senza considerare il ritorno economico di tutta la situazione. Non dimentichiamo che il Vaticano è uno Stato dentro lo Stato, con la sua indipendenza,la sua gerarchia,le sue leggi,e in quanto tale esente dagli obblighi di natura civile,penale e finanziaria che vigono altrove. Se riconoscesse il diritto di avere una famiglia ai religiosi,(e qui Emma,essendo del campo, potrà confermare o smentire,e dare delucidazioni più approfondite a noi tutti)dovrebbe regolamentare la situazione anche a livello giuridico,e sottostare così alle norme dello stato laico, che implicano la perdita di tutti i privilegi di natura economica di cui lo Stato Vaticano gode. Poi c’è un’altra cosa che non mi torna: i preti non fanno voto di castità ( è un obbligo previsto solo per chi aderisce ad alcuni ordini monastici,come i gesuiti o i francescani)per cui, se hanno rapporti sessuali, “si macchiano” solamente di peccato contro il sesto comandamento(come chiunque altro professi la fede cattolica), vale a dire che il fallo è “reversibile” attraverso il sacramento della confessione. Per la serie “questo non si deve fare perché è peccato,però se vieni e confessi tutto la macchia non c’è più, e puoi sentirti di nuovo a posto”. Che razza di ipocrisia è mai questa? Mi viene da pensare(e sarò sicuramente accusata di presunzione)che il peccato,visto in quest’ottica,sia un’altra trovata per manipolare le coscienze ed esercitare il potere indisturbati. “Tu sei peccatore, e io l’unico strumento di cui puoi avvalerti per ingraziarti i favori e il perdono dell’Altissimo. Perciò, se vuoi entrare nel Regno dei Cieli,devi fare come ti dico io, e al limite puoi rivolgerti a me per qualsiasi dubbio”. Userò parole un po’ forti, e quanti si sentiranno offesi vogliano perdonarmi, ma questo mi sembra non troppo distante dal terrorismo psicologico. Le Sacre Scritture, però, mi pare parlino chiaro: “Voglio l’amore, non il sacrificio” (Os,6,6) e ancora : “I sacerdoti si nutrono del peccato del mio popolo,il loro cuore è avido della loro iniquità”(Os,4,8). Come la mettiamo? C’è qualcuno disposto a “illuminarmi”, a questo proposito,e a farmi vedere le cose da un punto di vista diverso? Lo apprezzerei tanto, ve lo assicuro.
Un abbraccio.
Ange.
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Re: l'universo parallelo del silenzio

Messaggiodi ornella » 17 nov 2008, 17:15

Carissima Ange,
riguardo al sacramento della riconciliazione visto come "un cancellino", non basta un'assoluzione ad estinguere alcunché senza la necessaria disposizione di spirito e volontà di emendarsi, qualsiasi sia il peccato (grave) che si confessa. E' tipico di un'autoassoluzione burocratica di casta l'uso (pardon, l'abuso) del sacramento messo nei termini nei quali lo metti tu. Hai reso l'idea, non hai usato termini forti! Leggevo in un libro inchiesta di qualche anno addietro che, all'interno di una relazione tra un prete e una donna, il primo, dopo il rapporto sessuale, la confessava e le dava l'assoluzione. E la tapina aveva una visione talmente giuridica del sacramento da non rendersi conto di essere usata dall'altro per scaricarsi la coscienza. Hai ragione, c'è molto da rivedere, soprattutto in materia di morale sessuale (il famoso "de sexto") all'interno della chiesa, ma non sono tutte spine. Come sempre, siamo in presenza di una religione (non parlo di fede appositamente) che tende a preservare l'esistente, eccetto sbatterci il naso pesantemente quando ci si rende conto della realtà nella quale si vive, nei mutamenti che sono dentro la società, del mare di sofferenza che si rischia di generare opponendo solo dei "no" categorici. Mi verrebbe da dire che è tipico di una società chiusa di celibi il pensare, ad esempio, che due divorziati risposati vivano come "fralello e sorella"... . Di fatto so esistere fratelli che comunicano coppie di conviventi, senza precedenti legami matrimoniali. come so di altri che comunicano anche coppie di divorziati risposati. Devo però aggiungere che sono abbastanza stanca di venire letteralmente ossessionata da ogni genere di "disordine sessuale", per dirla col catechismo, mentre si tende a rimanere indifferenti davanti alle guerre, alle evasioni fiscali, alla povertà e alle discriminazioni di tutti i tipi, ivi inclusa quella dei miei fratelli e sorelle omosessuali, che conosco per diretta scienza.
Il problema è che molto si discetta nelle alte sfere e poco si è disposti a scendere dall'Empireo e approdare tra i fedeli comuni, molti dei quali, nutriti a digesti e pandette (catechismo e richiami al diritto canonico) sono a volte i più feroci e convinti persecutori dei loro fratelli e sorelle. Noi laici, almeno in parte, non siamo migliori... .
E per un po' me ne torno a leggere... ringraziando tutti/e per la pazienza
Ornella
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Re: l'universo parallelo del silenzio

