Parcours de la reconnaissance
di di Brunella Canalini
(bollettino telematico di filosofia politica: )Copyright © 2005 Brunella Casalini Questo documento è soggetto a una licenza Creative Commons 18-03-2005 13:31:06 __________________________ Sommario Introduzione Riconoscimento come identificazione/distinzione: "lun nest pas lautre" "La reconnaissance de soi par soi" Il mutuo riconoscimento: “la structure catégoriale du lun lautre” Letture utili per lapprofondimento disponibili su Internet IntroduzioneLa parola “riconoscimento” è una delle parole chiave del lessico filosofico-politico contemporaneo. Nella lotta politica dei gruppi etnici minoritari, nel pensiero della differenza sessuale, nelle rivendicazioni di movimenti religiosi che aspirano ad entrare come tali nello spazio pubblico, le richieste di riconoscimento, di rispetto e stima sociale sono spesso volte a denunciare i limiti delle politiche redistributive. Le implicazioni derivanti dall’adozione del punto di vista di una politica del riconoscimento appaiono, tuttavia, tutt’altro che univoche. Un confronto tra la letteratura filosofico-politica anglosassone e quella continentale rivela una sensibile differenza di prospettive: se nella letteratura anglosassone la politica del riconoscimento è sinonimo, grazie soprattutto a lavori di autori come Taylor e Iris Marion Young, di multiculturalismo, di politiche disponibili a riconoscere diritti differenziati a gruppi etnici, culturali e religiosi particolari in vista della salvaguardia e protezione della loro identità; in Europa, il dibattito sul riconoscimento si è sviluppato attorno ad una questione di maggiore spessore e ampiezza: quella delle radici del legame sociale e delle fonti della solidarietà e dell’ospitalità [1] . In un autore come Honneth, per esempio, andare oltre la giustizia distributiva non significa necessariamente rinunciare all’eguaglianza dei diritti, ma scavare intorno alle ragioni che tengono insieme la società e contribuiscono a creare relazioni sociali non patologiche: ragioni che in parte precedono e in parte vanno al di là della dimensione del diritto[2]. L’ultimo lavoro di Paul Ricoeur, Parcours de la reconnaissance, è sicuramente uno dei momenti più alti toccati dal dibattito filosofico europeo contemporaneo sul tema del riconoscimento. Qui il novantenne filosofo francese, con straordinaria lucidità e creatività intreccia il problema dell’identità, già sviluppato in Sé come un altro, alla questione della memoria, del perdono, centrale in tante sue opere - tra le quali merita ricordare il recente La memoria, la storia e l’oblio -, all’attualizzazione della tematica hegeliana del riconoscimento e alla filosofia del dono di Marcel Hénaff, giocando sull’ambiguità del termine francese reconnaissance, che vale insieme “riconoscimento” e “riconoscenza”. In questo studio Ricoeur prende le mosse da una considerazione: esistono più teorie della conoscenza, non esiste alcuna teoria del riconoscimento; e ciò a dispetto della coerenza semantica che consente alla parola “reconnaissance”, nonostante la molteplicità dei suoi significati, di figurare in un dizionario come unità lessicale. Ricoeur, che nel suo lungo e complesso percorso intellettuale ha contratto molti debiti anche con la filosofia analitica anglosassone, analizza innanzi tutto luso della parola nel linguaggio ordinario, attraverso il ricorso ai lessici. La rassegna lessicografica è condotta su due opere, due dizionari della lingua francese, composte quasi a un secolo di distanza luna dallaltra: il Dictionnaire de la langue française, del Littré (1859-1872) e il Grand Robert de la langue française, datato 1985. Parcours de la reconnaissance nasce da una “scommessa”: conferire allinsieme delle occorrenze filosofiche della parola la coerenza di una “polisemia regolata”, analoga a quella riscontrabile sul piano lessicale (cfr. p. 10), e operante mediante analoghi scarti impercettibili tra un significato e laltro. Il “percorso” tracciato inizia dalle implicazioni del verbo riconoscere usato in forma attiva - riconoscere qualcosa, degli oggetti, delle persone, se stessi, un altro - per arrivare a quelle legate al suo uso in forma passiva - essere riconosciuto, domandare di essere riconosciuto. “Questo capovolgimento sul piano grammaticale porterà la traccia