Verso il 2 ottobre Giornata internazionale della nonviolenza
L’AVVOCATO GANDHI DIFENSORE DEI DIRITTI UMANI

di Raffaello Saffioti

LA NOVITA’ DI QUEST’ANNIVERSARIO: PRIMA E DOPO IL 2 OTTOBRE


Il 2 ottobre, giorno della nascita di Gandhi centoquarantuno anni fa e Giornata internazionale della nonviolenza, quest’anno presenta una novità: gli ultimi mesi dell’anno sono segnati da date ed eventi significativi, da collegare con il 2 ottobre.
1) Prima del 2 ottobre. Il 21 settembre avviene la celebrazione della “Giornata Internazionale dell’Onu per la Pace”. In questa occasione  viene presentato l’ “Anno della Marcia Perugia-Assisi: 21 settembre 2010-25 settembre 2011”.
2) Dopo il 2 ottobre. Il 9 ottobre a Genova avrà luogo il Convegno internazionale per la chiusura del Decennio 2001-2010, proclamato dall’Onu “Decennio internazionale per la promozione di una cultura della pace e della nonviolenza per i bambini del mondo”.
3) Il 7 novembre ricorre il centenario della morte di Lev TOLSTOJ.
Ci sono vari modi di commemorare l’anniversario della nascita di Gandhi, ma tutti dovrebbero servire a collegare i vari eventi per promuovere la cultura della nonviolenza. L’anniversario è occasione per riflettere sul cammino della nonviolenza moderna, interrogandosi sul che fare per valorizzare Gandhi, evitando la retorica, la ritualità e i luoghi comuni.
Avendo avuto la fortuna di collaborare per molti anni con Danilo Dolci, soprattutto a Palmi e in Calabria, ho imparato a ricercare come valorizzare Gandhi.
“Ma un aspetto del suo enorme contributo al risanamento e alla crescita della vita del mondo credo sia particolarmente necessario scoprirlo e valorizzarlo (parlo soprattutto dell’Occidente, che conosco meglio) nella fondamentale importanza che ha attribuito al saper apprendere a fare esperienza, soprattutto ove più urgente si evidenziano, o stanno per evidenziarsi (forse anche in Oriente), i danni della modernità.
Può esistere un’empiria chiusa, o più illuminata; l’esperienza può pervenire a vari livelli di ricerca illuminante, con l’ipotesi da verificare, inventando anche i metodi opportuni, riguardando un futuro alternativo.
Non vi è coscienza senza l’esperienza; non vi è esperienza senza la coscienza”.
(Danilo Dolci, La comunicazione di massa non esiste, Piero Lacaita Editore, 1995, pp. 63-64)
Quell’aspetto di Gandhi a Dolci sembrava “ancora troppo poco considerato”, come ci disse in un seminario nazionale a Saint Nicolas (Aosta) nel 1994.
Il tema “esperienza” è ricorrente nella ricerca-azione di Dolci: ci veniva proposto frequentemente nei seminari da lui organizzati e risulta anche dai titoli di alcune sue opere.
L’AVVOCATO GANDHI
 