Messaggiodi signorafantasia » 18 nov 2008, 0:42

Carissima Ornella,ti ringrazio per la tua appassionata risposta,e per quella precedente, che ahimè, probabilmente per il fatto di essere stata inserita quasi contemporaneamente alla mia, ho letto solo dopo il mio secondo intervento. Mi trovo assolutamente d'accordo con te, e vorrei chiarire che la mia affermazione in merito al peccato era una pura provocazione. Di solito non amo salire in cattedra e riempirmi la bocca con citazioni bibliche, facendo incetta di consigli e acclamazioni di merito, lascio volentieri questo compito a chi di dovere, e a chi ha creato intorno all'abitudine la sua stessa ragione di vita. Di solito non coinvolgo la religione,e mi limito a cercare le mie risposte nella vita di ogni giorno, nel volto di chi soffre,o semplicemente nel sorriso di un bambino. Non sto giustificando le mie affermazioni,non credo ce ne sia motivo. Sono assolutamente convinta della necessità di estendere il confronto ad altre problematiche che interessano da vicino realtà che convivono con noi ed entrano nella nostra quotidianità, anche se siamo abituati a guardare ormai da lontano certe questioni, quasi come se ci fossero estranee e staccate dal nostro vivere. Ma sono convinta anche del fatto che parlare non basta, e se le parole non vengono sostenute dai fatti perdono di significato. Bisogna agire,e tutti siamo chiamati a farlo, in maniera responsabile. E sono stufa almeno quanto te, Ornella, di vedere tanta gente che risolto il proprio problema, se ne infischia di tutto il resto, quasi come se la propria esistenza non avesse a che fare con quella degli altri. Soprattutto, sono stanca di constatare che ci sono sempre meno persone disposte a mettersi in discussione,e affrontare un qualsiasi argomento ad armi pari con l'altro,senza pretendere di far valere a tutti i costi il proprio punto di vista,o convertire l'altro alle proprie ragioni. Hai ragione tu, non è più una questione di essere credenti o meno, di indossare una veste o di fare parte "dei comuni mortali". Oggi come oggi, è difficile ricordare e realizzare cosa significa essere persone, e diventare esseri umani. Grazie con il cuore per le tue parole.
Un abbraccio con affetto
Ange
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Re: l'universo parallelo del silenzio

Messaggiodi donfy » 18 nov 2008, 11:35

Nel salutarvi ancora tutte, volevo esprimere un certo disagio nel sentire che tante volte veniamo accomunati tutti nel mucchio.
Come voi siete tante e diverse, e avete storie di vita e relazioni uniche, questo vale anche per noi.
Non è bello sentirsi dare del vile, dell'ipocrita, dell'affettivamente immaturo...e questo all'intera "categoria". Siamo persone con sentimenti, pensieri...
Voi avete certamente le vostre ragioni e i vostri dolori per parlare così, ma ciò che avete vissuto non può applicarsi a tutti.
Insomma dover sentire sempre che dal Papa in giù, fino a me siamo quasi tutti "deficienti" che non hanno il coraggio di fare scelte...che predichiamo bene e razzoliamo male...beh mi sembra limitativo.
Certamente ci sono "preti" che non si comportano bene che fanno soffrire la gente...ma lo sarebbero anche come uomini, ance s enon fossero ciò che sono.
Sono inceve convinto che tante storie tra donne e sacerdoti sono bellissime da ambedue le parti, certamente storie a rischio (più delle altre) perché compresse nei problemi di cui siamo tutti consapevoli. E' pur vero che quando una donna si innamora di un prete sa bene chi è lui e che limitazioni ha.
Non lo dico per scaricare la responsabilità, ma solo perchè quando donna e prete si innamorano sannobene chi hanno davanti.
Se il prete non ha il coraggio o la forza di sradicarsi dalla sua storia, dal suo passato, dal presente e dalle sue convinzioni non è giusto condannarlo.
Poi qualcuno ce la fa, allora meglio così. Non parlo dei casi estremi in cui un prete scappa duramte una gravidanza o dice di non aver mai amato la donna che invece amava. Non parlo di questi casi, perchè si commentano da soli.
Ma i sono tantissimi sacerdoti seriamente innamorati di una di voi che andrebbero rispettati.
Non credo che la soluzione sia poi abbattere la Chiesa. Quel prete che voi amate va rispettato anche nel suo amore per la chiesa. Non va ricattato, o me o la Chiesa, o me o il ministero. L'amore non ricatta, ma accoglie. E' come se amando te ti mettessi contro la tua famiglia, o una parte di essa.
Insomma non sono convinto che trovare colpevoli e suscitare sensi di colpa sia la cosa giusta.

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