La Musica Sacra
Parte Seconda
di Marco Mustardino
Il canto Gregoriano, nel corso di vari secoli, si sviluppa soprattutto nell’ambito della polifonia (composizioni a più voci). Nel IX secolo si hanno solo testimonianze di composizioni a due voci (vox organalis e vox principalis, che si forma su un Gregoriano già esistente) che procedono parallelamente, nota contro nota (Contrappunto). Solo intorno l’anno 1000 viene introdotto il movimento obliquo e successivamente quello contrario, che daranno sempre maggior indipendenza alle singole voci. Questi passaggi segnano definitivamente l’assorbimento della Musica Sacra nei procedimenti compositivi della musica dotta: come tale sarà affidata esclusivamente ad esperti (compositori ed esecutori), in genere nelle università, nelle cattedrali e nei monasteri. Ne è un esempio la Scuola di Notre-Dame di Parigi che prende avvio verso il 1150 con un compositore, il primo nella storia ad essere definito tale, di nome Leonine ed il suo successore Perotine, il quale scrisse canti anche per tre e quattro voci (Triplum e Quadriplum). Nasce in questo contesto il mottetto, canto a più voci con diversi testi e spesso diverse lingue, in genere latino e francese: gli argomenti trattati sono di tipo mariano, ma verso il ‘200 si introducono anche testi di carattere profano. Lo scopo dei mottetti diventerà presto di divertire i cantori; nonostante questo, il loro successo fu enorme: se ne scrissero fino al 1600 circa. Sempre in Francia, tra il 1150 ed il 1200, si diffondono altre due forme di canto: il conductus, composizione nel quale i testi sono tutti originali e non tratti dal repertorio gregoriano, e l’hoquetus (“singhiozzo”), che alterna in tutte le voci note e pause. DALL’ARS NOVA AI FIAMMINGHI. – Il termine Ars nova si trova nel 1220 circa nel trattato Ars nova musicae di Philippe de Vitry, teorico e docente dell’Università di Parigi, ed indica tutta la nuova pratica musicale contrapposta all’Ars antiqua (fino alla fine del 1200). Tra le principali novità introdotte va segnalata la Messa polifonica. Si hanno una maggior ricerca ritmica e movimenti delle parti di alta complessità: Guillame de Machault, il maggior compositore francese del XIV secolo, compone la Messa di Notre-Dame, la prima Messa polifonica scritta interamente da un unico autore, utilizzando tutte le tecniche e le teorie conosciute, compreso il tempo binario (considerato il Diavolo in musica perché si contrapponeva a quello ternario legato al concetto della Trinità), usato nel Credo. In questo clima di continuo cambiamento, l’autorità papale, nella persona di Giovanni XXII, ritiene di intervenire; con la Bolla Docta Sanctorum Patrum, del 1324-25, si approva la composizione di canti polifonici, ma si stigmatizza l’abbandono e la deformazione dei temi gregoriani, il gioco dell’hoquetus e dei tempi binari: questa presa di posizione si può spiegare come un richiamo a mantenere integra la concezione del canto liturgico, diffidando del normale ed ormai veloce sviluppo della musica. La cultura del ‘400 rappresenta una radicale svolta: l’arte, fino ad ora sottomessa alla religiosità, è concepita come divertimento, occasione di ritrovo anche al di fuori delle parrocchie. Questo è dimostrato dalla nascita di molti mecenati che attirano presso le loro corti i migliori compositori e gli interpreti più in voga. Lo sviluppo di generi di libera invenzione con testi profani (esempio il madrigale, la ballata, la caccia, le frottole, le villanelle), poi, crea ulteriori problemi: la Musica Sacra conosce, quindi, un periodo in cui non vengono cambiati i dati della situazione in modo importante. Solo i compositori “Fiamminghi”, di provenienza francese (Borgogna), olandese e belga, riescono a mantenere viva la tradizione musicale della Chiesa. Vengono modificate, temporaneamente, le caratteristiche del mottetto, che diventa rigorosamente in latino e con tematiche prettamente sacre e/o celebrative. Di maggior interessante, invece, è lo sviluppo della Messa polifonica: nelle centinaia di esempi che ci sono pervenuti si evidenzia un impiego molto concentrato e complesso del contrappunto e di frammenti gregoriani, che si articolano spesso su una tecnica musicale, il Canone, di cui i Fiamminghi sono stati grandi esperti. LA RIFORMA PROTESTANTE E L’ETA’ BAROCCA. – Nel corso del 1500 la musica è molto influenzata dagli avvenimenti storici. Con la Riforma protestante (31 Ottobre 1517 Lutero rese pubbliche le 95 tesi) si riconosce alla musica un’importante funzione di annuncio, in quanto legata alla Parola divina: da ciò deriva una grande fioritura di