Un dono. Una scelta

“Non è bene che l’uomo sia solo…” (Gen 18)

Questo blog nasce dall’esigenza di portare alla luce la sofferenza, i problemi, le contraddizioni e gli ostacoli o i divieti che derivano dalla legge del celibato obbligatorio dei preti, così come previsto nell’ordinamento della chiesa cattolica romana.
Vuole essere principalmente un punto per lo scambio di esperienze e per il sostegno reciproco di quanti sono coinvolti in questa problematica:

• Le donne, che sono costrette a nascondersi, talvolta a vergognarsi di ciò che provano, subendo i cambi continui di umore di una immaturità affettiva dei chierici

• I preti, che vivono uno stato di confusione tra ciò che sembra essere il loro obbligo di fedeltà verso la chiesa a cui appartengono, e la bellezza di una nuova scoperta.

• I figli nati da queste relazioni, che hanno tutto il diritto di essere figli come tutti gli altri e quindi amati e cresciuti da entrambi i genitori. Soprattutto, come la gerarchia sosteneva a riguardo del referendum sulla legge 40, hanno il diritto di conoscere chi è il loro padre

E’ evidente che il celibato obbligatorio sia solo uno dei sintomi di una rigidità dottrinale che non contempla il bene dell’uomo e, per questo, la chiesa stessa (il popolo di Dio) deve trovare la forza e la libertà di andare oltre la legge, proprio sulle orme dell’uomo Gesù che ha avuto il coraggio di sfidare i mali del Tempio.

Un dono. Una scelta

Messaggiodi Frank » 31 ott 2018, 12:53

Un dono. Una scelta

Innamorarsi è sempre un dono immenso, gratuito, personale, che ciascuno di noi nel momento di riceverlo è libero di accettare o di rifiutare, con tutte le conseguenze che derivano dalle decisioni che si prendono. Non si sceglie di innamorarsi, non si può stabilire né il giorno né l’ora, né le circostanze né la persona. È sempre un mistero che non si riesce mai o quasi mai a definire, ad acchiappare, a codificare. Ecco perché quando questo avvenimento si concretizza realmente, senza avvisarti con troppo anticipo, ti coinvolge nella mente, nel cuore, nel corpo. Un mistero che si svela nel dispiegarsi dei giorni, dei momenti, delle piccole o grandi cose che sei chiamato a vivere con te stesso e con l’altra persona che ti dona il suo amore e riceve il tuo. Questa esperienza la facciamo tutti, prima o dopo, in età diverse e con modalità non sempre uguali, e rimane un avvenimento che trasforma la nostra vita. Tutto questo non è puro romanticismo. È realtà. Lo è anche per chi ha ricevuto il dono della vocazione sacerdotale, ed è quello che è successo anche a me. E non sto parlando di una folgorazione accaduta ieri, né di una sensazione passeggera, ma di una storia iniziata ormai da quasi undici anni e che continua ancora con la stessa meraviglia delle origini.

