LETTERA AL TURISTA
IN OCCASIONE DELLA VISITA GUIDATA AL MONUMENTO AL FILOSOFO DOMENICO ANTONIO CARDONE - MONTE SANT’ELIA – PALMI 17 AGOSTO 2012
di Raffaello Saffioti
IL SANTO IL DIAVOLO E IL FILOSOFO-POETA IL SANT’ELIA CANTA E RACCONTA LA LEGGENDA DEL MONTE SANT’ELIA *** Caro Turista, questo luogo è sacro, è uno dei luoghi della memoria della Città di Palmi. Ti trovi davanti al monumento che, opera d’artista, vuole ricordare uno dei figli più grandi della Città. Su questa cima si sente il respiro dell’anima profonda della Calabria. Se vuoi ascoltarlo, questo monte chiamato Sant’Elia parla e racconta una leggenda per bocca del filosofo-poeta DOMENICO ANTONIO CARDONE (Palmi, 1902-1986). La poesia “La Leggenda del monte S. Elia” pubblicata nel 1971 (in Ritmi astrali, Gesualdi Editore, Roma) fu riportata nella Prefazione a Canti e racconti del Sant’Elia (Lalli Editore, Poggibonsi, 1976). A conclusione della Prefazione, che ha carattere autobiografico, Cardone ha scritto: Qualcosa di tutto ciò ho voluto cantare e raccontare, nella pace del mio tramonto, così come un avo antico, sulla soglia di casa, al declinare del sole, racconta ai suoi nipoti le fiabe della sua giovinezza, intercalando ogni tanto un canto con una voce tremula che fa ridere i più piccini. Turista, porta con te, il testo dell’Autore, con la poesia riprodotta nel Monumento, come documento a ricordo della visita. Questa lettera vuole essere un invito alla conoscenza e alla meditazione. La montagna sacra è in ogni cultura. La montagna è un simbolo ed ha vari significati: “di altezza e di centro, di vicinanza al cielo, di viatico alla trascendenza, di fulcro di teofanie e di silenzi. Si deve pensare a qualcosa dove gli dei possono abitare e dove finiscono le scalate umane. (…) Sulla montagna, insomma, l’Occidente ha cercato le ragioni dello spirito, il nutrimento rarefatto di cui ha bisogno la psiche …” (Armando Torno, Prefazione a Filosofia della montagna, di Francesco Tomatis, Bompiani). IL SENSO DEL LUOGO. Il Poeta cerca di ricordare “una leggenda di Santi e di Demoni”, dalla quale è “circonfuso” “Il monte dalla testa leonina”. Nella poesia leggiamo: Un giorno fu grande tripudio di demoni estrosi ambigui com’uomini Tentavano salti acrobatici su su verso il cielo giocavano gincane tra i pini … Sul carro di fuoco partì da candidi continenti Elia liberatore … Piombò sul regno dei Demoni spinse a calci impetuosi le folli legioni allo strapiombo con impeto nuovo le mandò alte sul mare fino al ventre beante di Stromboli Il monte si fece santuario Le macerie dei secoli s’accumularono rugginose Il segno del grande brucio restò sulle rocce scavate con bordi anneriti Ma nel cuore degli uomini il segno dell’antica tregenda bruciò sempre vivo … IL SANTO Sant’Elia, nato ad Enna nell’823 e morto a Salonicco nel 903, la cui memoria ricorre il 17 agosto, nel profilo tracciato da Domenico Minuto, illustre studioso dei Santi della Calabria bizantina,“è un fondatore, un restauratore ed una pietra miliare nella storia del monachesimo orientale della Calabria: cioè, dell’aspetto più profondo, nobile e caratterizzante dell’identità calabrese”. “Sant’Elia visse in un’epoca in cui i monaci facevano vita dinamica percorrendo terre e paesi recando la buona parola ed il buon consiglio. Sant’Elia vagabondò l’intera vita, a piedi o con quelli che noi oggi chiameremo ‘mezzi di fortuna’. (…) Dappertutto predica alle folle. (…) Infine il miracoloso Monte Aulinas. E la fondazione di un Monastero. (…) La morte a Tessalonica nel 903. (…) Gli allievi riportarono il corpo … fino al Sant’Elia, dove fu sepolto” (Kazimiera Alberti, L’anima della Calabria, Rubbettino). La leggenda racconta, in una delle sue versioni ricorrenti, lo scontro avvenuto tra il Santo e il Diavolo. “… un uomo dal volto nero, con un gran sacco sulle spalle, si presentò al Santo Elia, che se ne stava in solitaria meditazione. L’uomo, che era il diavolo, aprì il sacco e mostrò al Santo una grande quantità di monete. Raccontò che aveva trovato l’ingente fortuna in un casolare abbandonato e pensava di poterla dividere col Santo, il quale, invece, prese le monete e cominciò a lanciarle lungo la china: mentre rotolavano si tramutavano in pietre nere, di quelle che ancora oggi si possono reperire sul monte. Contrariato, il diavolo balzò in piedi, ma, all’improvviso, alle sue spalle si aprirono due grandi ali nere di pipistrello, con le quali egli