RIAPPROPRIAZIONE TEOLOGICA?
Christoph Theobald: un cristianesimo capace di apprendere

di Christian Albini

Si potrebbe dire che Christoph Theobald sta diventando un teologo «di moda» in Italia, soprattutto da quando la EDB sta traducendo i suoi libri e diversi suoi scritti sulle pagine de il Regno. La Facoltà Teologica di Milano ha dedicato al suo pensiero una giornata di studio – i cui contributi sono stati pubblicati dalla rivista Teologia – presentandolo addirittura come una proposta di «riconfigurazione della fede»[i].
Eppure, non è facile presentare le sue tesi: Theobald si dedica a una pluralità di temi che sfida la sintesi e può disorientare il lettore. Scorrendo il sommario della sua opera principale, Il cristianesimo come stile, ci si imbatte – citando a caso – nel modernismo, nella teologia spirituale, in Origene, nel canone biblico, nell’apocalittica, nella teologia della creazione… Gli altri testi di cui è autore riguardano la Rivelazione, la storia dei dogmi, la testimonianza cristiana in Algeria, il peccato originale, l’interpretazione del Vaticano II, la vocazione e persino Bach (Theobald è anche musicista e musicologo). Una produzione poderosa, insomma, che per vastità e varietà di interessi evoca menti enciclopediche come Rahner e von Balthasar, peraltro da lui citati con grande frequenza. È un lavoro non ancora concluso che richiederà ampie ricerche per essere compreso e valutato adeguatamente.
Questa premessa è per dichiarare che non ritengo di poter offrire una presentazione organica e compiuta del pensiero di Theobald. Mi limito a offrire alcune sottolineature, in base alle mie impressioni, che possono fungere da chiavi di lettura.
 
1. Theobald è uno studioso di Maurice Blondel e il confronto con lui appare decisivo nello sviluppo delle sue riflessioni. Blondel (1861-1949), vale la pena di ricordarlo, è stato un filosofo francese che va considerato tra i precursori del rinnovamento novecentesco della teologia. Egli visse in prima persona la tensione tra la propria fede e il clima culturale a cui apparteneva, dove l’esperienza religiosa era ritenuta incompatibile con il pensiero e la scienza moderni. La stessa tensione fu alla base del movimento modernista che, al di là delle valutazioni, fu un tentativo di rispondere a questa sfida culturale ponendo la questione della mediazione antropologica della verità rivelata: che cosa hanno a che fare questa dottrina, questi fatti soprannaturali del passato, questa storia biblica con la mia vita oggi? L’istanza modernista fu un richiamo alla dimensione di esperienza della fede di fronte al formalismo scolastico che riduceva la rivelazione a un sistema chiuso di verità formulate da cui ricavare, mediante deduzione logica e rigorosa, la dottrina dogmatica della Chiesa. Al di là di certe posizioni estreme che provocarono una dura repressione, il modernismo aveva toccato un problema reale che resta ancora non risolto. «Certo, nessuna continuità è percepibile in un orizzonte individualista e soggettivista. Una verità è tale non immediatamente perché è significativa per il soggetto. La continuità va percepita all’interno di una comunità di fede, nell’orizzonte di esperienza di una Chiesa e di una storia reale. Ma il problema della mediazione antropologica della verità rivelata è posto: non si può trattare di una cosa vera per tutti perché al di là della storia e dell’esperienza umana, racchiusa nel cielo trascendente del soprannaturale che a tutti si impone con l’autorità dei diritti di Dio e di una dottrina certa. Si deve trattare di qualcosa di vero per tutti, perché inscritto nelle dinamiche universali di ogni esperienza umana autentica»[ii].
Blondel si inoltrò in questi dibattiti cruciali e pericolosi soprattutto con la sua opera più conosciuta, L’action[iii], interpretata da Theobald come un invito a pensare fino in fondo, nel nome stesso del Cristo delle Scritture, «il mistero dell’azione umana come luogo ultimo della conoscenza di Dio»[iv]. Se il Figlio si è incarnato in Gesù di Nazaret, allora è nell’agire dell’uomo Gesù che Dio si fa conoscere e si trova il punto di contatto tra la fede ecclesiale e l’esperienza soggettiva. Il dogma, prima di essere una formula, è una verità in azione nella persona di Gesù e, attraverso di lui, nel cristiano.
 
2. Si comprende, allora, come Theobald sia giunto a presentare la fede come esperienza, come fede «in atto». Nel suo libro sulla Rivelazione, egli conduce il lettore, appunto, attraverso un cammino di esperienza che consente di inscrivere nel concreto della propria esistenza individuale, sociale e cosmica il termine Rivelazione. Una concentrazione tra dato teologico e rifermento all’esperienza. Come quando scrive: «L’oggettività della Rivelazione non è dunque la stessa di una cosa quella di un insieme di dati, ma si compie “oggettivamente” nel soggetto credente in relazione ad altre esistenze, quando questi si lascia trasformare dalla vista e dall’ascolto di altri. In questa prospettiva, la conversione, frutto che permette di riconoscere l’albero (Mt 7,15-20), è la sola “traccia” della Rivelazione di Dio. Traccia assai fragile, perché colui che mi è accanto, anche se ne riconosce il fatto, non necessariamente è condotto verso il mistero dello svelamento di Dio»[v]. Questa peculiare esperienza è da lui associata allo «stile» di Gesù di Nazaret, che è un altro modo per definire la sua santità, la sua natura divina, in termini di concordanza tra «forma» e «contenuto». Ciò che Gesù fa e dice nei suoi incontri è un tutt’uno con il suo essere. In lui ci sono un’assoluta unità e trasparenza di pensiero, parola e azione che sono manifestazione del Padre. È una bellezza che affascina il credente e che salva il mondo.
 
