Riflessione
L’idea di omnicrazia nel pensiero di aldo capitini

di Pietro Polito

[Dal sito dell’Associazione nazionale Amici di Aldo Capitini (www.aldocapitini.it) riprendiamo il seguente testo di Pietro Polito, presentato come relazione a un convegno su "La figura e l’opera di Aldo Capitini" svoltosi a Pisa nel 1997, e poi pubblicato nella prestigiosa rivista fondata da Piero Calamandrei "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998, alle pp. 125-143 (segnaliamo che una versione rivista é poi divenuta il capitolo V, "Per una critica dell’idea di omnicrazia", alle pp. 123-145 del bel volume di Pietro Polito, L’eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001). Pietro Polito (Forio d’Ischia, 1956), ricercatore al Centro studi Piero Gobetti e all’Università di Torino, fa parte della redazione di "Teoria Politica" e collabora con varie riviste, tra cui "Mezzosecolo" e "Nuova Antologia"; ha pubblicato numerosi saggi sul pensiero politico novecentesco, con particolare riguardo agli autori democratici, radicali e pacifisti del Novecento italiano, ed ha curato diverse opere di Norberto Bobbio. Tra le opere di Pietro Polito, L’eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001. Aldo Capitini é nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E’ morto a Perugia nel 1968. E’ stato il più grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti é (a cura di Giovanni Cacioppo e vari co llaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoché integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell’epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente é stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d’ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d’ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non più reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un’esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni ’90 é iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell’esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realtà liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L’eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d’Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell’Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps@libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni@libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, e-mail: azionenonviolenta@sis.it]


Si può guardare all’idea di omnicrazia, che é un’idea prevalentemente politica, da più punti di vista. In primo luogo, distinguendo la parola dal concetto, si tratta di chiarire l’origine e il significato della parola e, poi, senza alcuna pretesa di completezza, seguire il rilievo progressivo che il tema viene assumendo nel pensiero e nell’azione di Aldo Capitini, che a poco a poco giunge a porre l’omnicrazia al centro sia dei suoi impegni politici sia della sua proposta filosofico-religioso-politica. Nel pensiero di Capitini, infatti, la tematica politica si trova strettamente connessa con quella filosofica e religiosa al punto che si può scorgere quasi una corrispondenza tra i concetti impiegati nell’una o nell’altra (1). Pertanto, passando dalla parola al concetto, la critica politica non può non essere preceduta e accompagnata da una critica volta a definire il fondamento filosofico e religioso dell’omnicrazia. Quanto alla critica politica, il problema é quello di individuare il posto che l’omnicrazia occupa tra le idee politiche novecentesche: si tratta, cioé, di chiarire i lineamenti di una posizione che lo stesso Capitini in un inedito del ’64 presenta come "una teoria politica che chiamerei più che democratica, ’omnicraticà, in vista dell’effettivo potere di tutti su tutto" (2).

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La parola e il concetto

Etimologicamente omnicrazia significa "potere" (dal greco: kratos) di "tutti" (dal latino: omnis, omne). Si tratta di una parola inconsueta perché é composta di due elementi: omni (variante, oggi rara, di onni), che é il primo elemento di parole composte di origine latina o di formazione moderna (onnipotente, onnisciente); crazia, che, invece, é il secondo elemento di parole composte derivate dal greco o formate modernamente (democrazia, aristocrazia, plutocrazia). A differenza di democrazia, la parola omnicrazia non é entrata nel linguaggio politico e tanto meno nel linguaggio comune. Non la si incontra nei dizionari di politica e nemmeno nei dizionari della lingua italiana (3). Con una sola eccezione: il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, che segnala sia l’aggettivo onnicratico sia il sostantivo omnicrazia. Battaglia presenta l’omnicrazia come una "voce dotta", di cui dà l’etimologia e informa che si tratta di un neologismo, che, "secondo il pensiero di Aldo Capitini", significa "partecipazione di tutti al potere e allo Stato" (4).

Sulla base delle notizie fin qui raccolte, si può affermare che la storia della parola comincia con Capitini. Ma quando la parola e il concetto cominciano a entrare nel suo pensiero e linguaggio politico? In quali contesti ricorre l’espressione omnicrazia? é un tema degli anni più tardi oppure se ne trovano tracce già in precedenza? Per rispondere a queste domande può essere utile un rapido excursus sulla parola omnicrazia, e su quelle derivate, omnicratico, omnicraticamente, nei principali scritti di Capitini. Senza dubbio si può dire che il tema dell’omnicrazia diventa dominante nell’ultimo periodo. Infatti, salvo errore, la parola non compare negli scritti degli anni Trenta e Quaranta.

Per la prima volta la s’incontra nella Lettera di religione 32, che reca la data del 25 gennaio 1956 (5), in cui Capitini risponde alle critiche mosse da "un mio amico" al libro Religione aperta, uscito quell’anno. La tesi sostenuta da "un mio amico" é che il socialismo é una teoria autosufficiente che non abbisogna di alcuna aggiunta religiosa e che, inoltre, secondo "un mio amico" ma contrariamente a quanto pensava Capitini, era in corso di attuazione nei cosiddetti "paesi socialisti" (6).

Nella risposta Capitini ribadisce che, per lui, "la sintesi fra i tre elementi: socialismo, liberalismo, nuova vita religiosa, é stata sempre viva", perché, a suo giudizio, non basta "affidarsi a un riformismo di tipo socialdemocratico": "al riformismo di questo genere - osserva - faccio le obbiezioni che il socialismo é visto, nel campo nazionale o internazionale, in modo insufficiente; che vi manca un fondamento religioso di realtà di tutti" (7). Di qui - da tale insufficienza - l’esigenza di un ideale politico, che poggiasse su un fondamento religioso: "nel mio pensiero (ho detto: omnicrazia) é l’uomo religioso, post-umanistico, che vuole vivere unito con tutti nella massima solidarietà, anche al di là della morte, e perciò tende a costituire una società nuova in una realtà che abbia consumato tutti i vecchi limiti, compresi il dolore e la morte (realtà liberata); questa é la sua apertura" (8). Capitini ricorda che egli aveva già svolto in precedenza una critica religiosa del socialismo nei libri: Elementi di una esperienza religiosa (1937); La realtà di tutti (1948); Nuova socialità e riforma religiosa (1949). Ma, come si é già detto, l’espressione omnicrazia non ricorre negli scritti di questo periodo. Ciò, naturalmente, non significa che il tema e il concetto non siano già presenti nella sua riflessione. Esiste, infatti, come vedremo meglio in seguito, uno stretto nesso tra il liberalsocialismo sostenuto durante la lotta antifascista e la Resistenza e l’ideale dell’omnicrazia. Sul piano linguistico, é da osservare che in Nuova socialità e riforma religiosa, che raccoglie gli scritti politici liberalsocialistici di Capitini, inserito in un contesto religioso e sociale, s’incontra l’aggettivo omnicratico. Nel capitolo "Una dimensione religiosa per la riforma in Italia" Capitini presenta l’"amore" e la "realtà di tutti" come gli strumenti di liberazione della rivoluzione religiosa, "i quali hanno il potere di tramutare l’uomo e la sua sostanza" (9) e indica due "forme di lavoro in questa direzione": l’una consiste nell’"operare per azioni politico-sociali di decentramento omnicratico dei potere"; l’altra nel "celebrare religiosamente da sé o in gruppo, in appositi momenti di raccoglimento o di riunione, questo capovolgimento che sta avvenendo mediante i valori e l’uso degli strumenti di liberazione" (10).

