Oggi abbiamo vinto

di Dacia Valent

0 dicembre 2004

Il TAR del Lazio ha deciso di annullare il provvedimento poco più che pecoreccio di un ministro sconsiderato. Poco più che pecoreccio perché non è mai consigliabile fingere di essere un carro armato se si è un’apecar, sconsiderato perché il responsabile nazionale dell’ordine pubblico non emette provvedimenti sconclusionati sulla scia di un’emozione mediatica, rovinando reputazioni e famiglie.

Mamour Fall, il "temibile" Imam di Carmagnola ha vinto. Il TAR del Lazio ha decretato che ha tutto il diritto di ritornare in Italia perché chi l’ha espulso non sa prendere una decisione e sostenerla. E questo succede perché la decisione è stata presa per emulare il Tito Andronico: sacrificare i figli di Allah sulla tomba dei propri figli caduti.

Volenti o nolenti siamo in guerra. E questa non é una di quelle guerre lontane, senza lacrime che bagnano le soglie delle nostre porte, senza grida di donne che non vogliono guardare gli occhi umiliati dei loro uomini, a capo chino di fronte ad un potere più grande di loro, perché appoggiato dal silenzio complice di chi vede ma non vuole né vedere né sentire.

La nostra guerra si combatte porta a porta, sui pianerottoli invasi dagli odori nuovi della curcuma e il curry, nei suoni gutturali di una ninnananna swahili che squarcia la notte, nel cicaleccio fitto che risuona nelle China Town sotto casa.

La si combatte abbagliati dai colori nuovi nelle facce dei nostri vicini, nei loro nomi strani che non si capisce bene cosa vogliano dire, come se invece Mirella e Corrado avessero un significato.

Una guerra che vede le sue vittime ogni giorno, camminare al nostro fianco, rasente i muri, mute e senza parole per urlare la loro sofferenza, che è anche la nostra.

Corpi morti sui fondali del mare più bello del mondo, corpi sepolti in tombe senza nome e senza nessuno che li cerchi o li possa piangere, perché ufficialmente non sono mai esistiti. Corpi torturati nelle stanze buie delle questure di periferia. Corpi stipati in file umilianti in attesa di avere quello che spetta loro.

Tutte vittime della nostra guerra, quella che ci vede resistere all’avanzata delle schiere di invasori barbarici, che cullano con grandi mani nere i nostri figli, o accarezzano le fronti calde dei nostri vecchi, quelli che potano gli alberi (querce ed ulivi?) nei nostri giardini o cucinano le nostre pizze.

E allora, per il nemico si creano campi di concentramento, figli di una sinistra guitta e sputtanata, e allora la loro fede diventa pericolosa, le loro aspirazioni diventano pretese, i loro sogni diventano mire ambigue, i loro sguardi strali maligni.

Le loro case vengono svegliate nella notte dalla Gestapo nostrana, e i loro documenti controllati mentre stanno in piedi a fianco dei loro letti, mentre mani cattive e frettolose frugano tra le cose che amano di più, piccoli e poveri nei loro pigiama rattoppati, con gli occhi ancora gonfi di sonno.

I Giorni della Memoria. Tutti in piedi, a ricordare l’orrore dei campi dove venivano rinchiuse persone colpevoli solo di essere qualcosa che la società di allora non accettava. E le commemorazioni si tengono mentre i furgoni della polizia pattugliano le strade e rastrellano tutto quello che non sembra bianco e cristiano. E tutti a battersi il petto e tutti a dire mai più. Mentre nei campi nomadi muoiono bambini bruciati da stufe assassine, o assiderati dal freddo agghiacciante della notte infinita dell’indifferenza. E i tribunali si riempiono di persone colpevoli di volersi battere per chi ritengono più affine, che raccolgono fondi per chi vogliono sostenere, che predicano la guerra contro chi fa loro la guerra. che combattono le guerre con le uniche armi che questo mondo, democratico a senso unico, ha lasciato loro.

E la guerra continua ancora, e noi, piccoli cavalieri, folli e stanchi di combattere contro il grande mulino a vento dell’ingiustizia, consapevoli che poco si può contro il potere ottuso di chi il potere lo vuole solo per averlo, senza sapere bene cosa farsene una volta ottenuto, potremmo chiedere una tregua.

Ma oggi, abbiamo vinto. Gné Gné Gné Gné.

Dacia Valent



Lunedì, 13 dicembre 2004