di un rivolgimento della stessa ampiezza sul piano filosofico. Il riconoscimento quale atto implica una pretesa, claim, di esercitare una padronanza intellettuale sul campo delle significazioni, delle asserzioni significative. Al polo opposto della traiettoria, la domanda di riconoscimento esprime unattesa che può essere soddisfatta soltanto quale mutuo riconoscimento, che ciò resti un sogno inaccessibile o che richieda delle procedure e delle istituzioni che elevino il riconoscimento al piano politico” (p. 35). Alla voce attiva latto del riconoscimento non differisce da quello del conoscere; nel passaggio dallattivo al passivo esso va vieppiù allontanandosi dalla dimensione gnoseologico-epistemologica (cfr. p. 36). Riconoscimento come identificazione/distinzione: "lun nest pas lautre"Il primo senso in cui filosoficamente si declina il termine riconoscimento è reconnaissance comme identification. Il riconoscimento come identificazione presuppone la capacità e loperazione del giudizio; siamo, infatti, con questa prima figura di riconoscimento, non distinguibile da quella della conoscenza, allepoca del “sujet maître du sens”, del cogito che aspira ad una coscienza immediata di sé. Come aveva già fatto in Soi même comme un autre, Ricoeur sottolinea la necessità di abbandonare questidea di soggetto e di operare una seconda rivoluzione, dopo quella copernicana: una rivoluzione che non parta dal cogito ma dalle “cose stesse” per giungere ad una teoria del riconoscimento sottratta alla teoria della conoscenza (cfr. p. 49). In Cartesio, come in Kant, sebbene per il primo identificare significhi distinguere, mentre per il secondo identificare sia inserire nellambito di relazioni (relier), riconoscere è conoscere mediante un atto di giudizio. In Cartesio questatto di giudizio - rileva Ricoeur - non è esente da rischi: cè nella filosofia cartesiana una vera e propria ossessione dellerrore; e tuttavia riconoscere è qui ancora conoscere. Per arrivare ad unidea di riconoscimento che non rimandi alla conoscenza, bisogna passare da unanalisi a parte subjecti ad una a parte objecti(cfr. p. 64), bisogna passare dalla figura della méprise, della confusione e dellerrore sul piano teoretico, alla méconnaissance, al misconoscimento sul piano esistenziale (cfr. p. 62). Kant non solo attribuisce al giudizio nellambito della ricognizione (Rekognition) il compito della connessione, della sintesi, piuttosto che quello cartesiano della distinzione, ma apporta due ulteriori importanti cambiamenti alla teoria del giudizio, incorporandovi la tematica della sensibilità e della temporalità. Se in Cartesio lossessione dellerrore lasciava intravedere uno scollamento tra riconoscimento e conoscenza, in Kant lequazione tra riconoscimento e conoscenza non è mai contraddetta, e ciò essenzialmente in virtù della distinzione tra trascendentale ed empirico che colloca il primo al di fuori dellambito dellesperienza. Ricoeur pone laccento in particolare sul ruolo che nellimpresa kantiana ha la sistemazione del tempo nellambito dellestetica trascendentale: “Il tempo dellestetica trascendentale non è né il tempo vissuto dellanima, né il tempo dei cambiamenti nel mondo, ma la forma del senso interno, come lo spazio è quella del senso esterno, e in fin dei conti delluno e dellaltro, nella misura in cui tutte le rappresentazioni passano per il senso interno […]” (p. 67). Nella critica nei confronti della visione kantiana del problema della temporalità è esplicito il riferimento ai successivi sviluppi fenomenologici del tema, alla capacità di “tematizzare nellambito di una filosofia del ‘mondo della vita’ qualche cosa come un tempo dellessere al mondo con i suoi cambiamenti reali”(p. 69). Uscire dal kantismo significa per Ricoeur abbandonare la dimensione della rappresentazione ( Vorstellung), di un sapere che implica la rappresentazione, e seguire su questa strada la via della fenomenologia di Husserl, che rimprovera a Kant di aver ignorato “i presupposti non interrogati” che concorrono a dare il senso alle questioni filosofiche che egli si è posto e che rimandano al “mondo ambiente della vita quotidiana”, e soprattutto di Heidegger e Merleau-Ponty. Si tratta, infatti, di prendere atto, andando oltre Kant, del fatto che lio penso è già preliminarmente e intrinsecamente in rapporto al