Arriva poi il momento della scelta. Cosa faccio? Cosa facciamo? Accogliamo questo dono e decidiamo di viverlo fino in fondo o ci fermiamo e soprassediamo? È una scelta non facile, comporta delle conseguenze che bisogna accogliere come permanenti. Io decido di sì e anche lei. Ne parliamo, valutiamo, rischiamo, ci fidiamo ciecamente l’uno dell’altra. Io so che accogliendo il dono vengo messo fuori dall'istituzione, so che mi ritrovo sulla strada senza lavoro, so che dobbiamo cercarci una casa, provvedere a sopportare critiche e incomprensioni familiari e sociali di vario genere, pensare un avvenire passo passo, soprattutto accettare una posizione nuova davanti a noi stessi, agli altri e alla comunità. Ci confermiamo il sì. Uniti ce la possiamo fare. La Provvidenza di Dio esiste, l’abbiamo sperimentato negli anni: non ci ha mai abbandonato e non ci ha fatto mai mancare nulla. Spesso ci fermiamo e ci diciamo: “Quante ne abbiamo passate, ma siamo ancora qui, siamo ancora insieme, ci vogliamo sempre bene e continuiamo il cammino”. Quello che io ho predicato per anni come sacerdote e parroco, ho continuato a dirlo a me stesso e a lei, che già mi ascoltava quando lo facevo dall'ambone. Abbiamo ricevuto un dono, abbiamo fatto una scelta. Senza mezze misure, senza scorciatoie, senza nasconderci, senza una doppia vita che, credetemi complica solo l’esistenza non la favorisce. E se è vero che il 50% dei preti (più o meno) vive una relazione clandestina, non è certamente perché questa modalità di vivere una storia d’amore sia la migliore e più semplice. Tutt'altro, è la più triste, per lui e per lei. E siccome chi scrive non è un giornalista ma un prete, so benissimo cosa scrivo. Per esperienza, non per sentito dire. “Ma tu non sai cosa vuol dire…”. Lo so, eccome! Ci sono passato e so concretamente cosa comporta la scelta. Non sono migliore di nessuno, sto scrivendo solo la mia esperienza, se potrà essere utile a qualcuno.

È innegabile: chi ha ricevuto la vocazione sacerdotale e l’ordinazione è e rimane sacerdote per sempre (carattere indelebile del sacramento). Non esistono gli ex preti, un prete non può mai essere considerato ex. Prete lo è e lo sarà sempre. Più corretto definirlo prete uxorato, sposato. E aggiungete anche: felicemente! A parte casi sporadici, nessuno di noi ha rinunciato a sentirsi prete, purtroppo è l’istituzione che ci ha messi alla porta, non sempre in modo gentile, forse con i guanti felpati, ma pur sempre invitandoci a vivere altrove una vita riservata, modesta, silenziosa, quasi che avessimo commesso un reato o una colpa imperdonabile. E se vi viene voglia di recuperare il documento di riduzione allo stato laicale e dispensa dal celibato (che anch’io ho ricevuto per averlo richiesto non per averlo subìto), vi renderete conto dell’umiliazione cui si sottopone il richiedente che viene graziato dall’istituzione perché possa sposarsi anche in chiesa e vivere la sua relazione in modo normale. Domandatevi se tutto questo ha ancora senso, se a prevalere dev’essere la legge, il diritto canonico, se l’unica dimensione dell’operare è quella di far rispettare e mantenere la disciplina, se l’unica preoccupazione diventa quella di continuare a negare l’esistenza di un problema che ha rovinato e continua a rovinare l’esistenza di migliaia di uomini e donne. In nome di cosa? Di una legge umana, che poi, rivestita e supportata da argomentazioni di varia natura, è diventata norma quasi irriformabile. Ancora adesso, ascolto con meraviglia chi si sforza di rivestire la legge del celibato con involucri di varia natura, stratificatisi nel corso dei secoli, per difendere ad ogni costo una norma che non ha più alcun fondamento che la renda obbligatoria per tutti. Libera scelta va bene, ma non può essere una clausola assoluta, tanto da dover richiedere un “giuramento” prima dell’ordinazione diaconale. Non ci hanno fatto giurare di essere poveri, di vivere una vita modesta conforme al Vangelo, non ci hanno fatto giurare nemmeno di essere obbedienti (è richiesta la promessa durante la liturgia di ordinazione, non un giuramento), non ci hanno fatto giurare se non di essere celibi. Vi rendete conto? Riuscite a dedurre le conseguenze? E ci meravigliamo se i preti hanno una relazione o si sposano? Se analizziamo bene ogni aspetto, riusciremo a comprendere l’assurdità della normativa canonica.

