Sono stato sulla cima della montagna

di Martin Luther King

[Ringraziamo Fulvio Cesare Manara (per contatti: philosophe0@tin.it) per averci messo a disposizione l’antologia di scritti e discorsi di Martin Luther King da lui curata, Memoria di un volto: Martin Luther King, Dipartimento per l’educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002, che reca traduzioni di discorsi e scritti del grande maestro della nonviolenza.

Il testo seguente é quello dell’intervento tenuto nel Tempio del vescovo Charles J. Mason, a Memphis, Tennessee, il 3 aprile 1968.]


E sapete, se mi trovassi al principio dei tempi, e avessi la possibilità di godere della visione generale e panoramica di tutta la storia umana fino a oggi, e l’Onnipotente mi dicesse: "Martin Luther King, in quale epoca ti piacerebbe vivere?", io con la mente volerei sull’Egitto, e guarderei i figli di Dio compiere il loro meraviglioso tragitto dalle buie carceri dell’Egitto attraverso il Mar Rosso, nel deserto, e avanti verso la terra promessa.

E nonostante la magnificenza della visione, non mi fermerei.

Proseguirei verso la Grecia, e con la mente mi rivolgerei al monte Olimpo.

E vedrei Platone, Aristotele, Socrate, Euripide e Aristofane riuniti intorno al Partenone, e li guarderei passeggiare mentre dibattono gli eterni e grandi problemi della realtà.

Ma non mi fermerei.

Andrei ancora avanti, fino all’epoca della massima fioritura dell’impero romano, e vedrei come si svolgono gli eventi, da un imperatore all’altro, da un condottiero all’altro.

Ma non mi fermerei.

Passerei all’epoca del Rinascimento, per avere un rapido quadro di ciò che quel periodo ha fatto per la vita culturale ed estetica dell’uomo.

Ma non mi fermerei.

Vorrei anche percorrere i luoghi dove ha vissuto l’uomo di cui porto il nome, e osserverei Martin Lutero affiggere le sue novantacinque tesi sul portale del duomo di Wittenberg.

Ma non mi fermerei.

Poi arriverei al 1863, vedrei un presidente titubante di nome Abraham Lincoln arrivare finalmente alla conclusione di dover firmare il Proclama dell’emancipazione.

Ma non mi fermerei.

Tornerei ai primi anni Trenta, e vedrei un uomo lottare per risolvere i problemi provocati dallo stato di bancarotta della nazione, e uscirsene con una eloquente esclamazione: "Non abbiamo da temere nient’altro che la nostra stessa paura".

Ma non mi fermerei.

Cosa strana, mi rivolgerei all’Onnipotente e gli direi: "Se mi permetterai soltanto di vivere qualche anno nella seconda metà del Ventesimo secolo, sarò contento".

* Ebbene, é un’affermazione strana, questa, perché il mondo é tutto sottosopra.

Il paese é malato; la terra é in pena, c’é grande confusione.

E’ un’affermazione strana.

Ma in qualche modo io so che le stelle si possono vedere soltanto se é abbastanza buio.

E in questo periodo del XX secolo io vedo l’azione di Dio.

Nel nostro mondo accade qualcosa; le masse si stanno sollevando; e oggi, dovunque si radunino, che sia a Johannesburg in Sudafrica; a Nairobi in Kenya; ad Accra nel Ghana; a New York; ad Atlanta in Georgia; a Jackson nel Mississippi; o a Memphis nel Tennessee, il grido é sempre uguale: "Vogliamo essere liberi".

E c’é un’altra ragione per cui sono contento di vivere nel nostro tempo: siamo stati costretti ad arrivare a un punto in cui dovremo affrontare i problemi che gli uomini hanno cercato di risolvere lungo tutta la storia.

La sopravvivenza esige che li affrontiamo.

Da anni ormai gli uomini parlano di guerra e di pace; ma ormai non possono più limitarsi a parlarne.

A questo mondo non é più questione di scegliere tra violenza e nonviolenza; si tratta di scegliere: o nonviolenza o nonesistenza.

Ecco a che punto siamo oggi.

E anche nella rivoluzione dei diritti umani, se non si fa qualcosa, e in fretta, per far uscire i popoli di colore del mondo dai loro lunghi anni di povertà, dai lunghi anni in cui sono stati feriti e messi da parte, il mondo intero é destinato alla rovina.

Ebbene, io sono proprio contento che Dio mi abbia concesso di vivere in quest’epoca, di vedere lo svolgersi degli eventi.

E sono contento che mi abbia concesso di essere qui a Memphis.

*

Ricordo, ricordo bene quando i neri si limitavano ad andare in giro, come ha detto tante volte Ralph, grattandosi dove non prudeva e ridendo quando nessuno faceva loro il solletico.