nuove opere. Un essenziale contributo viene dal prestigioso repertorio dei corali: Lutero, che ne compose numerosi (così come Walther), sostituisce il Gregoriano, considerato troppo difficile ed arcaico (scritto ancora in latino), con questi nuovi canti, brani più facili scanditi da un andamento melodico abbastanza semplice. Con il Concilio di Trento (1545-63) la Chiesa reagisce confermando in sostanza l’ordinamento rituale ereditato dal basso Medioevo, e facendosi promotore di una minuziosa uniformità liturgica in tutto l’Occidente cattolico. Il concilio tridentino non affronta, però, in modo massiccio il delicato rapporto arte-culto: non viene canonizzato uno stile preciso, ma l’ideale chiesastico purista chiede un contrappunto moderato (privo di aspetti indecorosi), un canto tendenzialmente “a cappella” (senza accompagnamento musicale), eseguito da cori di musicisti “di Chiesa”. Nonostante, però, il continuo controllo da parte dell’autorità ecclesiastica per la chiarezza dei testi, la liturgia, di fatto incomprensibile ai più, muta in una spettacolare alternanza di cori doppi, tripli, formazioni strumentali sempre più vaste (all’organo, unico strumento consentito fino ad allora, si aggiungono i fiati e gli archi). La celebrazione della Messa diventa, quindi, un vero e proprio “concerto” (ricordiamo che contemporaneamente a questi fenomeni nasce e si sviluppa, in ambito non religioso, il melodramma con le prime rappresentazioni teatrali): degna di nota e di ascolto è la “Passione secondo Matteo” di J. S. Bach, autentica dimostrazione del genio e della devozione del compositore tedesco; l’opera, infatti, prevede l’utilizzo di due orchestre distinte, due cori, i solisti ed un coro di voci bianche. L’ILLUMINISMO. – Il secolo dei lumi, nonostante tutte le sue coerenze, appare particolarmente problematico. Convivono, infatti, la sempre più profonda volontà di rinnovare la liturgia (anche in senso musicale), il continuo sviluppo delle “messe in musica”, le proposte di Papa Benedetto XIV, le prospettive sacrali dell’abate musicologo Gerbert e la speranza per una maggior presenza di canzoni “per il popolo”, con l’utilizzo della lingua corrente e l’abolizione del canto gregoriano in forma post-tridentina. Benedetto XIV, timoroso delle condizioni in cui tergiversava la Musica Sacra e ben consapevole delle evoluzioni della pratica musicale, ammette, con la lettera Annus qui del 1749 ed in vista dell’Anno Santo (1750), l’uso degli strumenti dell’epoca (dai fiati agli archi, dal liuto e le tiorbe all’organo), condannando pesantemente abusi teatraleggianti (la linea che separa il sacro dal profano deve sempre essere ben marcata). Nonostante non suggerisca uno stile specifico, il Papa permette l’impiego di strumenti esclusivamente con fini di accompagnamento alle parole, affinché queste ultime possano risaltare e commuovere l’ascoltatore. Nessuna parola, invece, sul canto dell’assemblea parrocchiale, eclissato ormai da tempo da una liturgia a volte fin troppo fastosa. Gli unici esempi di musica per e dei fedeli sono i vespri e gli oratori (genere nato nel XVII secolo in latino e su testi delle Sacre Scritture), che si sviluppò in lingua corrente ed utilizzando temi legati alla vita dei santi ed alla conversione dei peccati. Una grande operazione restaurativa, quasi pre-romantica, appare, invece, l’opera dell’abate-principe Gerbert sul finir del secolo. Si ritorna ad elogiare e mitizzare ancora una volta il gregoriano, rifiutando la polifonia sfrenata e l’impiego degli strumenti, fonte di ogni male nelle Chiese. L’ideale di Musica Sacra è il canto a cappella, come quello praticato da sempre nella Cappella Pontificia a Roma. In un panorama più generale dove la musica, nell’arco di vari secoli, diventa sinonimo di bello, di piacere, di arte per eccellenza (capace di toccare i sentimenti e creare emozioni) oltre che di potere e prestigio, la Chiesa non riesce a crearsi un presente musicale particolarmente significativo. Con il nascere di un vasto repertorio strumentale (dal ‘400/‘500 in poi) ed il suo sviluppo (arrivando ai massimi vertici con compositori ed esecutori del Settecento e dell’Ottocento), con l’affermarsi dell’opera in musica (autori italiani in prima linea), con la perdita, infine, di credibilità in seguito alla riforma protestante ed un apparato sociale sempre più libero dal controllo ecclesiastico, la Musica Sacra perde il suo passato primato di unica pratica musicale consentita ed accettata, non riuscendo ad evolversi al passo coi tempi e con i forti sviluppi socio-culturali. [continua] Sabato, 09 novembre 2002 |