Ogni tanto, come in questi ultimi giorni, la questione del celibato dei preti ritorna alla ribalta, grazie ad articoli, interviste, servizi televisivi di approfondimento non privi di valore e di interesse. Il rischio è che se ne parli con una scrollata di spalle, quasi impotenti davanti all’irremovibilità dell’istituzione. E questo atteggiamento deve finire. Finché però tutti o la maggior parte rimarremo chiusi in noi stessi, fino a che i preti e le loro compagne mogli o fidanzate si chiuderanno in sé stessi, fino a quando non faremo in qualche modo sentire che ci siamo e che vogliamo esserci, non possiamo sperare di essere ascoltati, né possiamo auspicare di essere presi in considerazione. Anche solo raccontando le nostre storie, condividendo le nostre esperienze, dandoci un sostegno reciproco, alimentando una rete di amicizia e di vicinanza. Anche solo vivendo serenamente la nostra vita, senza vergogna, senza paura. Una presenza che è già una testimonianza. Senza preoccuparci di quello che diranno o scriveranno di noi. Perché se l’istituzione non comprende e non accoglie, spesso la comunità lo fa. Mi commuove come tante persone avanti negli anni sono più comprensive e accoglienti, come tanti giovani accettano la nostra scelta, come tanti amici e familiari con il passar del tempo riallacciano i rapporti. Non siamo soli. La resistenza maggiore arriva dalla gerarchia. Sembra un muro di gomma invalicabile. Ma la goccia scava la roccia. Le cose cambieranno. Son passate tante cose nella storia della Chiesa, passerà anche questa norma. E speriamo presto.

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Re: Un dono. Una scelta

Messaggiodi Stefania » 6 nov 2018, 12:18

Ti ringrazio davvero per questo tuo scritto, sincero, chiaro e umano.
Non capita spesso che i preti scrivano qui.
A volte lo fanno dopo essere usciti dal ministero presbiterale attivo, ma non spesso comunque.
Sono d'accordo con quasi tutto ciò che affermi.
Certo sono molto d'accordo sul fatto che occorra esporsi, ma né le donne né tanto meno i preti ancora in servizio hanno questo coraggio. Comprendo, ma non condivido.
Credo che per una buona causa si possa e si debba rischiare di "perdere la faccia".
Per quanto mi riguarda l'obbligatorietà del celibato, proprio in quanto disciplina giuridica, è un controsenso. Riguarda aspetti delicati e intimi della esistenza di una persona e quindi non può che essere una libera scelta.
Se ci pensiamo l'istituzione ecclesiastica applica questo assurdo metodo (cioè imporre norme morali, talvolta a pena di scomunica) a molti degli aspetti sensibili della vita, nascita, malattia, concepimento, morte. E la persona viene inutilmente sballottata tra una malsana coscienza religiosa e il proprio intimo sentire.
Personalmente ritengo anche che vada riformata proprio la figura del presbitero e che debba tornare ad essere un ministero dal basso. Le prime comunità cristiane eleggevano il presbitero al proprio interno, nessuno lo imponeva loro. C'è una bella differenza!
Sulla questione della condivisione delle esperienze devo dirti che ho rinunciato. Ho partecipato a molti incontri di preti sposati e mi sono parse spesso riunioni di nostalgici che vorrebbero tornare a svolgere servizi in parrocchia, quindi ancora una volta oggetto della volontà discrezionale di un superiore. Erano presenti anche le mogli, che mi sono parse sempre abbastanza disinteressate all'argomento.
Riguardo le donne sono ancora più dubbiosa.
Dopo una prima fase fisiologica che io definisco "lamentosa" - cioè quella in cui hanno bisogno di raccontare la loro sofferenza, in cui hanno bisogno di sapere che non sono da sole, in cui vorrebbero che tu o chi per te riusciste a fare in modo che il loro prete le amasse e solo così sarebbero felici (!) - segue normalmente il silenzio, rifuggono ogni occasione tipo incontri, iniziative, per non parlare di interviste giornalistiche/televisive, anche nell'anonimato.

Infatti, per queste ragioni, scrivo ormai molto poco.
Diciamo che offrirmi esclusivamente come "vomitatoio ufficiale per donne dei preti" non è più molto nelle mie corde.

