Tra lio e il noi COME OGNI RIVOLUZIONE non sarà mai lultima, anche la parola del filosofo non sarà mai definitiva, né singolare, perché rimanda sempre alla comunità della lingua. Ritratto di Rosenzweig alla vigilia di un convegno a Kassel: per lortodossia ebraica era un eretico, per i filosofi un astruso teologo, per i teologi un inquietante ebreo (il manifesto, 19.02.2004). «La saluto cordialmente e resto il suo Franz Rosenzweig, tedesco e ebreo, per libera scelta e libera decisione». È questa la chiusa di una lettera del 16 gennaio 1918 indirizzata a Helene Sommer, intellettuale raffinata, rappresentante dellebraismo assimilato, traduttrice di Dante. Nella lettera Rosenzweig sottolinea la «e» per indicare insieme la drammaticità di quella congiunzione, ma anche la fiducia di poterla realizzare. Se ancora Hermann Cohen può dedicare allebraismo tedesco unopera, nel 1915, per cui Rosenzweig scrive una introduzione - edita ora in italiano nel libro Il filosofo è tornato a casa, Scritti su Hermann Cohen (Diabasis) - per Rosenzweig il tema comincia a perdere rilievo già dopo la guerra. Prevedendo meglio di altri - come risulta dalla sua vastissima produzione politica - la catastrofe che in Germania incombe sugli ebrei, Rosenzweig sembra lasciar cadere quel difficile binomio. È così che, già nel presagio dellannientamento, viene concludendosi lebraismo tedesco. Se linizio era stato segnato da Mendelssohn, il grande filosofo dellilluminismo tedesco, la fine è segnata da Rosenzweig. E, tuttavia, non solo per questo la sua figura può essere additata a emblema di un confine epocale. Un eretico per lortodossia ebraica, un astruso teologo per i filosofi, un inquietante ebreo per i teologi, Rosenzweig sembra condannato a non avere voce già prima dei roghi dei libri. La sua grande opera La stella della redenzione, scritta precariamente durante la guerra su cartoline postali da campo inviate a parenti e amici, esce nel 1921. Rosenzweig avrebbe voluto pubblicarla solo dopo la propria morte. Perché la Stella era così legata alla sua esistenza, che ne sanciva il compimento. Ma forse anche perché lautore voleva risparmiarsi una delusione che giunse infatti inevitabile. «Tutti pensano che sia un invito a mangiare kosher» - scrive Rosenzweig, tra lironia e lirritazione, allamico Hans Ehrenberg nel 1925. Oramai, dopo alcuni anni, «lequivoco collettivo» è evidente: la Stella è presa come un «bel libro ebraico» e per di più la maggior parte dei lettori si arrende agli ostacoli concettuali delle prime pagine. Lo Stern sembra un Unstern, una stella nata in uninfelice costellazione. Rosenzweig ne è consapevole e prende ciò come parte del proprio «destino». Eppure in quello stesso anno, nel 1925, interviene ancora unultima volta a difesa della Stella scrivendo alcune «note supplementari», che hanno per titolo Il nuovo pensiero. Si ribella allidea che la Stella sia considerata come un libro ebraico o un libro di filosofia della religione. «Tratta, è vero, dellebraismo, ma non più diffusamente che del cristianesimo e appena più a lungo di quanto si soffermi sullislam. E neppure avanza la pretesa di essere una filosofia della religione; come potrebbe, se la parola religione non compare nemmeno? È semplicemente un sistema di filosofia».
Ma il libro trova pochi, anzi pochissimi interlocutori. Tra il 1930 e il 1933 escono le prime recensioni, i primi saggi. Sono nomi significativi, ma pur sempre appartenenti alla cerchia di intellettuali che Rosenzweig frequenta: Ernst Simon, Gershom Scholem, Martin Buber, Leo Baeck. Poi tutto tace. La Stella è eclissata dallorizzonte della filosofia tedesca. Quasi come un corpo estraneo sembra rispuntare nel 1961 grazie a Emmanuel Lévinas, che in Totalità e infinito scrive: «Lopposizione allidea di totalità, che ci ha colpito nello Stern der Erlösung di Franz Rosenzweig, è talmente presente da non poter essere citata». È un primo riconoscimento dellaspirazione filosofica di Rosenzweig. Ma già nel 1942, nellesilio americano, Karl Löwith aveva pubblicato un saggio su Rosenzweig e Heidegger indicando in entrambi «lultima epoca produttiva della filosofia tedesca» e suggerendo, con un confronto critico, una nuova prossimità: quella tra la Stella e Essere e tempo. Ma anche dopo gli anni `80 e `90, e la diffusione relativa dellopera, assolutamente tedesca, in Europa, in Israele, in America, la Stella non è davvero ricomparsa nel firmamento filosofico della Germania dove Rosenzweig resta un filosofo non-filosofo, ignoto e ignorato. Questo è il motivo per cui è stato organizzato il congresso internazionale Il nuovo pensiero di Franz Rosenzweig che si terrà a Kassel nel mese di marzo, in occasione del settantacinquesimo anniversario della morte del filosofo. Lintento è, tra laltro, quello di fondare una società filosofica intitolata a Rosenzweig e di istituire un archivio.
