I. Una premessa terminologica Scriviamo la parola "nonviolenza" tutta attaccata, come ci ha insegnato Capìitini, per distinguerla dalla locuzione "non violenza"; la locuzione "non violenza" significa semplicemente non fare la violenza; la parola "nonviolenza" significa combattere contro la violenza, nel modo più limpido e più intransigente. Chiamiamo le persone che si accostano alla nonviolenza "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti", perché nessuno può dire di essere "nonviolento", siamo tutti impastati di bene e di male, di luci e di ombre, é amica della nonviolenza la persona che rigorosamente opponendosi alla violenza cerca di muovere verso altre più alte contraddizioni, verso altri più umani conflitti, con lintento di umanizzare lagire, di riconoscere lumanità di tutti. Con la parola "nonviolenza" traduciamo ed unifichiamo due distinti e intrecciati concetti gandhiani: "ahimsa" e "satyagraha". Sono due parole densissime che hanno un campo semantico vastissimo ed implicano una concettualizzazione ricca e preziosa. Poiché qui stiamo cercando di esprimerci sinteticamente diciamo che ahimsa designa lopposizione alla violenza, é il contrario della violenza, ovvero la lotta contro la violenza; ma é anche la conquista dellarmonia, il fermo ristare, consistere nel vero e nel giusto; é il non nuocere agli altri (né con atti né con omissioni), e quindi innocenza, lin-nocenza nel senso forte delletimo. Ahimsa infatti si compone del prefisso "a" privativo, che nega quanto segue, e il tema "himsa" che potremmo tradurre con "violenza", ma anche con "sforzo", "squilibrio", "frattura", "rottura dellarmonia", "scissura dellunità"; in quanto opposizione alla lacerazione di ciò che deve restare unito, lahimsa é dunque anche ricomposizione della comunità, riconciliazione. Satyagraha é termine ancora più denso e complesso: tradotto solitamente con la locuzione "forza della verità" può esser tradotto altrettanto correttamente in molti altri modi: accostamento allessere (o allEssere, se si preferisce), fedeltà al vero e quindi al buono e al giusto, contatto con leterno (ovvero con ciò che non muta, che vale sempre), adesione al bene, amore come forza coesiva, ed in altri modi ancora: é bella la definizione della nonviolenza che dà Martin Luther King, che é anche uneccellente traduzione di satyagraha: "la forza dellamore"; ed é bella la definizione di Albert Schweitzer: "rispetto per la vita", che é anchessa unottima traduzione di satyagraha. Anche satyagraha é una parola composta: da un primo elemento, "satya", che é a sua volta derivato dalla decisiva parola-radice "sat", e da "agraha". "Agraha" potremmo tradurla contatto, adesione, forza che unisce, armonia che dà saldezza, vicinanza; é la forza nel senso del detto "lunione fa la forza", é la "forza di attrazione" (cioé lamore); é ciò che unisce in contrapposizione a ciò che disgrega ed annichilisce. "Satya" viene tradotto per solito con "verità", ed é traduzione corretta, ma con uguale correttezza si potrebbe tradurre in modi molto diversi, poiche satya é sostantivazione qualificativa desunta da sat, che designa lessere, il sommo bene, che é quindi anche sommo vero, che é anche (per chi aderisce a fedi religiose) lEssere, Dio. Come si vede siamo in presenza di un concetto il cui campo di significati é vastissimo. Con la sola parola nonviolenza traduciamo insieme, e quindi unifichiamo, ahimsa e satyagraha. Ognun vede come si tratti di un concetto di una complessità straordinaria, tutto lopposto delle interpretazioni banalizzanti e caricaturali correnti sulle bocche e nelle menti di chi presume di tutto sapere solo perché nulla desidera capire.
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II. Ma cosa é questa nonviolenza? lotta come umanizzazione La nonviolenza é lotta come amore, ovvero conflitto, suscitamento e gestione del conflitto, inteso sempre come comunicazione, dialogo, processo di riconoscimento di umanità. La nonviolenza é lotta o non é nulla; essa vive solo nel suo incessante contrapporsi alla violenza. Ed insieme é quella specifica, peculiare forma di lotta che vuole non solo vincere, ma con-vincere, vincere insieme (Vinoba coniò il motto, stupendo, "vittoria al mondo"; un motto dei militanti afroamericani dice allincirca lo stesso: "potere al popolo"); la nonviolenza é quella specifica forma di lotta il cui fine é il riconoscimento di umanità di tutti gli esseri umani: é lotta di liberazione che include tra i soggetti da liberare gli stessi oppressori contro il cui agire si solleva a combattere. Essa é dunque eminentemente responsabilità: rispondere allappello dellaltro, del volto muto e sofferente dellaltro. E la responsabilità di ognuno per lumanità intera e per il mondo. Ed essendo responsabilità é anche sempre nonmenzogna: amore della verità come amore per laltra persona la cui dignità di essere senziente e pensante, quindi capace di comprendere, non deve essere violata (e mentire é violare la dignità altrui in ciò che tutti abbiamo di più caro: la nostra capacità di capire). Non é dunque una ideologia ma un appello, non un dogma ma una prassi. Ed essendo una prassi, ovvero un agire concreto e processuale, si dà sempre in situazioni e dinamiche dialettiche e contestuali, e giammai in astratto. Non esiste una nonviolenza meramente teorica, poiché la teoria nonviolenta é sempre e solo la riflessione e lautocoscienza della nonviolenza come prassi. La nonviolenza o é in cammino, vale da dire lotta nel suo farsi, o semplicemente non é. Esistono tante visioni e interpretazioni della nonviolenza quanti sono i movimenti storici e le singole persone che si accostano ad essa e che ad essa accostandosi la fanno vivere, poiché la nonviolenza vive solo nel conflitto e quindi nelle concrete esperienze e riflessioni delle donne e degli uomini in lotta per lumanità.