Ti saluto e grazie ancora
Stefania
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Re: Un dono. Una scelta

Messaggiodi Frank » 6 nov 2018, 15:37

Cara Stefania,

Ti sono anch’io molto riconoscente per aver scritto una risposta intelligente, seria e partecipe. Mi ha fatto veramente piacere.
Ho notato anch’io che, all’interno del blog, i preti non scrivono. Peccato! Magari qualcuno legge, qualcun altro sorride, chissà. Non si ha il coraggio di esporsi. Purtroppo si viene educati, spesso, a questa negativa dimensione della riservatezza e non c’è verso di scalfirla. E su molti, questa linea di comportamento prevale. Hai, dunque, ragione quando affermi che né i preti né le loro compagne hanno granché voglia di esporsi. Tutto deve rimanere segreto, perché questo ti chiede anche l’istituzione. E poi perché fa anche comodo, diciamolo chiaramente.
Comunque, anche chi, come me, si espone non rischia di "perdere la faccia". Per me non è affatto un problema. Nessuna mania di protagonismo, ma scrivere la propria esperienza non mi fa proprio perdere nulla, anzi magari mi procura qualche amicizia in più.
Concordo: il celibato obbligatorio non ha alcun fondamento. Se lo si rende facoltativo, nulla in contrario. Ma continuare a mantenerlo obbligatorio è assurdo. Questa, però, non è una norma morale, ma soltanto giuridica. Un conto è la teologia morale un conto è il diritto canonico. Non bisogna fare confusioni di ambiti né escludere tutto a priori. Qui discutiamo di una legge puramente canonica. Meglio non includere questo ambito negli altri.
Se poi si vuole discutere sull’eleggibilità del presbitero da parte della comunità, come avveniva ai tempi delle origini se ne può parlare. Mi sembra però francamente esagerato ritenere che vada riformata proprio la figura del presbitero in quanto tale. Anche in questo caso, un conto è il cammino teologico e un conto quello storico. Cerchiamo di modificare quello che è riformabile, ma non possiamo correre troppo, altrimenti buttiamo tutto all’aria e bambino e acqua sporca. Riformare la figura del presbitero? Detto così, mi lascia perplesso. Qui stiamo parlando della riforma del celibato obbligatorio, non del sacramento dell’ordine! Ripeto anche qui: un conto è superare, abolire, riformare una legge canonica e un altro rivedere l’essenza e la configurazione propria dell’ordine sacro, che è un sacramento. Attenzione, dunque!
Peccato che tu abbia rinunciato alla condivisione delle esperienze. Hai i tuoi motivi.
Credo che per capire davvero i preti sposati bisogna esserlo o condividere la loro vita da vicino (anche senza essere le loro compagne). Ci sono preti che quando lasciano non vogliono più sentire parlare di un ritorno neppure da sposati, altri, come me, che sarebbero felici di ritornare in attività. Non si tratta di essere nostalgici, ma di rendersi conto che si è ricevuto un dono che rimane, che non sparisce, che rimane nella comunione ecclesiale. Anche in questo caso va trovato l’equilibrio. Senza visioni pessimistiche. E non è sempre vero che le mogli sono disinteressate ad un eventuale reintegro dei mariti preti. Lo dico per esperienza.
Le donne dei preti, chiamiamole così, non sono tutte uguali. Purtroppo non riescono a far gruppo, coesione, riferimento tra loro. Ma ci sono. E quando si espongono, o qui o altrove, vanno accolte, ascoltate. Forse non possiamo fare granché, ma una porta aperta la devono trovare, se vogliono. Non parlerei assolutamente di un “vomitatoio”, (scusami ma è una bruttissima espressione), ma di accoglienza, di ascolto, di consiglio o semplicemente di presenza. Se poi questo ti costa troppa fatica, è umano e si può capire. Ma il donarsi agli altri, in definitiva, non è mai tempo perso o inutile.
Un carissimo saluto. Con stima.
Francesco
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