Unaq questione di cui si continua a discutere strumentalmente
A velo spiegato

di Asmae Dachan

Il velo è una libera scelta della donna, viene portato per fede, e nessuno puo’ imporlo o toglierlo.


Ogni volta che si parla di una questione legata all’islam, la cronaca lo dimostra, sembra scoppiare una sorta di isteria collettiva.

Non viene meno solo il rispetto ed il decoro necessario quando si affronta una tematica o una questione legata alla fede, ma viene meno persino la lucidità e la sincerità necessarie in ogni dibattito.

In questi giorni si torna a parlare di velo islamico. Ancora? Si ancora di hjiab…….

Superate, almeno si spera, i classici interrogativi: "ma hai i capelli sotto?ma devi portarlo sempre, anche davanti al marito? Ma se ti dimentichi di metterlo….?" oggi se ne torna a parlare perché qualcuno ha pensato a noi, ci vuole bene e vorrebbe "liberarci dalla sottomissione all’uomo e dal pericolo dell’integralismo". Sottomesse e integraliste a chi? È la solita, vecchia storia, cambiano gli attori, ma gli scopi ed i significati no .

A chi vorrebbe strapparci il velo consigliamo piuttosto di gettare la maschera. Inutile cercare nobili propositi per nascondere l’intolleranza e la mancanza totale di rispetto che anima coloro che disprezzano l’hijiab e non accettano che una donna decida di prenderlo. Prenderlo si, è l’espressione che meglio interpreta la scelta delle donne che, per amore di Allah, compiono questo atto di adorazione e decidono di coprire il capo con un foulard, un velo appunto.

Il significato religioso è ben lontano dai significati attribuiti culturalmente, storicamente, sia all’interno dello stesso mondo islamico, che al di fuori.

Gli insegnamenti del Profeta e le interpretazioni coraniche più seguite, descrivono il hijiab come un semplice velo che copra il capo, e capo significa capelli, collo, non certo il viso. Hijiab è anche l’abbigliamento che non descrive il corpo, in parole semplici, né troppo attillato, né trasparente. Non esiste un’uniforme islamica, ogni donna è libera di scegliere cosa indossare, quale colore, quale abbinamento, in base ai suoi gusti, alle sue esigenze ed alla sua personalità.

Questo è quanto insegna l’islam, a dimostrare in maniera inequivocabile che non esiste un "modello" o un colore più islamico di altri. Ciò va ribadito sia per chi non conosce in profondità l’islam e pensa di poterne parlare a suo piacimento, sia per chi, pur essendo musulmano, pretende di decidere per gli altri, per le altre in questo caso, stabilendo il colore e la forma dell’abito delle donne islamiche.

Il problema è che poi ognuno crede di essere nel giusto. Ecco quindi che in paesi come l’Arabia è lo Stato che impone un abito nero che parte dal capo fino ai piedi, senza lasciare scoperto nulla. In Afghanistan il nero era parso un colore "provocante", quindi il tristemente celebre burqa era stato imposto azzurro.

È triste pensare che qualcuno pensi di avere il diritto di gestire a suo piacimento questioni legate alla fede. La contraddizione è palese. Abbiamo detto che il velo è un atto di fede, pari ad una preghiera, ad un’elemosina, quindi deve essere mosso da un sentimento profondo e da un’assoluta convinzione. Solo così lo si può vivere nella pienezza del suo significato, come un simbolo di semplicità , pudore, castità. .

Nell’hijiab non vi è nulla di punitivo o di discriminante nei confronti del corpo femminile, anzi il hijiab è una sorta di carezza protettiva contro gli sguardi ed i propositi inopportuni degli altri. Una donna col velo non è affatto meno donna o meno femminile, è "semplicemente più semplice" e per quanto possano essere belli, il suo viso e la sua figura, difficilmente chi la incontra può pensare a lei come ad un oggetto del desiderio, proprio perché il velo segnerà una sorta di zona off-limits.

Molti hanno interpretato il velo come uno strumento per il raggiungimento delle pari opportunità, della parità con l’uomo. Così come difficilmente, un datore di lavoro ha fantasie o pensieri per i suoi dipendenti, uomini, difficilmente salvo casi di perversione assoluta, può pensare di molestare una donna velata, che della sua bellezza non lascia vedere quasi nulla (almeno questa è la nostra speranza…).

Così si vive e si sente l’hijiab, per le donne musulmane che lo scelgono, lo prendono, appunto. Continuo a scrivere la parola scelgono perché, pensando e ripensando a quei paesi o a quei contesti in cui invece il velo, quel determinato tipo di velo, viene imposto, non posso non pensare che la reazione più naturale sarebbe quella di respingerlo…

Ma come fa una persona, una comunità o uno Stato che sia, ad imporre un atto di fede? È palese che la spiritualità ed il sentimento non si impongono, forzare una persona a pregare significa farle fare un gesto meccanico, fisico, che non ha nulla a che vedere con la preghiera che Dio ci chiede, quel colloquio intimo profondo dell’uomo con il suo Creatore. Lo stesso vale per il velo, quando viene imposto diventa un semplice accessorio, un capo d’abbigliamento odioso che alla prima occasione si fa sparire. Basti pensare a molte donne del Golfo che appena lasciano i loro paesi d’origine, già sull’aereo fanno sparire tutti i veli.