Ma in che senso Rosenzweig può dire «nuovo» il proprio pensiero? E in che cosa consiste lauspicato «rinnovamento» della filosofia? La risposta può essere semplicemente la «e» che Rosenzweig sottolinea nella sua lettera. Se lascia cadere il binomio ebreo/tedesco, non lascia cadere quella congiunzione grammaticale che diviene la chiave di volta del suo «sistema» filosofico. Sistema fa pensare a Hegel. E in effetti Rosenzweig è in origine un hegeliano. Nel 1920, un anno prima della Stella, esce il suo libro Hegel e lo Stato. Ma già qui si profila la distanza critica: per Rosenzweig il pensiero politico di Hegel finisce per fare dello stato, inteso nazionalisticamente, il rappresentante autorizzato dello spirito oggettivo. È nella Stella, però, che viene sferrato un violento attacco non solo contro Hegel, ma contro tutto il pensiero occidentale «dalla Jonia a Jena», da Parmenide fino allidealismo tedesco.
La «filosofia del Tutto» abolisce, o crede di abolire, la morte e langoscia della morte in cui vive il singolo, perché solo il singolo deve morire. Questultimo non sa di un corpo destinato a morire e di unanima libera da un tale destino. E la filosofia lo inganna. Nel rimuovere la paura terrena, rimuove tutto ciò che appartiene alla terra. Edifica così lidea del Tutto, che non muore e in cui nulla muore. Ma per far ciò esclude il singolo e rielabora la materia finché questa non oppone più resistenza e non si dilegua nella nebbia del Tutto. Qui non cè cosa che non venga inghiottita, anche la morte che si rivela così «nulla». È questa la saggezza nichilistica a cui è giunto l«idealismo». Così, dopo aver eliminato l«oscuro presupposto» della morte, la filosofia idealistica può presentarsi priva di presupposti, incondizionata, assoluta, e far valere il suo inganno vecchio di due millenni, lidea di ununica e universale conoscenza del Tutto.
Contro questa idea totalitaria di un sapere obiettivo che ha trovato il suo compimento nellassoluto di Hegel, dove tutto si risolve e tutto è incluso, muove Rosenzweig. E il primo passo è ricominciare da quel presupposto negato, dalla morte del singolo, che non è nulla ma è qualcosa, nullificare il nulla nichilistico, dire sì, riprendere il cammino dal singolo e dalla sua vita. Se la vecchia filosofia conduce dallabolizione della morte alla teoria, la nuova filosofia vorrebbe condurre dalla morte alla vita, o meglio alla Porta che si apre alla vita. Ma non per questo la filosofia di Rosenzweig, come lui stesso avverte, deve essere fraintesa come una filosofia vitalistica se non irrazionalistica. La direzione è ben diversa. In che cosa, allora, si distinguerà il nuovo filosofo, o anzi il nuovo «pensatore», il neuer Denker ? La vecchia filosofia è una filosofia astratta, statica, essenzialistica. La si riconosce subito dal modo in cui domanda: «che cosè?». Quel che le interessa è definire l«essenza», ciò che «propriamente» una cosa è. Le risposte non potranno essere altro che enunciati tautologici: Dio è Dio, il mondo è mondo, luomo è uomo. Di qui non ci si muove. Finis philosophiae? - si chiede Rosenzweig. Piuttosto è un nuovo inizio, linizio di una nuova filosofia che è una filosofia esperiente e una filosofia narrante, dove è Spinoza che suggerisce il concetto di esperienza e Schelling quello di narrazione.