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III. Tante visioni della nonviolenza quante sono le persone che ad essa si accostano Ogni persona che alla nonviolenza si accosta dà alla sua tradizione un apporto originale, un contributo creativo, un inveramento nuovo e ulteriore, e così ogni amica e ogni amico della nonviolenza ne dà una interpretazione propria e diversa dalle altre. Lo sapeva bene anche Mohandas Gandhi che definì le sue esperienze come semplici "esperimenti con la verità", non dogmi, non procedure definite e routinarie, non ricette preconfezionate, ma esperimenti: ricerca ed apertura.
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IV. La nonviolenza come insieme di insiemi Io che scrivo queste righe propendo per proporre questa definizione della nonviolenza così come a me pare di intenderla e praticarla: la nonviolenza é cosa complessa, un insieme di insiemi, aperto e inconcluso. IV. 1. E un insieme di concetti e scelte logico-assiologici, ovvero di criteri per lazione: da questo punto di vista ad esempio la nonviolenza é quellinsieme di scelte morali che potremmo condensare nella formula del "principio responsabilità" in cui ha un ruolo cruciale la scelta della coerenza tra i mezzi e i fini (secondo la celebre metafora gandhiana: tra i mezzi e i fini vi é lo stesso rapporto che cé tra il seme e la pianta). IV. 2. E un insieme di tecniche interpretative (il riconoscimento dellaltro, ergo il rifiuto del totalitarismo, della cancellazione o della sopraffazione del diverso da sé), deliberative (per prendere le decisioni senza escludere alcuno) ed operative (per lazione di trasformazione delle relazioni: interpersonali, sociali, politiche); come esempio di tecnica deliberativa nonviolenta potremmo citare il metodo del consenso; come esempio di tecniche operative potremmo citare dallo sciopero a centinaia di altre forme di lotta cui ogni giorno qualcuna se ne aggiunge per la creatività di chi contro la violenza ovunque si batte. IV. 3. E un insieme di strategie: e ad esempio una di esse risorse strategiche consiste nellinterpretazione del potere come sempre retto da due pilastri: la forza e il consenso; dal che deriva che si può sempre negare il consenso e così, attraverso la noncollaborazione, contrastare anche il potere più forte. IV. 4. E un insieme di progettualità (di convivenza, sociali, politiche): significativo ad esempio é il concetto capitiniano di "omnicrazia", ovvero: il potere di tutti. La nonviolenza come potere di tutti, concetto di una ricchezza e complessità straordinarie, dalle decisive conseguenze sul nostro agire.
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V. Uninsistenza Insistiamo su questo concetto della nonviolenza come insieme di insiemi, poiché spesso molti equivoci nascono proprio da una visione riduzionista e stereotipata; ad esempio, é certo sempre buona cosa fare uso di tecniche nonviolente anziché di tecniche violente, ma il mero uso di tecniche nonviolente non basta a qualificare come nonviolenta unazione o una proposta: anche i nazisti prima della presa del potere fecero uso anche di tecniche nonviolente. Un insieme di insiemi, complesso ed aperto. Un agire concreto e sperimentale e non unideologia sistematica e astratta. Un portare ed agire il conflitto come prassi di umanizzazione, di riconoscimento e liberazione dellumanità di tutti gli esseri umani; come responsabilità verso tutte le creature. La nonviolenza é in cammino. La nonviolenza é questo cammino. Il cammino vieppiù autocosciente dellumanità sofferente in lotta per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.
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VI. Una grande esperienza e speranza storica Non patrimonio di pochi, la nonviolenza si é incarnata in grandi esperienze e speranze storiche, due sopra tutte: la Resistenza, e il movimento delle donne; ed é il movimento delle donne, la prassi nonviolenta del movimento delle donne, la decisiva soggettività autocosciente portatrice di speranza e futuro qui e adesso, in un mondo sempre più minacciato dalla catastrofe e dallannichilimento della civiltà umana.
Tartto da La nonviolenza é in cammino n. 427 di lunedì 25 novembre 2002 21.02
LA NONVIOLENZA E IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Martedì, 18 febbraio 2003
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