Quanto agli anni Cinquanta, oltre che nella già ricordata Lettera di religione 32, nel 1958 Capitini ricorre alla parola "omnicrazia" per distinguere la sua posizione da quelle genericamente democratiche. Sembra avere qualche dubbio riguardo all’uso del termine. Tuttavia, rispondendo a un’inchiesta di "Milano Sera" a proposito di "Democrazia e classe dirigente", osserva: "Se fosse possibile, a evitare gli equivoci delle imperfettissime democrazie finora attuate, sostituirei la non bella parola di omnicrazia" (11).

Ma é negli anni Sessanta - quando il tema acquista un rilievo centrale nel pensiero e nell’azione di Capitini - che espressioni come omnicrazia, omnicratico, omnicraticamente diventano frequenti soprattutto nei suoi scritti politici e autobiografici ma, come vedremo, il tema ricorre anche negli scritti filosofici e religiosi. I primi riferimenti s’incontrano nelle Lettere di religione 54 e 55: nell’una (15 agosto 1963) l’omnicrazia viene presentata come il fine della rivoluzione nonviolenta (12), nell’altra é associata alla prospettiva di una "riforma ’omnicraticà" (13).

La prima ampia riflessione sull’omnicrazia é costituita dall’inedito Teoria politica e struttura sociale dell’omnicrazia, ricordato all’inizio (14). E’ importante richiamare l’attenzione sulla data in calce al manoscritto: 10 gennaio 1964. Per Capitini, infatti, il 1964 é un anno significativo dal punto di vista dell’impegno politico diretto. Il lavoro avviato nel 1952 a Perugia col Centro di coordinamento internazionale della nonviolenza e soprattutto la famosa Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli (Perugia-Assisi, 24 settembre 1961) cominciano a dare i loro frutti. Il 1964 é l’anno in cui fonda "Azione nonviolenta", l’organo dei Movimento nonviolento fondato nel ’61, ed é anche l’anno in cui inizia le pubblicazioni il foglio mensile "Il potere é di tutti". A partire già dal titolo, l’inedito del 1964 rappresenta una significativa anticipazione della sua opera più importante sull’argomento, Omnicrazia, compresa nel volume Il potere di tutti, uscito postumo nel 1969, in cui Capitini "approfondisce la ricerca sistematica del nesso omnicrazia, realtà di tutti, compresenza, nonviolenza" (15).

Negli anni che lo separano dalla morte, avvenuta il 19 ottobre 1968, il problema dominante dei suoi scritti diventa il problema del potere. L’omnicrazia, il potere di tutti, appunto, é la risposta che Capitini dà al problema del potere, ritenuto "il problema del nostro tempo".

Alla luce di quanto abbiamo appena detto si spiega e si comprende, dunque, perché Capitini pone il tema dell’omnicrazia al centro dei suo interesse per la politica.

A suo modo, egli é stato un uomo politico anche se non un politico di professione. Instancabile suscitatore, animatore, organizzatore, protagonista di decine e decine di azioni, individuali e collettive, più che un politico fu un uomo d’azione. Per lui agire politicamente significava agire socialmente (e l’accento é da porre più sul sociale che non sul politico). Nel principale dei suoi scritti autobiografici, Attraverso due terzi di secolo (16) - composto a pochi mesi dalla morte e uscito postumo nel 1968 ne "La cultura", la rivista diretta da Guido Calogero -, scrive: "Ma un campo, ancor più strettamente connesso con la profezia e l’apostolato religioso, é quello della trasformazione della società, per cui, rifiutando ogni carica offertami nel campo politico, ho piegato la politica, e l’interesse in me fortissimo per essa, alla fondazione di un lavoro per la democrazia diretta, per il potere di tutti o omnicrazia (come la chiamo)" (17).

Ai fini del nostro discorso mi sembra rilevante sottolineare come nell’idea di omnicrazia giungano a unità i principali impegni politici di Capitini.

Si può scorgere una linea di continuità tra le prime iniziative subito dopo la Liberazione a Perugia nel 1944 e le ultime avviate nel nuovo clima di rinnovamento che col Sessantotto scuote anche l’Italia; tra le discussioni che avevano luogo nel Centro di orientamento sociale (18), e quelle promosse dal foglio mensile, "Il potere é di tutti", che, come si é già detto (sono parole di Capitini), "propugna la democrazia diretta (o omnicrazia come la chiamo)" (19). "Il lavoro per i Cos, per il pacifismo integrale, per la proprietà pubblica aperta a tutti e creante continue eguaglianze - scrive in Attraverso due terzi di secolo -, non sono che effettuazioni dell’interesse per l’omnicrazia" (20).

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Il fondamento filosofico e religioso dell’omnicrazia

Un’efficace sintesi del nesso che lega strettamente piano filosofico, piano religioso, piano politico nel pensiero di Capitini ci é stata data da Norberto Bobbio. "Il concetto filosofico della realtà di tutti, trasferito sul piano della riflessione politica - scrive Bobbio -, diventa l’ideale della società di tutti, cioé di una società completamente de-istituzionalizzata. Al tema religioso della compresenza corrisponde sul piano politico il tema dell’omnicrazia, che é una risposta ulteriore e più radicale all’esigenza posta ma non risolta dalla democrazia (sia rappresentativa sia diretta)" (21). D’altra parte lo stesso Capitini pone l’omnicrazia al centro, oltre che, come si é visto, dei suoi impegni politici, della sua proposta filosofico-religioso-politica: "Il tema [dell’omnicrazia] si riconduce [...] a quella riforma che io propugno in nome dello sviluppo della ’realtà di tuttì" (22).

Forse bisognerà dedicare una maggiore attenzione a un’espressione ricorrente in modo quasi ossessivo nel singolarissimo linguaggio di Capitini. Mi riferisco alla parola "tutti", che ritroviamo in alcune formule come "realtà di tutti", "società di tutti", "democrazia di tutti", "potere di tutti". Nel paragrafo intitolato La realtà di tutti, che non a caso apre il saggio Omnicrazia, scrive: "Una volta si é parlato tanto di Dio, oggi si parla sempre più di ’tuttì. L’idea di ’tuttì é servita per aprire riforme religiose e rivoluzioni politiche e sociali" (23). Altrove, riferendosi al periodo dell’opposizione al fascismo, Capitini ricorda che "questa idea di ’tuttì mi prese sempre più" (24) e la presenta come la "direzione" di ricerca che gli consentì di andare oltre Croce, il quale - osserva in Antifascismo tra i giovani - "restava estraneo alla direzione dei mio lavoro, di capovolgere l’esistenzialismo dall’io al tu e di intendere la compresenza di tutti alla produzione dei valori: egli vedeva il Tutto incombere in ogni punto della storia, non i Tutti; era più preparato a capire Dio che i Tutti, come religiosamente permanenti e compresenti" (25).