Ma quei tempi sono finiti.

Adesso facciamo sul serio, e siamo determinati a ottenere il posto che ci spetta di diritto nel mondo che Dio ha creato.

E proprio qui sta il punto.

Non abbiamo intrapreso una campagna di protesta negativa, non abbiamo intrapreso discussioni negative con nessuno; diciamo che siamo determinati a essere uomini; siamo determinati a essere popolo.

Diciamo che siamo figli di Dio.

E se siamo figli di Dio, non dobbiamo vivere come siamo costretti a vivere.

E dunque, che cosa significa tutto questo nella grande epoca storica che stiamo vivendo? Significa che dobbiamo restare uniti.

Dobbiamo restare uniti e conservare l’unità.

Sapete, ogni volta che il faraone voleva prolungare il tempo della schiavitù in Egitto, per riuscirci ricorreva al suo espediente prediletto.

Quale era? Faceva in modo che gli schiavi combattessero fra loro.

Ma ogni volta che gli schiavi sono uniti, nella corte del faraone succede qualcosa, e lui non riesce più a tenere schiavi gli schiavi.

Quando gli schiavi si mettono insieme, comincia l’uscita dalla schiavitù.

Allora, conserviamo l’unità.

Non permetteremo ai manganelli di fermarci.

Nel nostro movimento nonviolento siamo maestri nel disarmare le forze di polizia; loro non sanno più che cosa fare.

L’ho visto succedere tante volte.

Mi ricordo a Birmingham, in Alabama, durante quella magnifica lotta, quando tutti i giorni partivamo dalla chiesa battista della sedicesima strada.

Uscivamo dalla chiesa a centinaia, e Bull Connor ordinava di sguinzagliare i cani, e i cani arrivavano.

Ma noi andavamo incontro ai cani cantando: "Non permetterò a nessuno di farmi tornare indietro".

Poi Bull Connor diceva: "Aprite gli idranti".

E, come vi dicevo l’altra sera, Bull Connor non conosceva la storia.

Conosceva una specie di fisica che non so perché non aveva nessun rapporto con la metafisica che conoscevamo noi.

Si trattava del fatto che esiste un genere di fuoco che nessun’acqua riesce a spegnere.

E noi andavamo incontro agli idranti.

Noi conoscevamo l’acqua.

Se eravamo battisti, o appartenevamo a qualche altra confessione cristiana, eravamo stati battezzati per immersione.

Se eravamo metodisti, o di qualche altra confessione, eravamo stati spruzzati: ma in ogni modo, conoscevamo l’acqua.

Non poteva fermarci.

Così, continuavamo a camminare incontro ai cani, e li guardavamo; e andavamo avanti, incontro agli idranti, e li guardavamo.

E non facevamo altro che continuare a cantare: "Sopra la mia testa, nell’aria, vedo la libertà".

E poi ci prendevano e ci mettevano nei cellulari, e a volte ci stavamo pigiati come sardine.

E ci buttavano dentro, e il vecchio Bull diceva: "Portateli via".

Loro lo facevano, e noi salivamo nel cellulare cantando "We Shall Overcome".

E di tanto in tanto finivamo in prigione, e vedevamo i carcerieri guardare attraverso gli spioncini e commuoversi per le nostre preghiere e per le nostre parole e le nostre canzoni.

C’era un potere in questo, al quale Bull Connor non riusciva ad abituarsi, e così abbiamo finito col trasformare Bull [toro] in un vitello, e abbiamo vinto la nostra lotta di Birmingham.

Dobbiamo dedicarci a questa lotta fino alla fine.

Non ci sarebbe tragedia peggiore che fermarsi a questo punto, a Memphis.

Dobbiamo andare fino in fondo.

Quando faremo la nostra marcia, dovete partecipare.

Anche se vuol dire lasciare il lavoro, anche se vuol dire lasciare la scuola, venite lo stesso.

Forse voi non siete in sciopero, ma o andremo sù insieme, o finiremo giù insieme.

Cerchiamo di sviluppare una specie pericolosa di altruismo.

*

Un giorno un uomo andò a trovare Gesù, perché voleva discutere con lui su argomenti riguardanti le questioni fondamentali della vita.

Voleva tendere un trabocchetto a Gesù, e dimostrargli che lui sapeva qualcosa di più di Gesù, per riuscire a confonderlo.

La questione sarebbe potuta senz’altro finire in una disputa filosofica e teologica.

Invece Gesù la fece subito scendere dalle nuvole, e la collocò nella situazione di una curva pericolosa della strada fra Gerusalemme e Gerico.

E si mise a parlare di un uomo che si era imbattuto nei briganti.

Ricorderete che un levita e un sacerdote passarono sull’altro lato della strada: non si fermarono per aiutarlo.

Alla fine, passò un uomo di un’altra razza.