Riprendo ora una parte dell’esperienza di Gandhi, quella della sua professione di avvocato in Sud Africa. Consideriamo una parte della sua vita, prima dei quarant’anni, non molto nota, che serve per comprendere meglio il suo pensiero e la sua opera.
Gandhi frequentò l’Università di Londra, dove si era iscritto nel 1888, e dopo tre anni si laureò in giurisprudenza, ottenendo l’abilitazione alla professione legale e fu iscritto all’albo degli avvocati il 10 giugno 1891.
“Farsi iscrivere all’albo degli avvocati era facile, ma era difficile esercitare; avevo studiato legge, ma non avevo imparato a praticarla, avevo letto con interesse Le Massime legali ma non sapevo come applicarle alla mia professione. Una di esse era Sic utere tuo ut alienum non laedas (usate della vostra proprietà in modo da non danneggiare quella altrui), ma io ignoravo come si potesse applicare questa massima a vantaggio dei propri clienti. Avevo letto i casi più salienti, ma non mi erano serviti di guida per la sua applicazione nell’esercizio della legge” (Gandhi, La mia vita per la libertà, Grandi Tascabili Economici Newton, !988, pp. 85-86).
Dopo la laurea, nel 1891 Gandhi ritornò in India e praticò la professione forense con l’idea che per diventare un buon avvocato bastassero “l’onestà e la voglia di lavorare”. Nel 1893 partì per il Sud Africa dove fu profondamente colpito dalla condizione dei suoi connazionali, vittime della segregazione razziale. La permanenza in Sud Africa doveva essere breve, ma durerà molti anni. Diviene l’avvocato difensore dei diritti umani degli immigrati indiani e, col tempo, viene riconosciuto anche leader del loro movimento di protesta contro la politica discriminatoria delle autorità del Natal. E’ l’indignazione per le discriminazioni razziali a spingere l’avvocato Gandhi verso la lotta politica, con la sperimentazione delle prime forme di protesta. E’ nel 1894 che fonda il Natal Indian Congress, un’associazione per la difesa degli interessi indiani nell’unione Sudafricana. E’ nel 1904 che Gandhi abbandona la sua attività professionale per dedicarsi completamente alla causa dei suoi connazionali.
Gandhi scrisse:
“RICORDI DEL TRIBUNALE”
 
“Prima di cominciare a raccontare il corso che prese la mia vita in India, mi sembra necessario ricordare alcune mie esperienze sudafricane, che ho tralasciato di proposito.
Alcuni miei amici avvocati mi hanno chiesto di scrivere i miei ricordi del tribunale: sono così tanti, che se dovessi descriverli tutti, riempirebbero da soli un intero volume e mi fuorvierebbero dal mio scopo principale. Tuttavia potrà essere utile ricordare qualche episodio che concerne l’abitudine di rispettare la verità.
Mi pare di aver già detto che nella mia professione non son mai ricorso alla menzogna e che gran parte della mia attività legale la svolsi nell’interesse della comunità; perciò mettevo in parcella soltanto le spese vive e anche queste talvolta le pagavo di tasca mia. Credevo con ciò di avere detto tutto l’essenziale della mia attività di legale. Ma gli amici vogliono che faccia di più, sostengono che il mio racconto, sia pure per sommi capi, degli episodi in cui rifiutai di deviare dalla verità possa giovare alla professione forense.
Quand’ero studente avevo sentito dire che il mestiere dell’avvocato è il mestiere del bugiardo, ma non mi lasciai influenzare, dato che non intendevo procacciarmi né denaro né onori con la menzogna.
Questo principio venne messo alla prova spessissimo in Sud Africa, molte volte venni a sapere che i miei avversari avevano istruito i loro testimoni e se anch’io avessi incoraggiato il mio cliente o i suoi testimoni a mentire, avremmo vinto la causa, ma ho sempre resistito alla tentazione. Mi ricordo solo di una volta quando, avendo vinto la causa, mi venne il sospetto che il mio cliente mi avesse ingannato: in fondo al cuore speravo sempre di vincere solo se la causa del mio cliente era giusta. Non ricordo di avere mai condizionato le mie parcelle alla vincita delle cause; non volevo né più e né meno delle mie competenze, che il mio cliente vincesse o perdesse la causa.
Avvisavo subito ogni mio nuovo cliente di non chiedermi di patrocinare cause truccate o di istruire i testimoni, col risultato che mi feci una reputazione tale per cui non mi venivano proposte cause poco pulite.
Anzi qualche mio cliente affidava a me le cause pulite e ad altri quelle di natura dubbia”.
“I CLIENTI DIVENTANO COLLABORATORI”
 