Schematicamente possiamo dire che la considerazione filosofica dei tutti si esprime nella realtà di tutti, la considerazione religiosa nella compresenza, quella politica nell’omnicrazia. I tre modi di considerare i tutti - filosofico, religioso, politico - si configurano come diversi aspetti di una analoga sfida: "l’apertura a una realtà di tutti, liberata dalla finitezza, il cui superamento é, sì, già nella coscienza appassionata della finitezza stessa, ma procede e sbocca escatologicamente in una realtà di tutti, dove anche il malato, lo sfinito, il morto sono compresenti e cooperanti con noi nella produzione dei valori più alti" (26).

Sul piano più strettamente filosofico, in La compresenza dei morti e dei viventi, l’omnicrazia é intesa come una reazione contro "l’oligarchia della ragione": "Quando si sia accettato, sul fondamento della prassi religiosa dell’apertura a tutti, che la ragione meglio detta compresenza, si estende a tutti, e tutti gli esseri fa partecipi del più alto, che é la cooperazione eterna ai valori, é evidente che cessa ogni motivo per cui debba esserci una rivolta di ciò che é bollato per irragionevole contro ciò che presume sé ragionevole, perché la ragione é riconosciuta come trovantesi, pur invisibile e non pienamente consapevole, in tutti, e allora il moto non é più di rivolta contro un’oligarchia, essendosi stabilita, invece, un’omnicrazia, per cui il moto é interno, di diventare sempre più consapevoli della cooperazione ragionevole della compresenza" (27). Come si é detto, il problema filosofico della realtà di tutti corrisponde al problema religioso della compresenza: "Insomma, era il problema religioso di trovare un posto per il malato, l’esaurito, colui che la civiltà attivistica butta via come inutile ormai e improduttivo; e il posto é nella compresenza dei viventi e dei morti dove anche lo sfinito intimamente mette la sua parte preziosa" (28). E, a sua volta, il problema religioso della compresenza corrisponde al problema politico dell’omnicrazia. Scrive Capitini in Attraverso due terzi di secolo: "Per me [l’interesse per l’omnicrazia] é intrinsecamente connesso con la religione che, per me, é più della compresenza che di Dio; e perciò la compresenza di tutti (religiosamente dei viventi e dei morti) deve continuamente realizzarsi [...] nell’omnicrazia, e chi é centro della compresenza, é centro anche di omnicrazia; ed é [l’interesse per l’omnicrazia] intrinsecamente connesso con la nonviolenza, di cui é l’idea politico-sociale" (29).

Il nesso tra il piano filosofico-religioso e quello politico emerge con chiarezza da quella sintesi della teoria della compresenza che Capitini ci offre in Educazione aperta. Mi limito a ricordare il brano fondamentale: "La metafisica dell’Uno può generare l’autoritarismo; la metafisica della compresenza genera la democrazia anzi l’omnicrazia (potere di tutti)" (30).

Giustamente Fabrizio Truini ha osservato che, per Capitini, "l’omnicrazia é basata sulla teoria della compresenza e mira a superare sul piano politico le conseguenze sia della concezione hegeliana sia di quella marxista, che dominano il mondo" (31). Agli occhi di Capitini, il pensiero di Hegel e quello di Marx sono le due più grandi espressioni storiche della "metafisica dell’uno": lo Stato etico (Hegel), la Classe onnipotente (Marx): "La soluzione dell’omnicrazia é diversa dall’una e dall’altra. Pone come superiore al mondo degli interessi particolari la compresenza, che é la realtà di tutti e dei valori in un infinito accrescimento, e promuove non i modi della guerra e dell’autoritarismo dall’alto, ma i modi della nonviolenza e della permanente valorizzazione dal basso come assemblea e produzione dei valori" (32).

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L’idea di omnicrazia

Passiamo ora a esaminare il posto che l’omnicrazia occupa tra le idee politiche novecentesche. In estrema sintesi si può dire che l’omnicrazia, da un lato, si oppone alle idee politiche che nel corso dei Novecento si sono risolte storicamente in una ipostatizzazione dei potere: specie il fascismo e il nazismo, ma anche il comunismo; dall’altro - direbbe Capitini -, si aggiunge nel solco delle idee politiche - liberalismo, democrazia, socialismo - che, al contrario, possono essere interpretate come le tappe storiche progressive di un processo di allargamento dei potere a tutti.

In primo luogo, quindi, la critica politica omnicratica si esprime nella critica del potere. Negli scritti di Capitini la critica negativa prevale sulla critica positiva del potere. I lineamenti istituzionali del "potere di tutti" restano alquanto imprecisati (tornerò su questo punto nelle conclusioni). Mentre impareggiabile per continuità ed efficacia si rivela la critica negativa del "potere che viene dall’alto" in ogni sua forma.

Gli strali più ricorrenti della polemica capitiniana riguardano, da un lato, la Chiesa cattolica, dall’altro, lo Stato. La polemica contro il potere religioso é rivolta contro il Dio-potenza in nome del Dio di tutti della religione aperta; la polemica contro il potere politico é rivolta contro lo Stato-potenza in nome dei potere di tutti. Ha scritto Bobbio: "Vi é un Dio-potenza delle religioni tradizionali e uno stato potenza delle società storiche, anche di quelle più avanzate, che é il vero idolo da abbattere. Dio e stato secondo Capitini debbono essere di tutti" (33).

Le società storicamente più avanzate sono le società democratiche, che, però, anch’esse non si sono liberate completamente della presenza dello Stato-potenza. Il capitolo più importante della critica politica dell’omnicrazia riguarda il rapporto tra la democrazia e il potere di tutti.

Ma la critica che Capitini conduce della democrazia non va confusa con la critica degli scrittori conservatori in nome di un senso più profondo dell’unità sociale, o degli scrittori reazionari che ai "vizi" della democrazia preferiscono una presunta bontà delle dittature. Anzi, per Capitini, l’omnicrazia é l’esatta antitesi della dittatura in quanto rappresenta contemporaneamente un’affermazione, integrazione e sviluppo della democrazia.