mondo. La filosofia kantiana ha reso il mondo immanente al soggetto; la fenomenologia husserliana, secondo Ricoeur, ritornando alle cose stesse ha sottolineato la loro trascendenza, in quanto le cose stesse non si possono trovare che in unestraneità irriducibile che la coscienza non potrà mai finire di esplorare. Ciò che interessa ad una filosofia dello “être-au-monde” sono i molti modi, la varietà dei modi, dessere delle cose del mondo. “Il tratto comune che questi modi dessere devono condividere per dare luogo a delle operazioni di riconoscimento - scrive Ricoeur - mi pare essere il cambiamento (changement)” (p. 96). Questaffermazione, in apparenza semplice, presuppone il primato del cambiamento sul tempo, e una “deformalizzazione del tempo che lo libera dai criteri a priori ridotti alla simultaneità e alla successione”. Il riconoscimento si confronta ora non con la possibilità dellerrore, ma con quella del misconoscimento: si deve tener conto di ciò che nel mutare delle cose può renderle irriconoscibili. Lesperienza propone esempi in cui un aspetto minacciante si lega al cambiamento e al tempo, soprattutto quando il passare del tempo tocca le persone; ed è “questaspetto che dà al riconoscimento una dimensione patetica esplorata in letteratura e non ignorata dai lessici” (p. 101). Un luogo letterario illuminante, sulla sensazione di spaesamento e dinquietudine che i mutamenti prodotti dal tempo possono provocare, è - ricorda Ricoeur - la cena dai Guermantes nel Ricerca del tempo perduto di Proust. "La reconnaissance de soi par soi"In questa seconda tappa del suo itinerario Ricoeur descrive la traiettoria che porta luomo agente e paziente a riconoscersi uomo capace di certe imprese, in altre parole a riconoscersi come responsabile. Il percorso inizia con il mondo greco, prendendo spunto dallidea formulata da Bernard Williams in Shame and Necessity dellesistenza di certe somiglianze non sufficientemente riconosciute tra noi e gli antichi, soprattutto in relazione allidea di responsabilità nellazione. Lintenzione dellautore non è qui negare la novità implicita nei concetti che portano al riconoscimento di sé e che dobbiamo ad autori come Agostino, Locke e Bergson, ma legare quelle innovazioni a premesse già presenti nella filosofia antica. I personaggi di Omero sono descritti quali veri “centri di decisione”, impegnati in un continuo processo deliberativo (cfr. p. 112), di cui si trova la teoria, secondo Ricoeur, nel III libro dellEtica Nicomachea di Aristotele. Il pensiero dei moderni segna un avanzamento rispetto a quello dei Greci non tanto sul piano della tematica del riconoscimento della responsabilità, quanto sul piano della conoscenza riflessiva di sé, implicita in questo riconoscimento (cfr. p. 137). Ai moderni si deve linvenzione del sé riflessivo, dellipseité. Ricoeur vuol dare un “seguito allanalisi aristotelica dellazione, con la sua nozione di desiderio ragionato, nellambito della filosofia riflessiva, inaugurata da Cartesio e Locke, poi dispiegata nella dimensione pratica dalla seconda Critica kantiana e portata da Fichte alla sua più alta potenza trascendentale” (p. 139). La risposta a questa sfida è lidea di homme capable, delluomo che ha quella forma di certezza e di confidenza in sé che si lega al verbo modale “je peux”. Si ha qui il passaggio lessicale da riconoscimento/identificazione a riconoscimento/attestazione. Come si ricorderà, era al registro dellattestazione che Ricoeur legava lidea di homme capable già in Soi même comme un autre, di un soggetto che riconosce il primato della praxis [3]. La posizione mediana che lo studio del riconoscimento di sé occupa tra il riconoscimento/identificazione e il mutuo riconoscimento si spiega in base al fatto che la designazione del soggetto capace implica delle componenti dalterità: il soggetto capace è il soggetto che parla, che agisce, che si racconta, che promette, che è capace dimputazione e di responsabilità. La problematica del riconoscersi tocca i suoi due momenti più alti con le figure della promessa e della memoria, delle quali la prima si rivolge allavvenire, la seconda al passato. Lanalisi della memoria - momento bergsoniano del percorso intrapreso da Ricoeur in questopera - ha inizio, secondo il metodo fenomenologico, con unanalisi delloggetto della memoria e della