“Fu inoltre mia abitudine, nel corso della mia attività professionale, non nascondere mai la mia ignoranza ai clienti o ai colleghi. Quando ero seriamente perplesso, consigliavo al cliente di rivolgersi ad un altro avvocato o, se preferiva continuare ad avvalersi dei miei servigi, gli chiedevo di permettermi di ricorrere all’assistenza di un avvocato difensore anziano; la mia sincerità mi guadagnò l’affetto e la stima dei miei clienti che erano sempre disposti a pagare l’onorario quando si rendeva necessaria una consultazione con un avvocato difensore anziano. Questo affetto e questa fiducia mi furono di grande aiuto nel mio lavoro.
Nei capitoli precedenti ho detto che lo scopo del lavoro da me svolto in Sud Africa era il servizio della comunità, ma condizione indispensabile, anche per arrivare a questo fine, era riuscire a guadagnarsi la fiducia delle persone. I generosi indiani esaltavano come favori speciali le prestazioni professionali eseguite a fine di lucro e quando consigliai loro di sopportare le durezze del carcere per salvaguardare i loro diritti, molti accettarono di buon grado il consiglio, non tanto perché si erano convinti della giustezza della causa, ma grazie alla fiducia e all’affetto che avevano per me.
Mentre scrivo, molti dolci ricordi mi tornano in mente, centinaia di clienti che mi divennero amici e collaborarono con me nell’opera sociale che avevo intrapresa e la cui vicinanza alleviò una vita peraltro irta di difficoltà e di pericoli” (Gandhi, La mia vita per la libertà, cit., pp. 325-326, 329, 330).
UNA ESPERIENZA PERSONALE
 
Riporto due interrogativi di Gandhi, tra altri, formulati da Dolci:
“Come posso imparare ad ampliare la mia esperienza?”
“Si può fare esperienza senza ipotesi, senza la prova e senza il meditare?”
(in La comunicazione di massa non esiste, cit., p. 171)
Nel mio impegno personale per promuovere la cultura della nonviolenza mi trovo spesso a fare ricorso alla mia personale esperienza della collaborazione con Dolci.
Un momento forte è stato l’incontro di Dolci con una mia classe, la III A, dell’Istituto Magistrale “Corrado Alvaro” di Palmi, il 24 aprile del 1987, da lui documentato, in Dal trasmettere al comunicare, nel capitolo “Così il sistema si giustifica” (Edizioni Sonda, 1988, pp. 103-107). In quell’incontro Dolci descrisse, rappresentandolo alla lavagna, il “sistema clientelare-mafioso”. 
Forte della sua esperienza derivante anche dai frequenti viaggi all’estero, egli fu il primo a scoprire fin dagli anni Sessanta “il sistema clientelare-mafioso”, esistente con nomi diversi in vari paesi del mondo.
La mia esperienza più recente mi ha portato, approfondendo l’analisi dolciana, a scoprire l’esistenza, non solo nella mia città e nella mia regione, della cosiddetta “zona grigia”.
Il libro di Primo Levi, I sommersi e i salvati (Einaudi, 1986) mi ha molto aiutato nella conoscenza del funzionamento del “sistema clientelare-mafioso”. “La zona grigia” è il titolo del capitolo più importante del libro di Levi, come disse egli stesso.
Una breve citazione:
“Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri o lo incoraggi. Limitiamoci al Lager, che però (anche nella sua versione sovietica) può ben servire da ‘laboratorio’: la classe ibrida dei prigionieri-funzionari ne costituisce l’ossatura, ed insieme il lineamento più inquietante. E’ una zona grigia dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna terribilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per confondere il nostro bisogno di giudicare.
… Questo modo di agire è noto alle associazioni criminali di tutti tempi e luoghi, è praticato da sempre dalla mafia, e tra l’altro è il solo che spieghi gli eccessi, altrimenti indecifrabili, del terrorismo italiano degli anni ‘70” (pp. 29, 30).
Chi fa parte della zona grigia?
E’ dalla zona grigia che tutte le mafie traggono la loro forza ed è in essa che si trovano collusioni, connivenze e complicità di ogni genere.
Da tempo mi vado chiedendo quale ruolo svolga oggi nel nostro Paese la categoria professionale degli avvocati e quale presenza abbia nella zona grigia. Se consideriamo la presenza degli avvocati in Parlamento, a quali principi obbediscono nel processo di formazione delle leggi?
Mi chiedo anche se e in che misura la cultura della nonviolenza faccia parte della loro cultura. Quanti sono gli avvocati che si possono dire amici della nonviolenza?
Possiamo proporre loro l’esempio dell’avvocato Gandhi?
Nel tempo che viviamo ci sarebbe un grande bisogno di avvocati capaci di essere difensori dei diritti umani, di tutti gli esseri umani.
Palmi, 21 settembre 2010
Raffaello Saffioti
 
rsaffi@libero.it


Lunedì 27 Settembre,2010 Ore: 14:38