La posizione di Capitini emerge chiaramente dal giudizio sull’esperienza storica del fascismo. Nel saggio Apertura e dialogo (1963), egli descrive l’"apertura all’omnicrazia contro il fascismo" come la prima di una serie di aperture che attraverso l’"apertura contro stati di inciviltà" e l’"apertura ai singoli tu", si conclude nell’"apertura alla realtà di tutti" (34). Per Capitini, storicamente il fascismo ha rappresentato l’inter ruzione violenta del processo di formazione di una democrazia "sana", "cioé, aperta internamente a tutti": "Tale democrazia in Italia era lentamente in formazione avanti al fascismo, ma non affatto sicura. Nel suo urto contro il fascismo, violento senza il potere e violento con il potere, si disfece, ma ebbe il tempo di dare alcune figure di eroi, o vittime che assumevano così la sofferenza, la testimonianza. Qualche italiano si accorse di questo; la democrazia moriva bene, e morir bene, vuol dire rinascere" (35).

Quando si riferisce alla sua idea di democrazia, Capitini é attento sempre a specificare: democrazia di tutti, per distinguerla dalla sua degenerazione che chiama: democrazia di amministrazione (36). Contrariamente a quanto riteneva, per esempio, Croce, al fascismo, secondo Capitini, avrebbe dovuto succedere la prima e non la seconda: "Il Croce - si legge in Antifascismo tra i giovani - disse che il liberalsocialismo non era altro che il socialismo democratico e non si rese conto della differenza, nel suo fondo, del punto a cui volevano arrivare alcuni di noi, e che non era il semplice risuscitamento degli strumenti della democrazia parlamentare, insieme con riforme ’socialì" (37).

Già negli anni Trenta e Quaranta, quindi, nella concezione di Capitini, scopo del liberalsocialismo non era il semplice ritorno alle condizioni preesistenti al fascismo bensì una trasformazione radicale, da lui riassunta nella formula democrazia di tutti: "Nel regime fascista [...] vidi la chiusura nei riguardi dell’autonomia della coscienza, della possibilità di strutture socialistiche della democrazia di tutti. [...] Ora venivo costruendo il mio liberalsocialismo [...]. Qui ’aperturà significava sostituzione, alla dittatura, di strutture socialistiche al servizio della maggiore libertà dell’individuo e del suo sviluppo nella permanente libertà di informazione e di critica; l’autonomia della coscienza concretata in forme di autogoverno; una costante e ampliantesi democrazia di tutti" (38).

L’ispirazione primigenia del liberalsocialismo torna nella considerazione dei rapporti tra democrazia e omnicrazia. Come si é già detto, Capitini si considera un teorico dell’omnicrazia più che della democrazia.

E’ evidente che quella tra democrazia e omnicrazia non é solo una differenza di carattere linguistico. Con l’idea di omnicrazia Capitini vuole rimandare chiaramente a un altro ideale di società - il potere di tutti -, che non si é inverato storicamente nelle democrazie attuali. E’ vero che storicamente la società democratica ha rappresentato il superamento delle società militari e religiose. Infatti, se il valore che ispirava le società militari é "l’obbedienza pronta e cieca"; quello che ispira le società religiose é "la formazione della fede", il valore della democrazia é "lo spirito critico": "Una società democratica - scrive Capitini - che stia immobile, si corrompe e si muta: essa ha bisogno di rinnovarsi continuamente dal di dentro; la sua salute sta nel movimento, e il movimento é impresso dal libero giuoco delle proposte riformatrici" (39). Per questa sua caratteristica, lo abbiamo già accennato, la democrazia può essere considerata come la tappa storica più prossima all’avvento di una società omnicratica. "Lo sviluppo della democrazia, - scrive in Il potere di tutti - in quanto cerca di allargare il potere al maggior numero possibile di individui, superando le difficoltà conseguenti alle diversità di razza, di classe sociale, di ricchezza, di coltura, tende al potere di tutti ma non lo raggiunge effettivamente" (40). Tra le due forme di società non c’é contrasto, nel senso che la democrazia può avvicinare e preparare l’omnicrazia, mentre l’omnicrazia é lo svolgimento e l’inveramento della democrazia. In poche parole: l’omnicrazia viene, verrà, dopo la democrazia (41).

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Dalla democrazia al "potere di tutti"

A un certo punto della sua vita, - nell’inedito del ’64 Teoria politica e struttura sociale dell’omnicrazia - Capitini lascia trapelare la convinzione che stia sopraggiungendo "un momento storico" in cui attraverso un’azione riformatrice consapevole sarebbe diventato possibile influire sulle strutture politiche e sociali contemporanee in vista dell’effettivo potere di tutti su tutto. Ma come? Capitini avanza quattro proposte riformatrici che caratterizzano l’omnicrazia intesa come una "teoria politico-religiosa che fonda nella ’comunità apertà questa sintesi di compresenza e di centro" (42). Si tratta di quattro proposte che si aggiungono alla democrazia. Le prime tre aggiunte in senso lato possono essere considerate di carattere istituzionale.

La prima aggiunta é diretta allo sviluppo di una sempre maggiore estensione del controllo dal basso. Dopo avere ricordato ancora una volta l’esperienza dei Centri di orientamento sociale, Capitini scrive: "Sono tornato da allora più volte a proporre la costituzione di decine di migliaia di centri sociali per l’esame pubblico dei problemi con periodiche riunioni, come preparazione e attuazione del controllo dal basso" (43). li suo atteggiamento verso l’istituto parlamentare non va confuso col generico antiparlamentarismo che in diverse situazioni storiche accomuna l’estrema sinistra all’estrema destra. Per Capitini si tratta di andare oltre la democrazia parlamentare, conservandone gli istituti che la contraddistinguono, a cominciare da quella istituzione fondamentale della democrazia che é il parlamento: "Non sono d’accordo - scrive nel saggio Omnicrazia - con i distruttori del sistema rappresentativo che le democrazie occidentali hanno costruito; ma ne vedo i limiti. Bisogna - continua - esser vissuti sotto una dittatura per capire che il libero funzionamento della rappresentanza parlamentare é qualche cosa di positivo [...] Non accetto la frase del ’cretinismo parlamentaré" (44).

Pur ribadendo l’utilità del parlamento, Capitini ne vede i limiti. Quali?

Un primo limite é che la lotta politica in parlamento é più facilmente influenzabile "da parte di interessi particolari e settari". Un altro limite é che attraverso il parlamento si privilegia la formazione delle "persone colte" che "hanno altri modi per esercitate una qualche influenza pubblica" più che l’"educazione critica delle moltitudini popolari, quelle a cui bisognerebbe tenere di più" (45).

Ma il limite principale é che il parlamento, che pure é dal basso per la sua derivazione dall’elezione, "rischia di diventare "dall’alto", cioé dalla capitale, da un cerchio di conoscenze speciali e di interessi riservati a pochi". Di qui l’esigenza "che esso ha bisogno di essere integrato da moltissimi centri sociali, assemblee deliberanti o consultive in tutta la periferia. Questa integrazione é dal basso" (46).

L’istituto fondamentale dell’omnicrazia non é il parlamento ma l’assemblea: "Il principio che l’assemblea ha il potere - scrive - é valido, perché é ciò che assomiglia più di ogni altra cosa alla realtà di tutti che é dal basso e omnicomprensiva" (47).