si alzò in volo, planò sul mare e vi si tuffò sprofondando. Le acque gorgogliarono e schiumarono, si innalzò una nuvolaglia e, quando questa si fu dileguata, ecco che sul mare si delineò un’isola a forma di cono, dalla cui sommità incavata uscivano lingue di fuoco e fumo. Era lo Stromboli col demonio imprigionato che soffiava fiamme e tuoni”. Un macigno conserva le impronte lasciate dal Diavolo prima di inabissarsi nel mare. La vita di Sant’Elia ha ispirato il romanzo storico di Oreste Kessel Pace che ora vede la luce. La leggenda simboleggia l’eterna lotta tra il bene e il male. Il diavolo è protagonista anche nella famosa favola “Quando fu il giorno della Calabria” che apre l’opera Calabria grande e amara, di Leonida Répaci, altro figlio illustre di Palmi. Viene raccontata la creazione della Calabria. “Era teso in un maschio vigore creativo il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi”. Dopo aver creato la nostra regione, “il Signore fu preso da una dolce sonnolenza, in cui entrava il compiacimento del creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità … Dopo le calamità, le necessità … E, a questo punto, il diavolo si ritenne soddisfatto del suo lavoro, toccò a lui prender sonno mentre si svegliava il Signore. Quando, aperti gli occhi, poté abbracciare in tutta la sua vastità la rovina recata alla creatura prediletta, Dio scaraventò con un gesto di collera il Maligno nei profondi abissi del cielo. Poi, lentamente rasserenandosi, disse: - Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e debbono seguire la loro parabola”. Ma parlando del diavolo tentatore, come non ricordare la pagina del Vangelo che racconta come Gesù nel deserto venne tentato dal diavolo? Perché questa poesia è uno dei Canti del Sant’Elia? “… Sant’Elia non è soltanto una vetta di monte, ma è vita di anime, voci di natura e sorrisi e malinconie di costumi che, tutti insieme, creano il fascino del Sant’Elia. E, … quelle voci, quei profili, quei sorrisi e quelle malinconie echeggiano quel fascino filtrati da una mente di pensatore e da un’anima di poeta” (Gaetano Sardiello). Franco Trifuoggi, profondo conoscitore dell’opera poetica di Cardone e suo autorevole interprete, scrivendo di “Cardone poeta della pace”, ha spiegato “lo stretto rapporto fra il pensiero filosofico di Cardone e la sua poesia, da lui sentita come ‘nostalgia di ciò che avrebbe dovuto essere e vorrebbe essere’, e ritenuta atta ad accogliere ‘gli interrogativi dell’antica ricerca’, insieme con alcuni temi topici del suo pensiero e della sua etica: l’insonne anelito al bene, la visione pan- animistica della natura con l’inquieta e cangiante ricerca del divino, la disperazione di fronte alla condizione esistenziale, l’appassionato francescanesimo, l’orrore dinanzi a un mondo privo di carità … : un’osmosi di animus lirico e fermento filosofico legittimata da precedenti storici di filosofi poeti, sin dall’antica Grecia fino al grande conterraneo Campanella”. Domenico Antonio Cardone, filosofo della pace L’opera prevalente di Cardone fu quella filosofica e costante nella sua vita fu l’impegno teorico-pratico per la pace. Questo impegno gli meritò la candidatura al premio Nobel per la Pace del 1963, con la seguente motivazione: Il Cardone, con una serie ininterrotta di scritti ed iniziative, soprattutto rimarchevoli dal 1948 in poi, ha cercato e cerca non solamente di lottare per la pace e l’abolizione del pericolo nucleare, affiancandosi a quanti lottano nello stesso senso, ma per di più: a) ha cercato di giungere alla radice di ciò che alimenta l’incomprensione e il contrasto fratricida tra i popoli; b) ha mostrato come, pur partendo da ideologie e interessi diversi, gli uomini possano giungere a consensi e fraterni accordi su punti determinati di natura etica, tali da eliminare ogni pericolo per tutti; c) ha instaurato una concezione della pace diversa da quella consueta, semplicemente statica e conservatrice, avente nel suo seno, come tale, i germi di sempre nuove guerre, in quanto per la sua concezione la pace assume l’aspetto di clima morale determinante un continuo progresso civile in tutti i settori della vita sociale. Per una simile opera egli ha richiesto anche la solidarietà dei filosofi di tutto il mondo, cercando di realizzare, per primo, tra essi, un’intesa etica, quali che fossero le metafisiche di ciascuno ed altresì quella degli scienziati, cui ha cercato mostrare