3. Dallo stile di Gesù emerge la provocazione di un cristianesimo che apprende. Le patologie e le infedeltà al vangelo che pervadono ogni epoca della storia ecclesiale possono essere lette come rottura della corrispondenza tra forma e contenuto. Quando prevale la forma, si ha un cristianesimo ridotto a estetismo liturgico, a istituzione gerarchica, a struttura dove è però assente la sostanza di quell’amore che porta Gesù fino alla croce. Quando invece prevale il contenuto, si ha un cristianesimo ridotto a impianto dottrinale e dogmatico, una verità fatta di formule a cui assentire, priva di un legame vitale all’esistenza delle persone. Quest’ultimo sarebbe un cristianesimo senza conversione, in cui Zaccheo non ridistribuisce le sue ricchezze… Gesù invece indica la strada di un cristianesimo capace di apprendimento. Gesù, secondo Theobald, non definisce la sua identità e non la impone a nessuno. Crea uno spazio di libertà attorno a sé comunicando, con la sua sola presenza, una prossimità benefica a tutti quelli che incontra. Gesù non impartisce un insegnamento metafisico, etico o morale, ma lascia intuire in modo diverso, a seconda della persona che incontra, una nuova maniera di vedere il mondo e di situarsi in esso. È come se mettesse ciascuno nella condizione di sperimentare la propria conversione, la propria scoperta del Regno di Dio in mezzo a noi. Un cristianesimo secondo lo stile di Gesù, perciò, è capace di apprendere. In altre parole, non si presenta come istituzione detentrice di un sistema di dogmi da insegnare al mondo, ma come spazio in cui le persone trovano la libertà di far venir fuori la presenza di Dio che già abita la propria esistenza. Ogni persona – quali che siano la sua religione, il suo pensiero e la sua cultura – è portatrice di un’immagine di Dio che aspetta di rivelarsi come per gli apostoli nella Pentecoste, cioè di fare proprio lo stile di Gesù. Non di imitarlo secondo canoni standardizzati, ma di realizzarlo dentro la propria unicità e irripetibilità. Quindi, i cristiani dovrebbero essere in ricerca della manifestazione di Dio propria di ogni religione, cultura e pensiero, invece di assumere atteggiamenti di svalutazione e condanna.
 
Christian Albini
 


1 AA.VV., «Teologia e fenomenologia di Gesù», in Teologia 3 (2007), pp. 273-416.
2 Cfr. Alberto Cozzi, «La crisi modernista. Conflitto insanabile con la modernità o trasformazione culturale del cattolicesimo?», in G. Angelini – S. Macchi (a cura di), La teologia del Novecento. Momenti maggiori e questioni aperte, Glossa, Milano 2008, p. 111.
3 Maurice Blondel, L’azione, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993.
4  Christoph Theobald, Il cristianesimo come stile 1, EDB, Bologna 2009, p. 237.
5  Christoph Theobald, La Rivelazione, EDB, Bologna 2006, p. 52.
 
 
 