La seconda proposta é quella di aggiungere al metodo democratico il "valore del metodo nonviolento". Manca un lavoro sulla teoria capitiniana della nonviolenza che meriterebbe di essere oggetto di una indagine analitica e di un lavoro a parte (48).

Per quanto riguarda il rapporto con l’omnicrazia, la nonviolenza viene intesa da Capitini come un metodo più avanzato del metodo elettorale perché, nel momento stesso in cui viene praticato, fa vivere l’esigenza concreta del potere di tutti. A suo giudizio era ormai maturo il tempo per cogliere il valore dei metodo nonviolento applicato a tutte le lotte: "Negli ultimi decenni - osserva - usi cospicui di tale metodo sono state le lotte per la liberazione dell’India e dei negri degli Stati Uniti. Le tecniche dei metodo nonviolento insegnano il valore della collaborazione e della noncollaborazione, del consenso e del dissenso, diffondendo a tutti i cittadini la convinzione che si può sempre fare qualche cosa, e che si debbono attuare larghe solidarietà, infondono in tutti i cittadini la persuasione di possedere un potere di influenza, di controllo e di azione sulla società, e preparano perciò la trasformazione della società di pochi in società di tutti" (49).

La terza aggiunta é quella del "centro". La società omnicratica si configura come una "comunità aperta" (50), basata su "una struttura sociale di tipo liberalsocialistico" in cui "acquista rilievo una posizione di grandi conseguenze: la posizione del ’centrò" (51).

E’ stato ben detto che l’utopia di Capitini é lo "stato senza partiti".

Alla critica dei limiti del parlamento, egli affianca una analoga critica dei limiti del partito, che si rivela uno strumento inadeguato di "lavoro per la società di tutti".

In Nuova modalità e riforma religiosa si legge: "I partiti esistono per il ’poteré, per acquistarlo o per sostenerlo. Da ciò la loro ragione d’essere e tutti i loro limiti, il machiavellismo, la disciplina interna, le gelosie, il settarismo, il patriottismo di partito. La conquista del potere é l’assoluto per il partito. Il partito é il mezzo e il potere é il fine. Ma qui sorgono gravi difficoltà. Può il mezzo essere diverso dal fine?" (52).

Con l’espressione "nuova socialità" Capitini intende che "la partecipazione dei cittadini alla discussione e alla decisione dei problemi collettivi sia tanto intensa da non rendere necessaria l’intermediazione dei gruppi organizzati": se il fine della politica non é il potere ma la "nuova socialità" la forma della partecipazione non é il partito ma il "centro", "che é non societario ma comunitario, non si schiera contro altri partiti, ma si tiene aperto all’iniziativa di tutti, non impone dogmi ma discute problemi, non conosce privilegi di tessera né poteri di funzionari" (53).

"Il centro - scrive Capitini - é aperto al mondo circostante, non delimita e chiude la sua azione, non registra ciò che riceve, va oltre gli iscritti, gli iniziati, i battezzati, gli aderenti, i fruenti delle stesse idee o degli stessi beni. Al posto della società circoscritta che esclude trova posto il centro che dà e non sa più dove arriveranno le onde che partono da esso" (54).

Vediamo ora la quarta aggiunta: l’aggiunta religiosa. Essa consiste nel progressivo riconoscimento del nesso tra piano religioso e piano politico, tra la compresenza e il problema politico e sociale, da cui scaturisce una idea di comunità "che - osserva Capitini - parrà insolita nelle trattazioni giuridiche, politiche, sociali": "Della comunità fanno parte non soltanto i cittadini sani e attivi e producenti, ma anche i malati, gli inerti, i disfatti e i morti. Possiamo essere aperti non soltanto ai viventi, ma anche agli esseri prigionieri dei limiti del dolore e della morte, ai crocifissi dalla realtà nella forma che essa ha attualmente; e tale apertura a quel martirio, a quella testimonianza dell’insufficienza della realtà attuale, fa accertare in noi una virtù più profonda e autentica, che é quella della compresenza di tutti" (55).

Oltre ai limiti politici, per Capitini, la democrazia presenta dei limiti religiosi. Tra l’omnicrazia e la democrazia egli intravede una differenza fondamentale, qualitativa. Da una pagina del saggio Omnicrazia, dedicata al problema dei potere, traggo un vero e proprio catalogo dei difetti, delle possibili involuzioni della democrazia attuale. La democrazia - "nelle forme finora realizzate - si vale di alcuni strumenti che possono non essere accettati":

1. "attribuisce alla maggioranza un potere che qualche volta é eccessivo rispetto ai diritti delle minoranze";

2. "fa guerre di Stato contro Stato";

3. "conferisce alle polizie il potere di torturate (come avviene in tutti i paesi) e molte volte un soverchio intervento all’ordine pubblico";

4. "non é sufficientemente aperta a ciò che potranno dare o vorranno essere i giovanissimi e i posteri";

5. "preferisce strumenti coercitivi e repressivi a strumenti persuasivi ed educativi";

6. "si lascia sopraffare dalle burocrazie trascurando il servizio al pubblico anonimo";

7. "concentra il potere preferendo l’efficienza al controllo, e finisce col non considerare sufficientemente i mezzi e le loro conseguenze, pur di raggiungere un fine" (56).

Ma, perché, in ultima istanza, la democrazia non realizza effettivamente il potere di tutti? Ecco la risposta di Capitini: "la democrazia conserva riferimenti al procedere della natura, l’omnicrazia tende a essere sempre meglio attuatrice della compresenza. Per la democrazia la vitalità, la forza, talvolta la costrizione, la rivoluzione e la guerra o la guerriglia hanno il loro posto; per l’omnicrazia la compresenza si presenta come valore costante e l’individuo unito alla compresenza ha una ’forzà maggiore di tutte le forze" (57).

E’ una risposta che rivela la profonda ispirazione religiosa e non politica del suo pensiero.

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Una speranza

Non si può tacere l’indeterminatezza dell’omnicrazia dal punto di vista istituzionale. Maurizio Griffo ha posto in evidenza la "sottovalutazione del momento istituzionale" che condurrebbe Capitini, almeno dal punto di vista pratico, a una marcata valutazione negativa delle istituzioni liberali: "é un fatto - continua Griffo - che a Capitini rimase estraneo il valore che lo Stato di diritto e le istituzioni liberali, proprio nei loro aspetti inerziali, possono avere". Se fu sempre molto sensibile all’importanza delle concrete libertà politiche, da quella di parola e di espressione a quella di riunione, e al loro effettivo esercizio, tuttavia - osserva ancora Griffo - Capitini "non vedeva il valore positivo del meccanismo istituzionale e amministrativo che l’esercizio regolato di quelle libertà impone" (58). Forse é una critica troppo severa, che ci sembra almeno in parte smentita dalla polemica di Capitini contro "i distruttori dei sistema rappresentativo". Ma é vero che non é sul terreno del meccanismi istituzionali, delle regole dei gioco, delle norme fondamentali che sembra porsi l’aspirazione a un potere di tutti: "quello che chiamava ’il potere di tuttì - qui concordiamo con Griffo - resta un’esigenza intima da affermare più che un articolarsi di procedure" (59).