Il nuovo filosofo non si stupisce, perché stupirsi vuol dire essere immobili. Al contrario del vecchio filosofo, «professionalmente impersonale», che è poi il «luogotenente stipendiato della storia della filosofia», entra in scena il filosofo personale, anzi personalissimo, del «punto di vista». Il nuovo filosofo esperisce e narra, e proprio perché esperisce la propria finitezza narra quel che ha esperito, senza pretendere di dire come è «propriamente» stato, ma solo «comè andata». Mentre parla, narrando, non si limita più agli enunciati, e anche i sostantivi, i termini che indicano le sostanze, compaiono poco; nel suo parlare ricorrono le parole che scandiscono il tempo, ricorrono i verbi. Perché per il nuovo filosofo il tempo diventa reale: sa che il conoscere si dà nel tempo, è legato a ogni istante, e non può fare che il suo passato non sia trascorso e che il suo futuro sia di là da venire. E allora il nuovo filosofo si rivela lo Sprachdenker, il pensatore che pensa, e sa di pensare, nel linguaggio e a partire dal linguaggio. Se la vecchia filosofia vuole essere un pensiero senza tempo, che si compie dun sol colpo, nella simultaneità, il nuovo pensiero è un parlare legato al tempo. Il vecchio filosofo conosce già prima, nel suo soliloquio interiore, i propri pensieri; che li esprima è un fatto accidentale. Ma la differenza non sta tra voce bassa e voce alta. La differenza tra il vecchio e il nuovo passa per il linguaggio. Il vecchio è un «pensiero logico», che si è barricato in una «logica nemica del linguaggio», il nuovo è un «pensiero grammaticale» che accetta tutte le conseguenze che derivano da ciò. E queste conseguenze sono: riconoscere «il bisogno dellaltro» o, che è lo stesso, «prendere sul serio il tempo». Il linguaggio porta immediatamente nel nuovo pensiero laltro e il tempo.
Se il vecchio filosofo non parla a nessuno e pretende di parlare per tutti, il nuovo filosofo parla come io a un tu che ha non solo orecchie, ma anche una bocca. Toccherà infatti a questo tu prenderà la parola, cioè continuare a pensare. È la grammatica, dunque, che orienta il nuovo pensiero. E non si esagera dicendo che la Stella è un libro grammaticale. Lo è non solo perché è un pensiero che si sviluppa grammaticalmente. Lo è anche perché, nei suoi percorsi, inversioni e conversioni, si lascia guidare dalla grammatica. Da ciò derivano conseguenze di non poco conto per la filosofia del `900.
Il «filosofo del punto di vista», che nel suo radicale anti-idealismo si staglia sullo sfondo della riflessione di Schopenhauer e soprattutto di Nietzsche, si precisa e si determina però come filosofo che parla. Il suo punto di vista è un punto situato nel linguaggio. Dove apre la bocca, e nel momento in cui apre la bocca, lì è il suo punto e lì è sempre un nuovo inizio. Cambia qui il concetto di «sistema» ereditato da Hegel. Il filosofo parlante è il centro, inevitabilmente precario e provvisorio, il centro mobile di un sistema che sarà altrettanto mobile. E anzi forse non sarà più «sistema». Perché quando si dice sistema non si deve pensare più a un edificio, ma si deve pensare a una unità dove «da ogni singolo punto corrono fili e relazioni che toccano ogni altro punto e lintero»; questa unità, a ben guardare, proprio perché è «pluridimensionale», è ununità che si dà solo nel punto in cui parla il filosofo. Così è il filosofo il portatore dellunità di un sistema che non può più dirsi tale. A scardinarlo del tutto è la congiunzione «e» a cui Rosenzweig non ha rinunciato. Questa paroletta fondamentale è la «segreta compagna» di ogni connessione. La «e» tiene e sostiene la ragione che si declina nelle lingue e si concretizza nel parlare. Ma questo tenere non è un contenere e un chiudere. Allopposto, il movimento indicato dalla «e» è un movimento di apertura. La e lascia accanto allidentità la differenza, propone una unità di diversi, che non è ulteriore a questi diversi, e si sottrae a ogni sintesi. Così la «e» impedisce alla ragione di totalizzare e totalizzarsi. Intuendo i pericoli di un totalitarismo, Rosenzweig vede nella «e» il tratto che unisce e differenzia lindividuo dalla comunità. Solo se si mantiene la «e», lio non sta di fronte al noi - come nella famosa formula della Fenomenologia «lio che è il noi, e il noi che è lio». Solo se si mantiene la «e» resta una traccia del tu che tra lio e il noi fa la differenza tra collettività e comunità.
Il punto in cui parla il nuovo filosofo, per quanto irriducibilmente singolare, è anche sempre comune. Perché parlando si articola in una lingua che non è mai solo sua, che è sempre anche dellaltro, che appunto è comune. Perciò il suo punto, e lunità che si delinea da quel punto, non è mai solo singolare, ma sempre anche comune. La comunità si dà anzi sempre solo qui, nella sua parola rivolta allaltro, che gli ritorna proferita dallaltro. Perché la comunità non è ancora, ma sarà pur sempre; la comunità vera, o inverata, è a venire. Il linguaggio, che è comune e accomuna, può anticipare il futuro, può far irrompere leternità nellistante presente, cioè può dischiudere il tempo messianico. Sta qui, in questa capacità di anticipare il futuro nelleternità dellistante, la messianicità del linguaggio. Ma qui sta anche il suo limite: lultima parola è solo anticipazione della prossima parola. La parola, proprio perché parola, non è mai ultima.