distinzione aristotelica tra mneme e anamnesis, tra la semplice presenza di immagini del passato che vengono allo spirito, e il momento attivo del ricordo, della rammemorazione, per giungere alla domanda relativa al modo in cui il riconoscimento del passato contribuisce al riconoscimento di sé (cfr. p. 170). Memoria e promessa danno “ampiezza temporale al riconoscimento di sé, fondato ad un tempo su una storia di vita e sugli impegni avvenire della lunga durata”. Entrambe devono confrontarsi con un nemico: loblio nel caso della memoria; il tradimento nel caso della promessa. Questultima, tuttavia, presenta un carattere assente alla memoria: se la seconda è marcata dal tratto della “mienneté” (mi riconosco nel ricordo del mio passato, di un passato che per me è insostituibile), la prima è apertura allaltro e quindi, per questo, costituisce un ponte verso il terzo studio che Ricoeur dedica al mutuo riconoscimento. La promessa, come la testimonianza, conta su un aspetto fiduciario (cfr. pp. 192-193). Se per la Arendt la promessa e il perdono permettono allazione umana di continuare: la prima legando, il secondo slegando (cfr. p. 194); per Ricoeur tra promessa e memoria vè una possibile analogia: il perdono fa della memoria una memoria pacificata e quindi una “memoire hereuse” (p. 194). La promessa, tuttavia, può non essere mantenuta, si può promettere ciò che non si è in grado di mantenere, ingannare laltro e noi stessi sulla nostra capacità di essere fedeli. Per evitare questa deriva patologica, non bisogna promettere troppo; è necessario saper tenere una distanza tra il mantenersi fedeli e la costanza di una volontà ostinata; ma soprattutto capovolgere lordine di priorità tra chi promette e chi è destinatario della promessa, e come per la responsabilità mettere prima laltro che conta su di me e sulla mia fedeltà alla parola data (cfr. pp. 196-197). Nellultima sezione del suo II studio sul riconoscimento, Ricoeur utilizza il concetto di capabilities formulato da Amarthya Sen, concetto che implica una valutazione sociale delle capacità effettive di agire, per gettare un ponte tra lidea di capacità individuali e le forme sociali, o pratiche sociali, che rendono possibile il passaggio dal riconoscersi al mutuo riconoscimento. Sul fondo di unantropologia incentrata sullidea madre di potenza di agire, il concetto di capacità subisce una progressiva complessificazione: dalla capacità individuali di dire, di agire, di essere imputabile, a quella di promettere e ricordare, fino alle capacità sociali, e allidea di capabilities che sposta il discorso sullidentità dal piano dellattestazione a quello della rivendicazione del diritto a certe capacità. La rivendicazione del diritto a certe capacità richiama una nozione di giustizia sociale e nello stesso tempo apre una dimensione di conflittualità che rimanda a idee quali quelle di alterità, pluralità, azione reciproca che sono al centro del terzo e ultimo studio sul mutuo riconoscimento (cfr. p. 218). Il mutuo riconoscimento: “la structure catégoriale du lun lautre”Sul piano categoriale il principio della reciprocità è problematico. Parlando di riconoscimento-identificazione, Ricoeur, nel suo primo studio, aveva mostrato come in Kant esso fosse collocato nella Critica della ragion pura al terzo posto tra le analogie dellesperienza nel quadro dellanalitica dei principi, ovvero dopo la sostanza, sinonimo di permanenza, e dopo Nella ricostruzione della catena genealogica degli eventi filosofici che portano allaffermazione dellidea di mutuo riconoscimento, un posto prioritario ha la nozione hegeliana di Anerkennung, nozione che, secondo Ricoeur, deve essere compresa nel quadro di un tentativo di risposta alla sfida lanciata da Hobbes al pensiero politico occidentale: il desiderio di essere riconosciuti occupa in Hegel il posto della paura della morte violenta nella concezione hobbesiana dello stato di natura. Hegel - come osserva anche Honneth allinizio del suo La lotta per il riconoscimento - vide nel conflitto tra gli uomini un elemento che poteva e doveva essere ricondotto a una spinta morale e non a meri fini di autoconservazione. Qui Ricoeur accetta linterpretazione honnethiana di Hobbes come paradigma di un conflitto sociale a fini meramente autoconservativi, interpretazione che può essere ritenuta “riduttiva”, in quanto ignora che le passioni che spingono luomo hobbesiano al conflitto non sono solo passioni per lutile, ma anche quella passione per la gloria, che sposta decisamente la lotta sul piano di beni simbolici e nella quale è possibile individuare unanticipazione del tema rousseauiano dellamour propre [4]. Ricoeur affronta qui la tematica hegeliana del riconoscimento alla luce dei lavori di Jacques Tamaniaux e del tentativo di attualizzazione di essa compiuto da Axel Honneth - tentativo che ha ricevuto in Francia una notevole attenzione critica [5]. Al progetto di Honneth egli dice di aderire nei suoi aspetti essenziali: “Nel mio vocabolario - scrive Ricoeur - si tratta di cercare nelle interazioni conflittuali la fonte dellampliamento parallelo delle capacità individuali evocate nel secondo studio sotto il segno delluomo capace alla conquista della sua ipseità. Con il mutuo riconoscimento si completa il percorso del riconoscimento di sé”(p. 274). Ricoeur tiene conto di tre elementi fondamentali della strategia argomentativa di Honneth: 1. laccoppiamento di discorso speculativo e messa alla prova sul piano empirico (Honneth accosta al discorso del giovane Hegel la psicologia sociale di Mead e il suo modello di genesi sociale del sé); 2. la distinzione tra amore, diritto e stima sociale, distinzione che ha il vantaggio di inquadrare il piano giuridico tra una struttura che lo precede e una struttura che va oltre il piano del diritto; 3) la corrispondenza tra queste tre forme di riconoscimento e tre figure della negazione del riconoscimento, capaci di fornire la motivazione morale delle lotte sociali prese in considerazione. Nel dialogo che intrattiene qui con Honneth, Ricoeur dapprima riprende la distinzione tra amore, rispetto e stima sociale per proporne degli approfondimenti e delle variazioni su tema; quindi, propone un superamento dellidea stessa di lotta per il riconoscimento, prendendo in considerazione quelli che egli definisce “états de paix”. Per quanto riguarda le variazioni su tema, la questione dellamore, primo momento del riconoscimento, viene sviluppata prendendo in considerazione le costrizioni e le regole, universali, e di natura pregiuridica, che la società si dà per governare quel primo passo diniziazione alla cultura che sono le relazioni parentali. La famiglia, incrocio di linee verticali di filiazione e orizzontali di coniugalità, presenta almeno tre invarianti culturali: ciascuno di noi è nato dallunione di un uomo e di una donna; ciascuno per nascita è collocato allinterno di una fratria; allinterno di ogni fratellanza lordine tra fratelli e sorelle non può essere scavalcato. Il legame coniugale, quale che sia lo statuto giuridico sul quale viene fondato, è soggetto anchesso a un vincolo imposto in tutte le varianti socialmente accettate della coniugalità: il vincolo dellincesto. Rifacendosi agli studi dello psicoanalista e giurista Pierre Legendre (e in particolare al suo Linestimable objet de la transmission. Étude sur le principe généalogique en Occident, 1985), Ricoeur si sofferma sullimportanza della genealogia quale principio di differenziazione e didentità e sul ruolo che essa assolve nel legittimare il posto dellindividuo, il quale è prima di tutto - come dice Pierre Legendre - “cet inestimabile objet de trasmission”: una res senza prezzo, fuori del mercato e del commercio ordinario, frutto del progetto parentale che mi iscrive quale elemento dinamico nellalbero genealogico, elemento di trasmissione del nome, di beni, di leggende familiari. “Grazie a questatto del riconoscersi nel lignaggio è possibile diffondersi in due direzioni opposte: da un lato, verso la nascita, e dallaltro, sulla questione dei permessi e delle costrizioni che il principio genealogico esercita per tutta la vita sul desiderio”, in particolare la genealogia con il tabù dellincesto mette ordine nei rapporti di parentela e organizza la filiazione, frapponendosi tra la distinzione dellordine e la confusione fantasmatica (cfr. pp. 285-286). Altrettanto interessanti sono le considerazioni a margine che Ricoeur scrive sul tema della stima sociale, terzo momento dopo la confidenza in sé stessi, che nasce dallesperienza dellamore, e il rispetto, legato alleguale riconoscimento di diritti civili, politici e sociali. La stima