Non a caso, infatti, più volte il pensiero di Capitini é stato considerato una profezia (60). Personalmente, nell’idea di un potere di tutti preferisco scorgere piuttosto la prefigurazione di una speranza (61). Giova ripetere ancora una volta che, per Capitini, il problema politico é indissolubilmente legato al problema etico-religioso. Il problema dell’avvento di una società integralmente democratica - l’omnicrazia - é imprescindibile dal problema della formazione, nel linguaggio di Capitini, della tramutazione, dell’uomo democratico, sic et simpliciter dell’uomo. La "riforma omnicratica" mira a far nascere congiuntamente un "uomo nuovo" e una "nuova società". Si spiega così la centralità dell’educazione, intesa come informazione e formazione, acquisizione e produzione di problemi e di valori, processo permanente e totale che coinvolge l’essere e tutti gli esseri. Il luogo in cui questo progetto educativo si realizza é il "centro", che forma all’azione nonviolenta e prepara all’esercizio effettivo del potere di tutti. Perché ciò sia possibile il singolo come la società devono farsi "centro", aprirsi alla trasformazione-rivoluzione della realtà attuale, limitata, insufficiente, chiusa.

Nessuna trasformazione istituzionale sarebbe possibile se non é accompagnata da una rivoluzione interiore che trovi la propria origine nella "coscienza produttrice dei valori". Più che come un progetto politico, l’omnicrazia sembra configurarsi, ripeto, come una speranza, come un ideale morale cui dovrebbero tendere gli uomini democratici. Particolarmente significativa mi sembra la risposta di Capitini ai dubbi di una lettrice circa il titolo della rivista, "il potere é di tutti": "Il nostro titolo - scrive Capitini - ha evidentemente un valore paradossale, o per meglio dire, di realtà indubitabile [...] non ancora reale, ma che ispira seriamente il nostro lavoro, e perciò possiamo dire in certo modo che é [...] già cominciata. Se dicessimo sia di tutti, sarebbe una specie di ordine; se diciamo: é di tutti, significhiamo una nostra persuasione su cui costruire" (62).

Il saggio Omnicrazia é percorso dalla contraddizione tra "un oggi drammatico e un domani sperabile" e si conclude con la prefigurazione di "una speranza" (63). Nell’idea di un potere di tutti é racchiusa la speranza, la persuasione, che l’uomo possa liberarsi dai "gruppi di condizionamento" in cui si trova costretto: "lo Stato, l’Impresa, la Natura" (64). Non é un atto di fede. Direi, piuttosto, che il "potere di tutti" può essere inteso e accolto come un ideale-limite, appunto, come una speranza che potrebbe accomunare laici e religiosi.

*

Note

1. Opportunamente si é parlato di una "unità profonda e sostanziale del pensiero capitiniano". Traggo il riferimento dalla Introduzione di G. Cacioppo a Il messaggio di Aldo Capitini. Antologia dagli scritti, Manduria, Lacaita, 1977, p. 10. Presentando l’articolazione in cinque sezioni dell’antologia, Cacioppo osserva che essa "é estremamente artificiosa" perché in ciascuna sezione confluiscono motivi delle altre e, inoltre, "pagine importanti per un determinato argomento si trovano in opere che sembrerebbero dover parlare di tutt’altro" (ibidem).

L’antologia comprende le sezioni: 1. Il pensiero religioso, a cura di L. Schippa; 2. La riflessione filosofica, a cura di A. Granese; 3. La proposta della nonviolenza, a cura di P. Pinna; 4. L’elaborazione politica, a cura di G. Cacioppo; 5. La concezione educativa, a cura di A. Savelli; oltre alle testimonianze di F. Berti Arnoaldi, G. M. Bertin, W. Binni, N. Bobbio, D. Dolci, A. L’Abate, E. Spano Nivola, B. Talluri, G. Zanga, e alla Bibliografia, a cura di A. Stella, fondamentale per gli studi capitiniani. Segnalo i volumi: Scritti sulla nonviolenza, a cura di L. Schippa, Perugia, Protagon, 1992, e Scritti filosofici e religiosi, a cura di M. Martini, Perugia, Protagon, 1994, che raccolgono alcune delle principali opere di Capitini. Si tratta, purtroppo, di opere difficilmente reperibili. Inoltre é da segnalare che manca ancora una raccolta degli scritti politici, nonché degli scritti pedagogici e di quelli letterari.

2. Mi riferisco al saggio Teoria politica e struttura sociale dell’omnicrazia, un manoscritto di due carte (quattro facciate), datato "1O gennaio 1964" e recante in calce la firma: "Aldo Capitini, prof. di pedagogia e filosofia morale nell’Università di Cagliari, direttore del Centro di Perugia per la nonviolenza". Il saggio é articolato dallo stesso Capitini in quattro paragrafi. Vedilo ora in "Il Poliedro", VI, n. 17-18, gennaio-giugno 1989, pp. 47-49, introdotto da una nota di L. Merlo Pich e di chi scrive, Aldo Capitini: per un potere di tutti, pp. 43-46. In questo stesso testo Capitini chiarisce che la sua é "una teoria politico religiosa". Per Fabrizio Truini, l’omnicrazia é "una originalissima teoria etico-politica" (Aldo Capitini, Edizioni Cultura della Pace, Firenze, 1989, p. 159). Sul tema vedi anche N. Martelli, Aldo Capitini, educatore di nonviolenza, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1988, pp. 73-110.

3. Non é presente né nella Enciclopedia italiana di Scienze, Lettere e Arti, più nota come la Treccani, in cui la voce: Capitini, Aldo compare nell’aggiornamento 1961-1978. vol. IV, p. 367 (l’autore é Livio Sichirollo); né nella più recente Enciclopedia Europea dell’editore Garzanti; né nel Lessico universale della lingua italiana.

4. S. Battaglia, Grande dizionario della lingua Italiana, Utet, Torino, vol. IX, p. 988.

5. A. Capitini. Lettera di religione 32 - Per un’aggiunta religiosa in risposta a alcune critiche, in Id., Il potere di tutti, Introduzione di N. Bobbio, Prefazione di P. Pinna, Firenze, La Nuova Italia, 1969. Le Lettere di religione si trovano alle pp. 189-448, con una nota di L. Schippa, pp. 185-187. La Lettera di religione 32, alle pp. 317-322.