Che orrore, che lontananza dal significato islamico! Qualcuno potrà pensare che questo sia un discorso blasfemo, ma poco importa, lasciate che siamo noi che nel velo crediamo, che la sentiamo parte di noi, che ci sentiamo fiere di portarlo nonostante le sfide e la diffidenza altrui, a parlarne.

Non è togliendo il velo che si risolvono i problemi dell’emarginazione femminile. Sarebbe miope pensarlo. La partecipazione delle donne alla vita sociale, culturale e politica e il godimento dei propri diritti non arriva eliminando un copricapo.

Il lavoro richiesto è molto più serio e profondo, e deve partire dall’interno delle stesse società; non si può imporre dall’alto un processo di liberazione e promozione delle donne, se non si lavora prima sull’istruzione e la presa di coscienza del proprio valore e dei propri diritti.

Chi pensa e programma di togliere il velo alle donne in realtà in testa ha ben altro. Anzi, ripetendo una battuta che sembra riscuotere successo, queste persone hanno un velo dentro la testa, che impedisce loro di essere obbiettive, realistiche, mentre il velo che portiamo noi sulla testa non impedisce proprio nulla, il cervello si ossigena benissimo, d’estate si è protette dal calore del sole e d’inverno dal freddo…..

Chi vuole sollecitare l’eliminazione del velo, e qui non stiamo parlando solo di leader ed intellettuali occidentali, non musulmani, ma anche di certi musulmani democraticamente eletti a vita, che altrettanto democraticamente pensano di dettare alle donne le regole su come vestirsi, sbaglia.

Meno velo vuol dire donne più "disinibite" più bellezza da guardare, meno richiami al pudore e alla castità. "Più roba da vedere," in sintesi. È così, per quanti giri di parole si facciano, è così. Se davvero a queste persone sta a cuore la libertà delle donne, è assurdo che vedano ad intervenire proprio sulla libertà stessa di praticare la propria fede.

"Meno velo più libertà per le donne musulmane" è solo fumo negli occhi, perché la repressione femminile non passa attraverso un copricapo, ma attraverso una cultura misogina e maschilista che sussiste ed è esistita in modalità ed in tempi diversi, in tutte le culture.

A chi sta davvero a cuore l’interesse delle donne musulmane e delle donne in genere, spetta il compito di lavorare per promuovere l’istruzione, il diritto di famiglia, il diritto al lavoro, il diritto alla partecipazione politica e sociale.

Le donne musulmane godevano di questi diritti già 1427 anni fa, all’epoca del Profeta, ed è assurdo e vergognoso che invece molti di questi riconoscimenti siano negati da regimi post coloniali e da governi che si definiscono islamici. È il caso di dire "stendiamoci un velo pietoso sopra".

Intervenire per proibire l’hijiab, come ha fatto la Francia, come torna a fare la Tunisia di Ben Ali, e come vorrebbero fare altri, infastiditi da tanti veli colorati in giro, significa violare il diritto alla pratica religiosa , violare il diritto alla libertà personale.

Il velo discrimina? Da chi, da cosa? Da un modello culturale taglia 42 vita bassa capello colorato? Allora bisognerebbe, per favorire l’integrazione sociale (con un velo di ironia), vietare di superare i 50 kg di peso e vietare alle more di restare tali, meglio bionde…

Sarebbe bello che la gente aprisse gli occhi anzi, si togliesse la benda dagli occhi, eliminasse il velo del pregiudizio e andasse "oltre lo sguardo"-

È così difficile accettare che una donna fiera, consapevole, istruita e libera si copra? Perché non si pensa invece che proprio le donne velate, penso alla suore ad esempio, sono state sempre promotrici della solidarietà sociale, delle tutela dei deboli, degli orfani, occupandosi col cuore ci chi aveva più bisogno?

La questione su cui si può discutere è velo o non velo il viso. In certi paesi fa parte del costume tradizionale, alcune donne musulmane lo portano per fede, ma in realtà non è il velo richiesto esplicitamente dall’islam.Il Profeta ha indicato in maniera inequivocabile che il velo islamico deve lasciare scoperti viso e mani, e anche durante la preghiera o il pellegrinaggio, per molte scuole giuridiche islamiche è vietato coprirsi.

Pur rispettando la scelta di chi vuole coprirsi, è evidente che oggigiorno, specie in occidente, non si può proporre la copertura del viso. Il fatto di essere riconoscibile è importante, è doveroso. Insistere volendo portare il niqab rischia di crescere inutili ostilità, che non gioverebbero a nessuno.

Quello che chiediamo noi è di poter vivere serenamente la nostra scelta religiosa, invitando tante persone che di islam e di noi non sanno proprio nulla, a lasciarci in pace. Non siamo oggetto di trattative, sulle nostra teste non si discute!

La nostra libertà ed i nostri diritti ce li conquistiamo da sole, non siamo fenomeni da baraccone che necessitano di norme speciali. Certe persone dovrebbero avere il coraggio di guardarci ed ascoltarci, non di trincerarsi dietro un dito fingendo di farci un regalo eliminando l’hijiab.

Andiamo a velo spiegato, che le lotte per i diritti umani personali e collettivi necessitano di impegno ed energia.

20/10/2006

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Sabato, 21 ottobre 2006