C’è un tempo per il dolore e un tempo per tornare ad amare.

“Non è bene che l’uomo sia solo…” (Gen 18)

Questo blog nasce dall’esigenza di portare alla luce la sofferenza, i problemi, le contraddizioni e gli ostacoli o i divieti che derivano dalla legge del celibato obbligatorio dei preti, così come previsto nell’ordinamento della chiesa cattolica romana.
Vuole essere principalmente un punto per lo scambio di esperienze e per il sostegno reciproco di quanti sono coinvolti in questa problematica:

• Le donne, che sono costrette a nascondersi, talvolta a vergognarsi di ciò che provano, subendo i cambi continui di umore di una immaturità affettiva dei chierici

• I preti, che vivono uno stato di confusione tra ciò che sembra essere il loro obbligo di fedeltà verso la chiesa a cui appartengono, e la bellezza di una nuova scoperta.

• I figli nati da queste relazioni, che hanno tutto il diritto di essere figli come tutti gli altri e quindi amati e cresciuti da entrambi i genitori. Soprattutto, come la gerarchia sosteneva a riguardo del referendum sulla legge 40, hanno il diritto di conoscere chi è il loro padre

E’ evidente che il celibato obbligatorio sia solo uno dei sintomi di una rigidità dottrinale che non contempla il bene dell’uomo e, per questo, la chiesa stessa (il popolo di Dio) deve trovare la forza e la libertà di andare oltre la legge, proprio sulle orme dell’uomo Gesù che ha avuto il coraggio di sfidare i mali del Tempio.

C’è un tempo per il dolore e un tempo per tornare ad amare.

Messaggiodi Martina » 3 nov 2008, 21:01

C'è un tempo per il dolore, la rabbia, la tristezza.
Ma la vita ce ne dona un altro per ritornare ad amare, per rispondere a un'altra chiamata.

A nessuno è mai successo di provare una sana rabbia nei confronti dell’altro, delle sue mancanze?
Di avere la tentazione di vendicarsi in un qualche modo?
Ci raccontiamo come?
E come siamo usciti da questa ennesima follia dell’amore negato?
Martina
 
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Re: C’è un tempo per il dolore e un tempo per tornare ad amare.

Messaggiodi Stefania » 6 nov 2008, 17:29

Martina, ci chiedi di condividere i sentimenti di vendetta che inevitabilmente in qualche momento ciascuna di noi ha provato.
Se vogliamo parlare di rinascita, beh, la vendetta non ne può far parte, secondo me. E non per una visione buonista per cui la vendetta è male... ma perché augurare la sconfitta o il dolore all'altro ci affossa e certamente non ci aiuta a superare la cosa.
Inoltre la rabbia può essere "sana", a mio avviso, solo se ci spinge a cambiare qualcosa di noi, a cambiare cioè il nostro modo di porci di fronte al fatto, senza pensare di suscitare un cambiamento nell'altro.
Nel tipo di situazioni che abbiamo vissuto, la vendetta più ovvia è quella di raccontare la storia a più persone possibile, pensando di rendere lui "lo zimbello" della comunità, della diocesi, o dell'ordine religioso. Chi di noi non ci ha pensato?
Ma c'è anche chi di noi l'ha fatto e potrà spiegarci cosa ne ha ricavato... Vi passo la palla.
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