6. Per "un mio amico" - si ricordi che ci stiamo riferendo a una discussione avvenuta all’inizio del 1956 - non esistono dubbi sul fatto che "nell’Urss, nelle democrazie popolari e in Cina sta nascendo veramente l’uomo nuovo [...] che sa di dover continuamente lottare con la natura con le sole armi della ragione e del lavoro [...] l’uomo che sta prendendo nelle sue mani il destino suo e della società" (A. Capitini, Il potere di tutti cit. , p. 318).

7. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 318.

8. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 318-319.

9. A. Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa, Torino, Einaudi, 1950, p. 182. Sull’"amore", pp. 184-187; sulla "realtà di tutti", pp. 187-190.

10. A. Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa, cit., p. 205. Gli scritti liberalsocialistici di Capitini sono stati raccolti nel volumetto Liberalsocialismo, introduzione di P. Giacché, Roma, edizioni e/o, 1996.

11. A. Capitini, Risposte a un questionario, in Id., Aggiunta religiosa all’opposizione, Firenze, Parenti, 1958. p. 86. L’inchiesta riguardava altre due questioni: "Civiltà e guerra"; "Socialismo e cristianesimo".

12. A. Capitini, Lettera di religione 54 - Alcune ragioni del metodo nonviolento, in Il potere di tutti, cit., p. 408.

13. A. Capitini, Lettera 55 - Il Centro si associa alla pressione dal basso, in Il potere di tutti, cit., p. 413.

14. Quanto all’origine di questo scritto sembra inutile fare congetture. Come si legge nella presentazione a cura di Merlo Pich e di chi scrive, "esso non sembra concepito per una delle due riviste, quanto piuttosto per essere letto in una delle tante assemblee cui frequentemente partecipava. Lasciano pensare a questa ipotesi sia il tono didascalico sia il carattere schematico e sintetico con cui Capitini riassume i punti fondamentali del suo pensiero" (L. Merlo Pich, P. Polito, Aldo Capitini: per un potere di tutti, cit., p. 44).

15. L. Schippa, Nota a Omnicrazia, A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 57. A proposito della composizione dell’opera, Schippa ricorda: "Omnicrazia il potere di tutti é l’ultima opera di Aldo Capitini, alla quale si era dedicato nella primavera-estate dei 1968. Lessi il manoscritto durante il suo ricovero in ospedale nei giorni precedenti l’intervento chirurgico; in tale occasione mi rivelò il proposito di rivedere gli ultimi capitoli durante la convalescenza che non ci fu" (lbidem). Da un punto di vista più strettamente filosofico e religioso, il tema dell’omnicrazia viene svolto anche in quello che a ragione viene considerato il suo libro più filosofico, La compresenza dei morti e dei viventi, Milano, Il Saggiatore, 1966, in particolare nel paragrafo, intitolato: "L’oligarchia della ragione e l’omnicrazia", pp. 122-125; e nel capitolo 5, Teoria della compresenza, in Educazione aperta, Firenze, La Nuova Italia, 1967, vol. I, pp. 82-96 (vedi di seguito il par. 2, Il fondamento filosofico e religioso dell’omnicrazia).

16. Vedilo ora nella nuova edizione di A. Capitini, Italia nonviolenta (1949), Centro studi Aldo Capitini, Perugia 1981 (da cui cito) e da ultimo in A. Capitini, Scritti sulla nonviolenza, cit., pp. 3-17. E’ stato osservato che Attraverso due terzi di secolo é un "compendio di vita e di idee", che, per la prematura scomparsa dell’autore, "ha preso il posto di una lunga e breve epigrafe o di un conciso (e anche in questo mirabile) testamento spirituale" (P. Giacché, Introduzione a A. Capitini, Opposizione e liberazione. Scritti autobiografici, a cura di P. Giacché, Roma, Linea d’ombra, 1991, p. 8). Di carattere autobiografico sono anche: Antifascismo tra i giovani, Trapani, Celebes, 1966 e il capitolo Apertura e dialogo, compreso in Educazione aperta, cit., vol. I, pp. 6-38.

17. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, in Id., Italia nonviolenta, cit., p. 21.

18. Vedi A. Capitini, Origine, carattere e funzionamento dei Cos, in Nuova socialità e riforma religiosa, cit., p. 235 ss., e Id., I Centri di orientamento sociale (Cos), in id., Educazione aperta cit., vol. II, pp. 253-266.

19. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, in Id., Italia nonviolenta, cit., p. 17. Segnalo la ristampa anastatica de "Il Potere é di tutti", periodico mensile, I (1964) - V (1968), Introduzione di L. Schippa, Indici di L. Belli, Perugia, Regione dell’Umbria, 1978. Gli articoli di Capitini apparsi sulla rivista sono stati compresi in Id., Il potere di tutti, cit. , pp. 151-182.

20. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, in Id., Italia nonviolenta, cit., p. 21.

21. N. Bobbio, Religione e politica (1969), in Id., Maestri e compagni, Firenze, Passigli, 1984, p. 283.

22. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, cit., p. 17. La realtà di tutti é uno dei grandi temi filosofici di Capitini. Vedi innanzitutto La realtà di tutti, Pisa, Ed. Tornar, 1948; poi Trapani, Edizioni Celebes, 1965, con una Prefazione, che reca la data: "Perugia, 22 novembre 1944" . Inoltre, vedi anche il par. VI, La realtà di tutti, in L’atto di educare, Firenze, La Nuova Italia, 1951, pp. 42-50 e il par. 1, La realtà di tutti, in Educazione aperta, Firenze, La Nuova Italia, 1968, vol. II, pp. 3-8.

23. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 59.

24. A. Capitini, Apertura e dialogo, in Id., Educazione aperta, cit., p. 9.

25. A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, cit., pp. 78-79.

26. A. Capitini, Apertura e dialogo, in Id., Educazione aperta, cit., p. 10.

27. A. Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, cit., p. 122.

28. A. Capitini, Apertura e dialogo. in Id., Educazione aperta, cit., p. 10.

29. A. Capitini, Attraverso due terzi di secolo, in Id., Italia nonviolenta, cit., p. 21. "Omnicrazia, cioé potere di tutti, é il neologismo coniato appositamente per definire la proposta politica omogenea alla teoria della nonviolenza" (E Truini, Aldo Capitini, cit., p. 158).

30. A. Capitini, Teoria della compresenza, in Id., Educazione aperta, cit., vol. I, p. 88.

31. F. Truini, Aldo Capitini, cit., p. 160.

32. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 104. Sul rapporto tra compresenza e omnicrazia, vedi i paragrafi: "Le compresenza al posto dello Stato etico e della Classe universale" (pp. 103 ss.); "Costruire l’omnicrazia dalla persuasione della nonviolenza" (pp. 105 ss.); "il ’momentò tra la natura e la compresenza" (pp. 120 ss.); "L’integrazione nella compresenza e nell’omnicrazia" (pp. 132 ss.).

