Caro direttore, sono gay.

di Stefano Bolognini da Pride il mensile gay italiano di settembre 2004

CLAUDIO RISE’ - il nuovo psicoterapeuta che dispensa fobie e luoghi comuni


“Caro direttore / Gentile esperto, sono gay e...”.


Più o meno così decine di omosessuali affidano i loro problemi, sentimentali o di altro genere, alla rubrica lettere delle più disparate testate giornalistiche. Le risposte non sempre sono all’altezza delle aspettative. Al contrario...
"Non sempre l’omosessualità, o per lo meno l’episodio omosessuale, ha una natura essenzialmente patologica e distruttiva". Così risponde Claudio Risé (http://www.claudio-rise.it/), psicoanalista, scrittore e docente universitario di polemologia (la disciplina che studia le guerre...), a una intervista di "Studi cattolici" (http://www.claudio-rise.it/figli/studi.htm). Voi gli chiedereste consigli sull’omosessualità?
Eppure più volte questo psicanalista ha cercato di chiarire i dubbi degli omosessuali nella sua rubrica su “Io donna”. è accaduto, ad esempio, il 3 luglio scorso, quando un ventitreenne a cui piacciono “molto” le donne gli ha scritto che ultimamente concentra la sua attenzione: “sugli uomini. Li osservo per strada e sui giornali, tento di capire se gli amici suscitano in me un interesse diverso. Ma non sono riuscito a risolvere nulla e i miei dubbi non sono svaniti... Ho paura di diventare gay”.
Risé lo liquida con: “Non è stata ancora trovata alcuna prova dell’origine genetica dell’omosessualità. In compenso abbiamo abbondanti dimostrazioni – come la sua lettera – dell’origine mediatica di molte nevrosi relative all’orientamento sessuale”.
Una nevrosi di origine mediatica? Buona questa, visto che la maggior associazione di psichiatri americani non considera l’omosessualità nevrosi dal 1972.
Ma non è la prima volta che Risé si è sbizzarrito, nel corso della sua collaborazione con la rivista.
Nel gennaio 2003 il docente universitario rispondeva, sulla stessa rivista, ad un padre di famiglia attratto, “turbato” e invaghito dal figlio dei vicini di casa: “Meglio dunque lasciare questo adolescente ai suoi sorrisi e ai suoi saluti gentili”, perché “l’adolescente non ha nulla a che vedere con le sue fantasie” ma l’uomo deve abituarsi alla “vecchiaia e alle sue trasformazioni”. Senza “ascoltare il fanciullo interiore, ci viene più facile fantasticare su quello esteriore che troviamo sulle scale di casa”. Chiaro no? Peccato che l’uomo chiedeva solo se rivolgere al ragazzo la parola...
Sono molti altri gli interventi omofobi di Risé ma li tralasciamo per non annoiare il lettore. Ci basta una sua presa di posizione del 30 agosto 2003, sempre sulla rivista femminile, nel quale ha sostenuto, rispondendo a due padri con dubbi sull’educazione dei propri figli maschi, che “La battaglia contro il maschio più sostanziale è quella però condotta con iniziative politiche tese a rendere socialmente irrilevante il matrimonio tra uomo e donna... Più che dall’immaginario, i politici, uomini e donne, impegnati nella defenestrazione del maschio padre, sembrano influenzati dai voti di gruppi in crescita come single, gay e altri”.
Un omosessuale che scrive a Risé oggi è, metaforicamente, come un ebreo che durante il nazismo si fosse rivolto a Hitler. Gli chiederete ancora consiglio?
Non ci convince del tutto nemmeno lo psichiatra Paolo Crepet (http://www.paolocrepet.it/) che su “Specchio” del 7 giugno 2003 dice, a un giovane insicuro rispetto alla propria identità sessuale (ma che appare chiaramente gay da ciò che scrive): “L’identità sessuale è per definizione il baricentro della crescita... ammettere di avere ’qualche problema’ significa semplicemente ammettere che si sta vivendo... Viviamo in comunità dove nessuno conosce nessuno... Ho paura che tu – come tanti della tua età – sia un naufrago, e che noi adulti siamo tutti in qualche modo naufragati”. Mah. Comunque Crepet parla di omosessualità con più equilibrio di Risé, e sulla stessa rivista, il 26 aprile 2003, dice a un 27enne gay che si lamenta di una stroria d’amore finita male: “L’amore non si può pretendere”.
E ancora, qualche tempo dopo, alla nonna di un bambino di quattro anni preoccupata perché lo stesso chiede una bambola dice: “Lasciatelo giocare con le bambole”, in una risposta di rara apertura verso la diversità.
Tutto bene, quindi? Macché.
Daniela Bavestrello, psicoterapeuta che si occupa di tematiche giovanili, su un vecchio numero di “Donna moderna” del 1998 alla richiesta di Luca, un sedicenne, che avrebbe voluto conoscere un omosessuale per chiarire i dubbi sulla propria identità sessuale consiglia: “Non credo che per avere certezze sulle tue inclinazioni sessuali tu debba seguire questa via... Prima di tutto, vai alla scoperta della tua capacità di provare emozioni. Poi datti da fare per incontrare ragazzi e ragazze e cercare di capire chi fra loro ti interessa... se però ti rendi conto di non riuscire a impostare un rapporto con gli altri... una chiacchierata con uno psicoterapeuta ti potrebbe fare molto bene”. Ma la psicoterapeuta scelta da Luca per chiacchierare di omosessualità non era la Bavestrello?