Della parola si può dire lo stesso che della rivoluzione: ogni rivoluzione sarà sempre penultima, mai ultima. La rivoluzione, che è salto nel tempo storico, come tale è permanente, e non può chiudersi. La redenzione è invece un salto dal tempo storico, dalla sua fine, dalla fine dei giorni, in un tempo che non è neppure tempo, ma è eternità. Nel grande Sabato della redenzione dopo il silenzio messianico tacerà anche Dio. Ma listante del salto non ha luogo nella Stella e resta utopico. Né potrebbe essere diversamente perché la Stella è solo un libro. Qui la Stella dispiega le sue sei punte e lascia aperte tutte le sue antinomie. Riconosce di essere «davvero un libro ebraico», non perché tratti di cose ebraiche, ma perché per il nuovo che vuole esprimere «affiorano alle labbra vecchie parole ebraiche».
Ingiustamente molti interpreti, non esclusi Lévinas e Scholem, hanno mediato le antinomie, composto i contrasti. Lebraismo di Rosenzweig resta fedele alla Stella nella nostalgia di unattesa di quel che è oltre il libro. Così la gnoseologia messianica mantiene la «e» che è stata «la prima dellesperienza» e sarà anche «lultima della verità». Anche nellultima verità deve essere contenuta la «e». La gnoseologia messianica non può portare oltre questa «e». Ed è la «e» di filosofia e teologia, ebraismo e cristianesimo - e si potrebbe continuare. Il libro si chiude qui. Lultimo capitolo si intitola Porta. I suoi battenti conducono dal libro al non-più-libro. Il libro può portare oltre solo in quanto viene meno, e riporta nel quotidiano della vita. Un epilogo del libro, un inizio della vita che deve ancora essere pensato, detto. Ricomincia da qui la filosofia.
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* Un filosofo frainteso: «il mio libro non invita a mangiare kosher»
Franz Rosenzweig è nato a Kassel, in Germania, nel 1886, da una famiglia che apparteneva allebraismo tedesco assimilato. La sua formazione avvenne in un ambiente intellettuale aperto alla cultura, dove però lidentità ebraica era molto blanda. Negli anni delluniversità strinse legami di amicizia con i fratelli Ehrenberg e con Rosenstock-Huessy, tutti passati al cristianesimo. Vicino alla conversione Rosenzweig, prima o durante le celebrazioni del Kippur del 1913, decise altrimenti. In una famosa lettera a Rudolf Ehrenberg scrisse: «io resto ebreo». Studiò medicina, fisica, poi filosofia - con Meinecke e Rickert - conseguendo il dottorato a Friburgo nel 1912 con una tesi su Hegel e lo Stato che sarebbe stata pubblicata nel 1920, un anno prima della sua opera principale, La stella della redenzione. Tutto il pensiero di Rosenzweig parte dal rifiuto dellidealismo assoluto, per approdare alla rivendicazione della concretezza dellio e degli aspetti finiti dellesistenza. Durante la prima guerra mondiale, dichiarato inabile al servizio militare, prestò servizio presso la croce rossa, e subito dopo il conflitto rinunciò alla carriera accademica. I suoi punti di riferimento diventarono il filosofo Hermann Cohen e il rabbino Nehemia Anton Nobel. Nel 1920 fondò a Francoforte il Freies jüdisches Lehrhaus, un istituto di studi ebraici di cui vennero chiamati a far parte tra gli altri Krakauer, Strauss, Fromm, Scholem e Buber, che ne sarebbe stato il condirettore. Subito dopo il matrimonio, allinizio del 1922, si manifestarono i primi sintomi di una sclerosi. La paralisi colpì Rosenzweig nei centri del linguaggio, e sebbene il filosofo le opponesse una ostinata resistenza, progredì fino a fargli perdere la parola. Così, gli venne costruito uno speciale apparecchio con cui poter scrivere. E per questo tramite scrisse lettere, interventi politici, saggi, e soprattutto si dedicò, insieme a Martin Buber, alla traduzione della Bibbia dallebraico in tedesco. Morì a quarantatre anni, nel 1929. Le opere di Rosenzweig pubblicate in italiano sono: La stella della redenzione, Marietti, Genova. La scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, Città nuova, Roma 1991. Ebraismo, Bildung e filosofia della vita, La Giuntina, Firenze 1987. Il filosofo è tornato a casa. Scritti su Hermann Cohen, Diabasis Reggio Emilia 2003. Il grido, Morcelliana, Brescia 2003.
Giovedì, 19 febbraio 2004
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