Un testo di Cristoph Theobald
 
La storia culturale del cristianesimo
e la "genesi" della Chiesa
 
1 - Se la Bibbia è effettivamente messa nelle mani dei cristiani e d'altro canto essa circola sempre più tra i non cristiani, vuol dire che il lavoro dell'esegesi critica, iniziato nel XVII secolo, ha portato dei frutti. Attraverso questa lunga avventura il testo si è progressivamente secolarizzato e trasformato in un "classico" tra gli altri. Non essendo più proprietà esclusiva della Chiesa, può entrare maggiormente nel gioco della competizione tra i grandi testi dell'umanità e attraversare concretamente la "prova" della sua forza ispiratrice. Esso è in grado di ricondurre i suoi lettori verso l'essenza della loro umanità più elementare o "reale" (réaliste): le loro identità in relazione, il loro rapporto con la vita e la morte, con la malattia e la salute, lo scambio dei beni di questo mondo e la prova allorquando l'essenziale viene a mancare, la violenza, il legame sociale e la costruzione delle società, la religione e l'attraversamento del dubbio...
Può la fede cristiana assumere questa scuola di umanità che il testo biblico suscita nella società, in interazione con altri monumenti culturali, fino a consentirle di svolgere il suo lavoro in tutta libertà? Due argomenti teologici vanno in questa direzione e implicano immediatamente una maniera di fare. Il primo concerne lo statuto autonomo delle culture: la scuola di umanità di cui si tratta non cessa di lavorare questo terreno. Il compito del teologo consiste nel riconoscere teoricamente e nella pratica che questa "formazione" fa affidamento inevitabilmente su una "fede" nella vita che di certo esiste sotto molteplici forme culturali, ma che dipende da una struttura elementare di ordine antropologico. Il secondo argomento fa intervenire la Scrittura e ciò che essa stessa dice di questa "formazione". La terza classe di scritti dei Settanta, il libro della Sapienza per esempio, attribuisce a quest'ultima un compito di educazione. La storia dell'umanità e dei giusti di Israele vi è compresa come un lungo processo di apprendimento, immanente alla creazione e quindi autonomo, mai automatico, ma circondato dall'oscurità della notte e consegnato alle sentinelle e ai cercatori, non senza conoscere dei momenti di giudizio terribile. La sapienza e la "fede" che essa genera ritornano nel Nuovo Testamento - l'abbiamo visto -, in particolare nella relazione tra Gesù e chiunque si imbatta con lui, e che niente e nessuno può obbligare a diventare suo discepolo. Tutto accade dunque come se la Scrittura approntasse essa stessa uno spazio sempre più largo e aperto all'altro del popolo dei "santi" di Israele e alla sua libertà radicale. È questa libertà di chiunque che si segnala oggi nella secolarizzazione della Bibbia cristiana, che può appunto essere letta con la "fede" antropologica di ogni individuo.
Considerare questo fatto culturale inedito e ciò che rende possibile, farlo non per costrizione e forzatamente, ma per cognizione di causa, è oggi per la Chiesa e la teologia una maniera di vivere dell'ospitalità messianica ed escatologica del Nazareno. La "definizione" di questo stile di vita come "stile di stili" trova qui tutto il suo significato. Essa onora in effetti fino in fondo la libertà e l'autonomia di un "fare credito" celato in ogni maniera di abitare il mondo, senza rinunciare per ciò stesso a rapportarsi al modo di Gesù - stile di stili - che non ha smesso di attendere i momenti propizi e le situazioni in cui, grazie alla sua presenza, questa "fede che salva" può manifestarsi.
 
2 - L'ospitalità dei cristiani non impedisce tuttavia, anzi rende possibile che delle "soglie" siano superate all'interno della "fede", che coloro che vivono alla maniera del Nazareno "intrighino" autrui e suscitino in lui il desiderio non solo di conoscerlo dall'interno nella sua santità messianica ed escatologica, ma ancor più di identificarsi in lui. Ciò che si manifesta così della Chiesa, non è innanzitutto la sua costituzione compiuta, divenuta largamente illeggibile nel nostro humus culturale, ma il suo divenire o la sua nascita, qui e ora, resa evidentemente possibile da una misteriosa ospitalità che attraversa le generazioni dove la fede degli uni genera quella degli altri.
La percezione teologica di ciò che sta nascendo e rinascendo si scontra tuttavia, oggi, con quell'ostacolo che abbiamo già più volte incontrato, cioè lo schema storico-teologico che sacralizza la distinzione tra un periodo costitutivo o esemplare e il nostro che non lo è più. Un modo per affrontare questa difficoltà è quello di prestare attenzione all'analogia tra la nostra situazione culturale ed ecclesiale e "la Chiesa nascente". Il termine di "Chiesa nascente" concerne in effetti ciò a cui ci ha messo di fronte la ricerca storica ed esegetica da quasi tre secoli: la differenza tra una figura ipoteticamente compiuta del cattolicesimo contemporaneo e la genesi plurale di una Chiesa delle origini che, pur essendo cosciente del suo ruolo di discernimento, lascia progressivamente ad-venire in essa ciò che ho chiamato "canone" o "norma stilistica".
Ma il concetto di "Chiesa nascente" può interessare anche la Chiesa attuale, precisamente nella forma di una genesi permanente; ipotesi che diventa plausibile dal momento in cui il cristianesimo consente di lasciarsi interrogare dai movimenti tettonici della cultura contemporanea quanto alla sua forma propria. Una tale interrogazione è impossibile senza una certa lettura delle Scritture, fatta con altri, nel rispetto della consistenza letteraria e della genesi storica dei testi. Ciò che è letto può così diventare nuovamente realtà in e tra coloro che leggono, nella misura in cui, là dove essi sono, si rendono sensibili agli inizi e alle loro fecondità. Quando in effetti accade che la lettura di certuni passi da un interesse antropologico per il tipo di umanità veicolata dal testo a un'identificazione personale con Gesù di Nazaret e con coloro che lo attorniano, significata da gesti sacramentali che rimodellano la loro umanità fin nelle sue radici profonde, e che si produca in qualcuno in sovrappiù come sentimento di essere ormai responsabile dell'ospitalità messianica ed escatologica di cui lui stesso ha beneficiato, la forma pastorale della Chiesa, che li ha tutti discretamente preceduti, si evidenzia immediatamente.
 
Christoph Theobald
 
Da “Il cristianesimo come stile” in Teologia 3 (2007), pp. 298-300

Articolo tratto da:

FORUM 209 (8 giugno 2010) Koinonia

http://www.koinonia-online.it

Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046



Marted́ 08 Giugno,2010 Ore: 17:04