la grave responsabilità da essi assunta con le loro scoperte e con il consentire alle applicazioni belliche di esse, oltre che quella degli spiriti religiosi di ogni credenza e degli uomini politici delle tendenze progressiste, anche se tra loro divergenti su alcuni postulati. Sono pochissimi, purtroppo, i filosofi della pace e la filosofia della pace di Cardone ha una dimensione planetaria, ancora poco conosciuta. La città di Palmi ricorda Cardone, oltre che con questo monumento, con la targa posta sulla facciata della sua abitazione, oggi rinnovata, con la intitolazione di un tratto della via, già via Cesare Battisti, con il busto in bronzo collocato nella Villa Comunale e altro busto collocato nell’atrio del nuovo Palazzo di Giustizia. Il debito della Città verso il Filosofo della Pace L’Associazione e il Progetto di Casa per la Pace “D. A. Cardone” A quasi ventisei anni dalla morte del nostro Filosofo, grande rimane il debito della Città nei suoi confronti. Dopo il 2002, in seguito alle iniziative per il Centenario della nascita del nostro Filosofo, si è costituita un’associazione col suo nome, con lo scopo di promuovere la cultura della pace e della nonviolenza, raccogliendo l’eredità del pensiero e dell’opera del Filosofo. Dagli studi e dalle iniziative dell’Associazione è nato un Progetto di Casa per la Pace intitolata al Filosofo, da realizzare in collaborazione con l’Amministrazione Comunale. Questo Progetto venne accolto inizialmente dall’ Amministrazione Comunale guidata dal Sindaco Parisi, che destinava un terreno di proprietà comunale, ma fu poi vanificato dall’ Amministrazione Comunale guidata dal Sindaco Gaudio. Ora quel Progetto rimane in deposito negli uffici del Comune. Palmi è una città grande e amara, come la Calabria di Répaci. Palmi da una parte vuole ricordare i suoi figli più illustri dopo la loro morte con i monumenti, ma dall’altra ne tradisce il pensiero e l’opera. Ricordiamo cosa scrisse Cardone sul suo rapporto con Palmi nella Prefazione citata: In questo paese, sempre risorgente, pigramente dalle macerie dei suoi terremoti, io son vissuto dalla nascita con un rapporto non direi proprio di amore-odio, ma di affetto-dispetto, le cui motivazioni possono vedersi riflesse in quelle “Memorie” che ho ricordato all’inizio. Il Diavolo della leggenda è ancora all’opera. Il panorama fisico che ammiriamo da questa cima mostra i segni della violenza della natura e degli uomini. Il Diavolo della leggenda vaga ancora in questa Città. “Che cosa è oggi la città per noi?”, si chiede Italo Calvino nel suo Le città invisibili. “… e Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili”. La filosofia di Cardone fu una “filosofia profetica”. Cardone è morto fisicamente, ma il suo pensiero è ancora vivo. Questa visita è stata occasione per ricordarlo, coltivandone la memoria, con la speranza che il Progetto della Casa per la Pace “D. A. Cardone” possa essere realizzato. Il modo migliore di concludere questa lettera è di riportare un pensiero emblematico tratto da un suo scritto sul destino del filosofo: … fuori da ogni ottimismo o pessimismo, l’utopia è la nostra vera realtà permanente. Palmi, 17 agosto 2012 Raffaello Saffioti rsaffi@libero.it
LETTERA AL TURISTA IL SANTO IL DIAVOLO E IL FILOSOFO-POETA
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Testo tratto daDomenico Antonio Cardone CANTI E RACCONTI DEL SANT’ELIA, Antonio Lalli Editore Poggibonsi, 1976 PREFAZIONEIl viaggiatore che percorra l'Italia meridionale dal Nord al Sud in uno di quei treni che partono dalla Capitale di notte, aprendo, la mattina dopo, gli occhi appesantiti da un agitato sonno, vede da un lato ergersi alte, verdi montagne infioccate alle cime dal sole nascente e, dall'altro, l'azzurro calmo e caldo di quel mare che da Tirreno sta per diventare Mediterraneo. Ad un certo punto, a mezza costa di un piccolo monte che pare sbarri il passo alla corsa del convoglio con la sua vecchia testa leonina, vede adagiarsi un grosso paese che gode dei favori della collina e del mare e il benefico disagio della lontananza dalle grandi vie del traffico ominidico. Ulivi, aranci, viti ed infeconde palme festeggiano la pace contemplativa del solcato mare, su cui in lontananza sonnecchiano due vulcani e sorride tra i ricordi delle sue apocalittiche rovine la sempre risorgente Messina. Così iniziano le "Memorie di un ominide '900" di un Anonimo calabrese che io ho presentato al pubblico in edizione completa nel 1972 (1). Il monte dalla testa leonina è il Sant'Elia, circonfuso da una leggenda di Santi e di Demoni, che io ho cercato di ricordare poeticamente così: La Leggenda del monte S. Elia (2) Bioccoli di neve galoppano verso il vertice l'avvolgono per conservarlo segreto all'agonia del tempo E intanto le rocce abbrunite cantano nenie sommesse ai cadaveri d'umili fiori Un giorno fu grande tripudio di demoni estrosi ambigui com' uomini Tentavano salti acrobatici su su verso il cielo giocavano gincane tra i pini 1) Cosenza, Pellegrini. 