lettera
L’ironia non s’addice a chi discute di fedi

di Veronica Tussi

Uno scambio di email con Lucia Annunziata


La Stampa 14 marzo 2008
L’ironia non s’addice a chi discute di fedi
Gentile signora Lucia Annunziata, rispondendo ad un lettore (La Stampa 10 marzo), lei afferma: "Il Papa è un simbolo religioso e un leader mondiale importantissimo e per questo gli è dovuto un rispetto assoluto, nei toni come nelle argomentazioni...Né useremmo toni così «alla mano» per un importante rabbino o la guida spirituale degli Sciiti o Sunniti". Mi permetto di contraddirla almeno in parte. Non discuto sul rispetto dovuto a questo Papa, però non è bene generalizzare. La storia è ricca di simboli religiosi e di leader importantissimi, le cui parole e i cui comportamenti avrebbero meritato ben altro che toni «alla mano». Se una persona dice cose sbagliate o si comporta in modo sbagliato, penso sia persino doveroso farglielo notare, anche ricorrendo all’ironia o alla satira. Poi lei scrive: "Questo Papa è un uomo severo...Severo è il suo approccio alla dottrina, nella ricerca di un ritorno all’essenza e alla purezza del messaggio cristiano...". Su questo sono ancora meno d’accordo. Potrei farle un lungo elenco di affermazioni fatte da papa Ratzinger, che sono in contrasto e con la purezza del messaggio cristiano e con la ragione. Ne ricordo una particolarmente offensiva e irrispettosa. Nel discorso del 23 ottobre 2006 a Verona, il Papa faceva differenza tra l’amore degli sposi e l’amore tra due persone non sposate, a prescindere dall’autenticità dell’amore stesso, e definiva il secondo ("forma debole e deviata d’amore"). Un atteggiamento ben lontano dal Vangelo di Cristo.[1]

Veronica Tussi


Risposta di Lucia Annunziata
Lei non è l’unica ad avermi rimproverato quella risposta, che respingeva il tono ironico che il nostro lettore usava per le sue argomentazioni. Riscriverei però la stessa cosa, e per due buone ragioni. La prima ha a che fare con la profondità della controversia intorno a papa Benedetto XVI: qualunque cosa si scriva in merito, si scontenta qualcuno. La seconda invece riguarda la mia convinzione (che non è certo la sua, lo capisco, e ne tengo conto), cioè che l’ironia non è uno strumento adatto quando si discute di argomenti di natura etica. Se lei vede, infatti, spesso il tono irridente copre una mancanza di argomenti. In ogni caso, mentre molti pensano di aver tutto chiaro, di aver già scelto «un lato», io confesso di non capire davvero quello che sta succedendo dentro e intorno alla Chiesa. Preferisco così concentrarmi sulla comprensione, piuttosto che sulla semplificazione. È la stessa attenzione che presto a chiunque mi ponga argomenti di fede: musulmani, ebrei o indù che siano.
Mia breve replica inviata a "la Stampa"
Non è il caso, ovviamente, ma stando al suo ragionamento, e tornando indietro di qualche secolo, se davanti al cruento spettacolo di un’innocente arsa viva sul rogo perché accusata d’avere avuto rapporti carnali con il demonio, mi accostassi al suo orecchio, sussurrandole ironicamente: «Vede come la Chiesa imita Cristo?», potrei aspettarmi la sua risposta: «”L’ironia non è uno strumento adatto quando si discute di argomenti di natura etica”». Ci son cose, signora cara, che si capiscono a volo. Non voglio offenderla, ma anche un ragazzo comprende che quando Giovanni Paolo II, tanto per non parlare del Papa attuale, nell’Enciclica Evangelium vitae, metteva disinsinvoltamente eutanasia ed aborto (qualsiasi aborto, come fa Giuliano Ferrara), sullo stesso piano del fratricidio biblico, anche un ragazzo che conosce il significato del termine "fratricidio", comprende che quel pontefice, forse inconsapevolmente, diceva una cattiveria. In questi casi, mi creda, i ragionamenti sofisticati su questioni etiche sono ovvi e superfui. Conviene fare un po’ di triste ironia.

Veronica Tussi


Note

[1] Il titolo dato da Lucia Annunziata alla lettera si riferisce ovviamente alla sua risposta.



Venerdì, 14 marzo 2008