Smontò dalla cavalcatura, e decise di non essere compassionevole per procura.

Si chinò su di lui, invece, gli prestò i primi soccorsi, aiutò quell’uomo nel bisogno.

Gesù conclude dicendo che era lui l’uomo buono, era lui il grande uomo, perché era capace di proiettare l’"io" nel "tu", e di prendersi cura del proprio fratello.

Ebbene, sapete, noi esercitiamo molta immaginazione nel tentativo di stabilire come mai il sacerdote e il levita non si sono fermati.

A volte diciamo che avevano fretta di arrivare a un’assemblea ecclesiale, a un raduno di religiosi, e dovevano affrettarsi verso Gerusalemme per non arrivare in ritardo alla riunione.

In altri casi possiamo ipotizzare che ci fosse una legge religiosa, per cui chi doveva svolgere una cerimonia religiosa non doveva toccare il corpo di un essere umano nelle ventiquattro ore precedenti la cerimonia stessa.

E in qualche caso cominciamo a chiederci se forse per caso non stessero andando a Gerusalemme, o piuttosto a Gerico, per fondare un’Associazione per il perfezionamento della strada di Gerico.

Potrebbe anche darsi.

Magari pensavano che fosse meglio affrontare il problema partendo dalle radici, dalle cause, invece che lasciarsi impantanare in un risultato su scala individuale.

Ma io voglio raccontarvi che cosa mi suggerisce la mia immaginazione.

Potrebbe darsi che quei due uomini abbiano avuto paura.

Vedete, la strada di Gerico é una strada pericolosa.

Ricordo quando sono andato per la prima volta a Gerusalemme, insieme alla signora King.

Avevamo noleggiato una macchina e viaggiavamo da Gerusalemme a Gerico.

E appena arrivammo su quella strada io dissi a mia moglie: "Ora capisco perché Gesù ha scelto questo posto per ambientare la sua parabola".

E’ una strada tutta curve; proprio l’ideale per un agguato.

E’ una strada pericolosa.

All’epoca di Gesù aveva preso il nome di "Passo del sangué.

E allora, capite, può darsi che il sacerdote e il levita abbiano gettato un’occhiata a quell’uomo steso in terra e si siano chiesti se i briganti fossero ancora nei paraggi.

Oppure, magari hanno pensato che l’uomo steso a terra facesse finta; che fingesse di essere stato derubato e ferito, per saltar loro addosso, che volesse attirarli per un assalto veloce e facile.

Ah, sì.

E quindi, la prima domanda che il sacerdote si fa, la prima domanda che il levita si fa, é questa: "Se mi fermo a soccorrere quest’uomo, che cosa mi capiterà?".

Ma poi é passato il buon samaritano, e ha rovesciato la domanda: "Se non mi fermo a soccorrere quest’uomo, che cosa gli succederà?".

Ecco la domanda che avete di fronte stasera.

Non é "se mi fermo a dare una mano agli operai della nettezza urbana, che cosa succederà al mio lavoro?".

Non é "se mi fermo a dare una mano agli operai della nettezza urbana, che cosa ne sarà delle ore che di solito passo nel mio studio di pastore tutti i giorni e tutte le settimane?".

La domanda non é "se mi fermo per soccorrere quest’uomo nel bisogno, che cosa mi accadrà?".

La domanda é: "se non mi fermo per aiutare gli operai della nettezza urbana, che cosa accadrà a loro?".

Questa é la domanda.

Questa sera alziamoci con maggiore disponibilità.

Prendiamo posizione con maggiore determinazione.

E continuiamo ad avanzare in queste giornate di grande potenza, in queste giornate di sfida, per far sì che l’America diventi come dovrebbe essere.

Abbiamo l’occasione di rendere l’America migliore.

E io voglio ringraziare Dio, ancora una volta, per avermi concesso di esser qui con voi.

*

Sapete, parecchi anni fa mi trovavo a New York per firmare le copie del mio primo libro.

E mentre stavo seduto tutto preso da dediche e autografi, si avvicinò una donna nera, un’alienata.

L’unica cosa che le sentii dire fu: "E’ lei Martin Luther King?".

Io guardavo in basso, perché stavo scrivendo, e risposi: "Sì".

E un attimo dopo sentii qualcosa che mi dava un colpo sul petto.

Prima che me ne rendessi conto, quella donna pazza mi aveva pugnalato.

Mi portarono di corsa allo Harlem Hospital.

Era un sabato pomeriggio, era già buio.

La lama era andata in profondità, e dalla radiografia si vide che la punta sfiorava l’aorta, l’arteria principale.

Se ti perforano l’aorta, anneghi nel tuo stesso sangue; sei finito.

La mattina dopo, sul "New York Times" scrissero che se avessi anche solo starnutito, sarei morto.