33. N. Bobbio, Religione e politica in Aldo Capitini, in Id., Maestri e compagni, cit., p. 283.

34. A. Capitini, Apertura e dialogo, in Id., Educazione aperta, vol. I, cit., p. 10.

35. A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, cit., p. 40.

36. A. Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa, cit., p. 20.

37. A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, cit., p. 101.

38. A. Capitini, Apertura e dialogo, in id., Educazione aperta, vol. I., cit., pp. 8-9. Sul tema vedi P. Bagnoli, Il liberalsocialismo, Firenze, Nuova Guaraldi, 1981; A. d’Orsi, Aldo Capitini dall’antifascismo alla nonviolenza, in AA. VV. , La cultura della pace dalla Resistenza al Patto Atlantico, a cura di M. Pacetti, M. Papini, M. Sarcinelli, Bologna, il lavoro editoriale, 1988, pp. 38-74; P. Polito, Il liberalsocialismo di Aldo Capitini, in AA. VV. , I dilemmi del liberalsocialismo, a cura di M. Bovero, V. Mura, F. Sbarberi, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1994, pp. 165-188.

39. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell’omnicrazia, cit.

40. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 64.

41. In una lettera a Tristano Codignola del 27 novembre 1946, Capitini affermava che "c’é da temere che il riformismo diventi un socialismo e un illuminismo annacquati, che non contino nulla, che siano quotidianamente disposti a compromettersi", "mentre c’é da affermare [...] la postdemocrazia e il postcomunismo, che i migliori democratici e i migliori comunisti vogliono". Cito da A. Capitini, T. Codignola, Lettere 1940-1968, a cura di T. Borgogni Migani, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 33.

42. A. Capitini, Teoria politico e struttura sociale dell’omnicrazia, cit., pp. 47-48.

43. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell’omnicrazia, cit., p. 47.

44. A. Capitini, Il Potere di tutti, cit., p. 88.

45. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 88.

46. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 88.

47. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 90. Quello dell’assemblea, e dei suoi limiti, é un tema capitiniano, quant’altri mai, che meriterebbe di essere discusso nel contesto di una rivisitazione storica degli anni Sessanta e Settanta. Sull’argomento egli ha scritto "pagine dove sono anticipate tante idee che divennero attuali dopo il ’68, che é l’anno in cui morì" (N. Bobbio, Transizione e tramutazione, in AA. VV., Nonviolenza e marxismo, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 119).Qui mi limito a un’altra citazione: "L’assemblea non é infallibile, può sbagliare, ma il concreto atteggiamento é di stare dentro per mostrarle i suoi sbagli; e purtroppo l’insufficienza umana si vede in questo evitare di farsi presente in un’assemblea con il proprio dissenso costruttivo. Chi é aperto deve sempre collocarsi nelle assemblee, perché esse sono qualitativamente superiori all’autorità del monarca" (Il potere di tutti, cit., pp. 89-90).

48. Le linee fondamentali della sua "filosofia della persuasione" e della sua etica della nonviolenza sono già prefigurate negli Elementi di un’esperienza religiosa del ’37. Dopo gli Elementi, egli torna ripetutamente e ininterrottamente sulla nonviolenza, che é un tema comune a tutte le sue opere. Inoltre essa é l’argomento specifico di due suoi libri degli anni Sessanta: La nonviolenza oggi (Milano, Edizioni di Comunità, 1962) e Le Tecniche della nonviolenza (Milano, Feltrinelli, 1967). Inoltre, a essa egli dedicò decine e decine di articoli composti in diversi periodi a partire dai secondi anni Quaranta ai primi anni Sessanta, raccolti in Italia nonviolenta (1949) e nel volume A. Capitini, Scritti sulla nonviolenza, cit., che comprende anche la terza parte di Il problema religioso attuale, Bologna. Guanda, 1948, che é dedicata alla nonviolenza, Le lettere di religione, già comprese in Il potere di tutti, cit., pp. 185-448, oltre al libro di documenti e testimonianze sulla Marcia della pace (Perugia-Assisi, 27 settembre 1961), In cammino per la pace, Torino, Einaudi, 1962. Sono da vedere anche le pagine che Capitini dedica alla nonviolenza in Religione aperta, 1964, pp. 141-162.

49. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell’omnicrazia, cit., pp. 47-48.

50. Capitini usa anche l’espressione "società aperta" che però sviluppa in una direzione diversa da quella religiosa di Henri Bergson e da quella razionalistica di Karl Popper. Secondo Franco Bozzi, la società aperta di Capitini non é "artifizio di ispirati [il modello bergsoniano] o di tecnocrati [il modello popperiano], ma lavoro di popolo, in nome di un socialismo sempre progettato e sempre rimesso in dubbio, instancabilmente riesaminato, e proprio per questo finalmente liberatorio" (La società aperta nel modello di Capitini, "Mondoperaio" , a. 35, n. 4, aprile 1982, p. 121).

51. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell’omnicrazia, cit., p. 48.

52. A. Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa, Torino, Einaudi, 1950, p. 130

53. N. Bobbio, Religione e politica in Aldo Capitini, in Maestri e compagni, cit., p. 267.

54. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale delíomnicrazia, cit., p. 48

55. A. Capitini, Teoria politica e struttura sociale dell’omnicrazia, cit., p. 48.

56. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 64.

57. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., pp. 64-65.

58. M. Griffo, Rileggere Capitini. in "Il Poliedro" , a. VI, n. 17-18, gennaio-giugno 1989, p. 39.

59. M. Griffo, Rileggere Capitini, cit., p. 39.

60. "La profezia capitiniana non é descrizione di quello che sarà ma proposta di una realtà che potrà essere se si lavorerà in una certa direzione, in cui egli ritiene si debba lavorare. Il futuro non é da scoprire ma da inventare e realizzare" (G. Cacioppo, Introduzione a Il messaggio di Aldo Capitini, cit., pp. 18-19).

61. Di seguito, riprendo spunti già presenti in L. Merlo Pich, P. Polito, Aldo Capitini: per un potere di tutti, cit., pp. 44-46.

62. A. Capitini, Il Potere é di tutti e Azione nonviolenta, in "Il Potere é di tutti", a. III, n. 7-8-9, luglio-agosto-settembre 1966, p. 4, firmato: "A. C.". Capitini risponde a Eugenia Bertolazzi, che aveva scritto alla redazione del giornale una lettera di commento all’articolo di L. Capuccelli, Potere, opinione pubblica e democrazia, uscito nel numero precedente 3-4-5-6, marzo-giugno 1966, pp. 1-2, non firmato. Vedi nel n. 7-8-9 l’articolo di Capuccelli, Una lettera sul potere, che riassume e commenta la lettera di Bertolazzi (p. 2).

63. Vedi i parr. "Un oggi drammatico e un domani sperabile" e "Una speranza", in Il potere di tutti, cit., pp. 61-62 e 143-147.

64. A. Capitini, Il potere di tutti, cit., pp. 142-147.

Tratto da
LA NONVIOLENZA E’ IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 1193 del primo febbraio 2006



Mercoledì, 01 febbraio 2006