2) In "ritmi astrali", Roma, 1971. e le gole scavate sonore nei fianchi di pietra I vortici attiravano seduzioni antiche di vergini nude di rapine e di stragi Sul carro di fuoco partì da candidi continenti Elia liberatore Cometa iridescente arava cieli turchini con vomere ardente valicava gromme stellari squarciava oceani di nubi mostruose Piombò sul regno dei Demoni spinse a calci impetuosi le folli legioni allo strapiombo con impeto nuovo le mandò alte sul mare fino al ventre beante di Stromboli Il monte si fece santuario Le macerie dei secoli s'accumularono rugginose Il segno del grande brucìo restò sulle rocce scavate con bordi anneriti Ma nel cuore degli uomini il segno dell'antica tregenda bruciò sempre vivo Nei vortici nuovi efebi drogati tralucevano parricidi danzavano oneste signore mimavano prostitute pigmei costruivano giganti d'acciaio nuovi veicoli di fuoco solcavano i cieli sbreccavano gli astri per nuove imprese del Nulla Il paese che contempla immobile e tragico, da millenni, i due vulcani, Etna e Stromboli, è uno della Costa Viola, cui ho dedicato pure la seguente. Ballata del vulcani (1) Due vulcani ed un paese un paese dirimpetto un paese su una tolda navigante sul Tirreno senza mai staccarsi mai dalla terra verde e viola Un paese e due vulcani Uno a destra come bocca di un gigante emergente su dal mare per tentare invano invano di baciare il cielo azzurro L'altro a manca turgido e bianco come seno di virago che si aderge sulle coltri delle oscure alte montagne per cercare invano invano di tentare il cielo azzurro Due vulcani ed un paese Due vulcani stanchi ormai dell'inutile fatica s'innamorano l'un l'altro si commuovono nel fondo voglion'ora superare il distacco di quel mare Lo sommuovono lo incendiano vi aprono voragini di buio negli azzurri E vi attirano il paese Si distacca lentamente dalla terra la sua tolda Or la rotta ha la sua mèta (1) In "Ritmi del silenzio", Firenze, 1970. S'avvicina sobbalzando il paese ai due vulcani Si sacrifica all'amore con le palme con gli ulivi con i suoi aranceti in fiore e le sue coppie di amanti coi suoi canti e i suoi dolori In questo paese, sempre risorgente, pigramente, dalle macerie dei suoi terremoti, io son vissuto dalla nascita con un rapporto non direi proprio di amore-odio, ma di affetto-dispetto, le cui motivazioni possono vedersi riflesse in quelle "Memorie" che ho ricordato all'inizio. Quando ho avuto la possibilità di muovermi da solo nel mondo, ho spesso lasciato il paese, felice di conoscere altre terre, altre città, nelle grandi attratto più dalle opere d'arte che conservano, nelle piccole, forse, dalla somiglianza trasfigurata con quel mio paese. La riviera ligure mi ha ricordato le rocce strapiombanti sul mare della Costa viola, il lago di Lugano quell'arco racchiuso tra l'Arcudace e Scilla, ove pare che il Tirreno si faccia appunto un lago montano. E così son ritornato sempre, con un'ansia nostalgica, respingendo ogni seduzione di prestigio, all'ombra del Sant'Elia, laddove maturò la mia giovinezza e sta indurendo la mia vecchiezza. Qui la mia esperienza si è fatta a contatto di esistenze emarginate, di esistenze variamente tormentate, o da troppo sentimento o da troppo desiderio: figure che trascendono il "colore locale" per acquistare una sorta di universalità. Si è fatta in quella lunga meditazione sui “massimi problemi" che in Calabria ha una tradizione secolare dall'epoca magnogreca, sulle delusioni di ogni più audace sogno di palingenesi del mondo. Qualcosa di tutto ciò ho voluto cantare e raccontare, nella pace del mio tramonto, così come un avo antico, sulla soglia di casa, al declinare del sole, racconta ai suoi nipoti le fiabe della sua giovinezza, intercalando ogni tanto un canto con una voce tremula che fa ridere i più piccini. D. A. Cardone Luned́ 20 Agosto,2012 Ore: 06:47 |