Ebbene, a tre o quattro giorni dall’operazione, dopo che mi avevano aperto il torace e avevano estratto la lama, mi permisero di andare in giro per l’ospedale sulla sedia a rotelle.

Mi lasciarono leggere un pò della posta che era arrivata per me: da tutti gli stati e dall’estero erano arrivate lettere gentili.

Ne lessi qualcuna, ma ce n’é una che non dimenticherò mai.

Mi avevano scritto anche il presidente e il vicepresidente, ma ho dimenticato che cosa dicevano i loro telegrammi.

Il governatore dello stato di New York era venuto a trovarmi e mi aveva scritto una lettera, ma ho dimenticato che cosa diceva la sua lettera.

C’era invece un’altra lettera, scritta da una bambina, una ragazzina che studiava al liceo di White Plains.

Io guardai la sua lettera e non la dimenticherò mai.

Diceva semplicemente: "Gentile professor King, frequento la quarta ginnasio nel liceo di White Plains".

E continuava: "Non dovrebbe avere importanza, ma vorrei dire che sono bianca.

Ho letto sul giornale della sua disgrazia e delle sue sofferenze.

E ho letto anche che se avesse starnutito, sarebbe morto.

E le scrivo semplicemente per dirle che sono tanto contenta che non abbia starnutito".

Vorrei dire che anch’io sono contento di non avere starnutito.

Perché, se avessi starnutito, non mi sarei trovato da queste parti nel 1960, quando in tutto il Sud gli studenti cominciarono a prendere posto ai banchi delle caffetterie.

E io sapevo che proprio mettendosi a sedere in realtà si stavano schierando a favore della parte migliore del sogno americano, e riportavano il paese a quelle grandi sorgenti della democrazia scavate dai padri fondatori nella Dichiarazione di indipendenza e nella Costituzione.

Se avessi starnutito, non mi sarei trovato da queste parti nel 1961, quando decidemmo di cominciare un viaggio per la libertà e per mettere fine al segregazionismo sui mezzi di trasporto da uno stato all’altro.

Se avessi starnutito, non sarei stato da queste parti nel 1962, quando i neri di Albany, in Georgia, decisero di drizzare la schiena: e ogni volta che uomini e donne drizzano la schiena, riescono ad arrivare da qualche parte, perché se stai diritto e non pieghi la schiena nessuno ti può montare addosso.

Se avessi starnutito, non sarei stato da queste parti nel 1963, quando la popolazione nera di Birmingham, nell’Alabama, é riuscita a risvegliare la coscienza di questo paese e ottenere l’approvazione della legge sui diritti civili.

Se avessi starnutito, un pò più tardi in quello stesso anno, in agosto, non avrei avuto l’occasione di raccontare all’America di un sogno che avevo avuto.

Se avessi starnutito, non sarei stato a Selma, nell’Alabama, e non avrei assistito al grande movimento che si é avuto in quella città.

Se avessi starnutito, non sarei venuto a Memphis per vedere una comunità che si stringe intorno ai fratelli e alle sorelle che soffrono.

Sono proprio contento di non avere starnutito.

*

Ho lasciato Atlanta stamani, e mentre stavamo per partire - sull’aereo eravamo in sei - il pilota ci ha detto, attraverso l’interfono: "Scusate il ritardo, ma abbiamo sull’aereo il professor Martin Luther King.

E per assicurarci che tutte le valigie fossero state controllate, e per essere sicuri che sull’aeroplano fosse tutto in ordine, abbiamo dovuto verificare con cura tutto quanto.

E abbiamo tenuto l’aereo sotto protezione e sorvegliato per tutta la notte".

Poi sono arrivato a Memphis.

E alcuni hanno cominciato a riferire le minacce, o a parlare delle minacce che erano state fatte, o a dire quel che mi sarebbe potuto accadere a causa di qualche nostro fratello bianco malato.

Ebbene, non so che cosa accadrò d’ora in poi; ci aspettano giornate difficili.

Ma davvero, per me non ha importanza, perché sono stato sulla cima della montagna.

E non m’importa.

Come chiunque, mi piacerebbe vivere a lungo: la longevità ha i suoi lati buoni.

Ma adesso non mi curo di questo.

Voglio fare soltanto la volontà di Dio.

E Lui mi ha concesso di salire fino alla vetta.

Ho guardato al di là, e ho visto la terra promessa.

Forse non ci arriverò insieme a voi.

Ma stasera voglio che sappiate che noi, come popolo, arriveremo alla terra promessa.

E stasera sono felice.

Non c’é niente che mi preoccupi, non temo nessun uomo.

I miei occhi hanno visto la gloria dell’avvento del Signore.

Tratto da
LA NONVIOLENZA E’ IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 978 del primo luglio 2005



Martedì, 05 luglio 2005