sociale pone una serie di questioni e di interrogativi che Honneth affronta in poche pagine e che Ricoeur intende invece prende in considerazione più nel dettaglio: a quale esigenza normativa nuova deve rispondere la stima sociale? Quali tipi di conflittualità sono legate a forme di mediazione che eccedono lambito giuridico? Quali capacità personali sono correlative a queste forme di mutuo riconoscimento? (cfr. p. 295). Honneth sembra far riferimento ad un orizzonte di valori condivisi che secondo le epoche e le culture possono condizionare il significato della stima sociale; la nozione di stima varia secondo le mediazioni sociali che rendono una persona “stimabile”; essa riguarda quindi lotte diverse nel contenuto e nelle forme da quelle relative allampliamento dei diritti. Ricoeur individua due possibili linee di sviluppo di questo discorso. La prima sulle tracce del secondo volume dellopera di Jean-Marc Ferry, Les puissances de lexperience (1991), dedicato agli “ordini del riconoscimento”, dove vengono analizzati i diversi sistemi sociali (tecnico, monetario, fiscale, giuridico, democratico, burocratico, mediatico, pedagogico e scientifico) che, mediante regolatori artificiali come il denaro o il diritto, servono a mediatizzare il riconoscimento reciproco, e dove nello stesso tempo ci si interroga sulla capacità che tali sistemi hanno di rimanere aperti alle domande di responsabilità degli attori sociali, ovvero di lasciare spazio ad una razionalità comunicativa. La seconda, seguendo le suggestioni di unopera di Luc Boltanski e Laurent Thévenot, De Lalternativa alla lotta per il riconoscimento è cercata nei processi di mutuo riconoscimento pacificati, incentrati su mediazioni simboliche che esulano sia dai rapporti di mercato sia dai rapporti giuridici. La nostra cultura conosce tre forme di “stati di pace” che vanno sotto il nome di filia (Aristotele) eros (Platone) e agàpe (nel senso biblico e post-biblico). Lagàpe fa valere i suoi titoli prima di tutto nei confronti della giustizia: il riferimento che la giustizia comporta allidea di equivalenza contiene il germe di interminabili conflitti suscitati dalla pluralità dei diversi principi relativi alla struttura conflittuale delle economie della grandezza, evocate da Boltanski e Thévenot. Se il test per sondare lesistenza di uno stato di pace è la fine del conflitto, la giustizia non lassicura, mentre è in grado di assicurarlo lagàpe, in quanto essa si sottrae ad ogni forma di equivalenza, ignora il paragone e il calcolo. Gli “stati di pace”, con in testa lagàpe, vengono complessivamente contrapposti da Luc Boltanski, che li ha esaminati nellambito di una sociologia dellazione in Lamour et la justice comme compétences (1990), agli stati di lotta, nei quali non sono inclusi solo la vendetta e la violenza, ma anche i processi in tribunale, ovvero le lotte che concernono Che cosa può aiutarci ad immaginare quel ponte necessario tra la poesia dellagàpe, con la sua logica dellabbondanza (“amate i vostri nemici”) e la prosa della giustizia, governata dal principio dequivalenza (“fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”), che Ricoeur aveva evocato già in un breve ma fondamentale scritto del 1990, Amor et justice? Corre qui in nostro soccorso la realtà del dono, in particolare nellinterpretazione che di essa offre Marcel Hénaff, in Le Prix de la verité[7]. Tutto lo sforzo di Hénaff è volto a separare le pratiche del dono tanto da quelle proprie della sfera economica, dalla veste di forma arcaica di scambio mercantile, quanto dal dono di tipo morale, dallimperativo della compassione e della condivisione. Il dono cerimoniale si colloca su un piano altro da quello dello scambio mercantile e dellatto oblativo privato o istituzionale. Il dono è per Hénaff un operatore del pubblico riconoscimento, il che ne spiega il carattere ostentatorio. Resta il paradosso di Mauss, del dono che pretende di essere ricambiato; ad esso Hénaff risponde spostando lattenzione dal dono alla relazione tra donatori: questa relazione è una forma di riconoscimento, sebbene di riconoscimento non riconosciuto tale. La cosa donata diviene il pegno e il sostituto del riconoscimento. Essa viene a esprimere una forma di relazione che non è alternativa alla relazione di mercato [8], ed è anzi con essa perfettamente