Poco chiaro è anche Giorgio Abraham, che tiene una rubrica su "Io donna". Ad una diciottenne che si sente lesbica, il 6 dicembre 2003, consigliava di non far dipendere la sua felicità solo dalla persona che ama... E recentemente, il 21 agosto scorso, attribuiva la fantasia di un sessantenne, sposato felicemente con prole, che vorrebbe soddisfare uno sconosciuto con un rapporto orale, al... calo di desiderio della moglie. Da qui la voglia di procurare piacere a un altro uomo. Psicofantasie...
Brava, al contrario, Shere Hite, sessuologa, che su "Io donna" del 15 giugno 2002 invita due ragazze che provano attrazione fisica l’una per l’altra a non soffocare o negare ciò che sentono. Ma era così difficile?
Ottima, ancora, Silvia Vegetti Finzi, docente di psicologia dinamica dell’Università di Pavia, che alla madre che scopre l’omosessualità del figlio dice: “L’omosessualità non è né una malattia né una colpa... accettarla negli altri significa accettare una parte di noi... può darsi che lo attenda una vita faticosa e difficile; sarà comunque la sua”.
Non solo psicoterapeuti e affini ricevono lettere da omosessuali. Una ricca messe di celebri opinionisti ci risponde quasi quotidianamente. Tra i tanti è degno di nota il caso di Barbara Palombelli, che tiene una rubrica su "Io donna". A una coppia di uomini felici, che le raccontano la loro storia dice, l’1 febbraio 2003: "Succede sempre più spesso che i sessi si attraggano fra loro... Mentre impazziscono i rapporti di coppia tradizionali, ci
si rilassa con i propri simili... Trent’anni, e si sta tornando indietro, con le varianti ammesse dalla liberazione e dal consumismo dei sentimenti".
Qualche tempo prima, nel dicembre 2002, la giornalista, a un diciassettenne gay che lamentava lo spazio "nullo" nel programma politico dell’Ulivo per la lotta contro l’intolleranza ai gay sosteneva ’sinistramente’: "E non ti viene il dubbio che ormai non ci sia più tanto bisogno di quelle battaglie?... Ma se sapessi come stavano le cose trent’anni fa... Allora si che l’omosessualità era un dramma, una vergogna, un incubo per le famiglie e la società". Oggi no? Curioso poi, il fatto che il 24 marzo 2000 Palombelli pubblicava su il "Corriere della sera", tra le lettere, un appello di un gruppo di transessuali a sostegno di una legge contro la discriminazione delle persone glbt. E due anni prima di rispondere al diciassettenne commentava: "Ho aderito a questa battaglia perché sono convinta da sempre che vada allargato lo spazio delle cittadinanze". Probabilmente per la Palombelli, in due anni, lo spazio delle nostre cittadinanze si è allargato abbastanza.
Ci è piaciuta, al contrario, Barbara Alberti, scrittrice, su "Anna" del novembre 2002, che a una madre che le espone le peripezie del figlio prima gay, poi eterosessuale ed infine bisessuale dice: "Chi ha bisogno dello psicologo sei tu... Da troppi anni hai abdicato alla tua vita affettiva per occuparti di quella di tuo figlio".
Anche Isabella Bossi Fedrigotti, scrittrice e collaboratrice del "Corriere della Sera", su "Sette", nel primo semestre del 2002, ha invitato innumerevoli omosessuali che le scrivevano a dichiararsi ai genitori. Il tono delle sue risposte era questo (siamo al 14 aprile 2002): "E se dapprincipio [i genitori] reagiscono male non è tanto per la storia dei nipotini negati quanto perché pensano alla vita difficile, alle emarginazioni che possono toccare ai loro figli".
Un articolo a parte meriterebbe infine Natalia Aspesi che da anni, quasi ogni settimana, pubblica una lettera gay nella rubrica "Questioni di cuore" de "Il Venerdì di Repubblica". La Aspesi è diventata, a suon di risposte che esprimono complicità profonda per la diversità, un’icona per i gay italiani.
Bastino, tra le tante, queste righe scritte il 31 marzo 2000 a una lettrice che lamenta il troppo spazio dato ai gay nella sua rubrica: "Circa un terzo delle lettere che ricevo è scritto da omosessuali, ma questa non è la sola ragione per cui quasi sempre una delle tre lettere della rubrica è di argomento omosessuale. Nel corso degli anni queste lettere sono cambiate, sempre meno parlano di esclusione e autorifiuto, sempre più di problemi personali... vuol dire che la società è cambiata e che sta cambiando l’immagine che gli omosessuali hanno di sé e gli altri di loro. è giusto che se ne rendano conto tutti".
Alcuni, come Risé, non se ne sono accorti, molti altri, fortunatamente sì, ma ci rimane un dubbio: come mai, tranne che nelle riviste gay e in rari casi, a rispondere a un omosessuale non è mai un omosessuale?


VEDRO’ di rispondere a questo epigono d’oggi della psicoanalisi "more catholico demonstrata" : Ratzinger darebbe il premio del S.Uffizio a questi novelli inquisitori della mente, degli affetti e del sesso.
Non c’è limite al peggio! ...Pejus non datur...!
G.F.M.



Lunedì, 08 novembre 2004