compatibile, in quanto collocata su un livello diverso: limportante non è qui tanto la dimensione dello scambio di beni, ma il cerimoniale, vale a dire quella forma di relazione che si caratterizza per la rarità e leccezionalità, e mediante la quale si mira al reciproco riconoscimento pubblico. Il dono cerimoniale non può essere anonimo, privato, come la beneficenza: “Non solo deve essere conosciuto” - scrive Hénaff - “ma se non lo fosse mancherebbe il suo obiettivo, che è proprio di produrre un reciproco e pubblico riconoscimento, di creare e rinforzare il legame sociale”. Come in occasione di un premio letterario, della celebrazione di un successo o del festeggiamento di un anniversario, il dono cerimoniale ha come caratteristica che esso esige che vi sia una piena conoscenza di chi dona, chi è il destinatario del dono, di cosa si dona, in quale circostanza e occasione. “Si tratta - sottolinea Hénaff - di una forma sociale il cui effetto deve essere sociale” [9]. Il registro del dono non è esente da problemi e conflitti - Ricoeur lo ricorda soprattutto attraverso il lavoro della storica Nathalie Zemon Davis (Essai sur le don dans la France du XVI siécle, 2003)-, ma rimane forte in lui la convinzione che il dono reciproco cerimoniale offra un esempio di esperienza effettiva di mutuo riconoscimento. Più che sul dovere di ricambiare il dono, per Ricoeur si dovrebbe mettere laccento sul significato del dono in sé, sul perché donare. E in questo senso che il dono andrebbe visto nellottica dellagape, del dono senza attese di ritorno: “Piuttosto che di obbligazione a rendere, bisogna parlare, sotto il segno dellagàpe, di risposta a un appello sollevato dalla generosità iniziale”. Bisognerebbe daltra parte porre una particolare attenzione sul momento del ricevere, sul modo in cui si riceve, sullo spirito con cui si accettano doni, sul fatto se chi riceve provi o no riconoscenza, gratitudine (in francese reconnaissance ha anche il significato di gratitudine - come si è già ricordato in precedenza). Un ultimo aspetto sul quale Ricoeur mette laccento è il carattere cerimoniale del dono, che è teso a rilevarne la natura festiva, spesso oggi nascosta dalla pressione moralizzante al “dovere di donare” sul quale fanno leva gli istituti di beneficenza, le associazioni caritatevoli, ecc. Una pressione moralizzante anche necessaria, e sicuramente utile, ma che ci allontana dal significato festivo del dono, che si avvicina a gesti quali il perdono; a gesti come quello del cancelliere Brandt che a Varsavia singinocchia ai piedi del monumento alle vittime della Shoa, gesti che non creano istituzioni, ma che, secondo Ricoeur, aprono uno squarcio sui limiti della giustizia come equivalenza. Il dono, come il perdono, è un momento di pacificazione, di sospensione della lotta, una lotta probabilmente interminabile, ma la cui motivazione morale rimane grazie ad essi riconoscibile: realtà come il dono e il perdono ci ricordano, infatti, che la lotta per il riconoscimento non è condotta in nome della fame di potere, o del fascino della violenza (cfr. p. 355). Con Derrida, Ricoeur si chiede nelle conclusioni dellopera se il dono cerimoniale non possa rischiare di operare una forma di misconoscimento nel cuore stesso della relazione di riconoscimento, se esso non possa celare il misconoscimento di quella dissimmetria originaria tra me e laltro che abbiamo visto proporsi sul piano fenomenologico in almeno due diverse versioni: quella di Husserl, come primato dellio, e quella di Levinas, quale primato dellaltro. Per Ricoeur, la dissimmetria originaria e insuperabile tra lio e laltro deve costantemente rammentarci che nessuno dei due partner della relazione può essere mai sostituito: “lun nest pas lautre, on échange des dons, mais non des places”; e che una giusta distanza deve essere mantenuta allinterno del rapporto di mutualità per evitare relazioni fusionali (cfr. 374-377). Letture utili per lapprofondimento disponibili su InternetL.Degoi. “Ricoeur en reconnaissance dhumanité. Intervista a Paul Ricoeur”. Lhumanité, http://www.humanite.fr/journal/2004-03-24/2004-03-24-390682 . 24 marzo 2004. P.Ricoeur. Parcours de la reconnaissance.. Stock. Paris . 2004.
[3] Su questo punto cfr. L. Altieri, “Una lettura di Parcours de la reconnaissance di Paul Ricoeur”, Per la filosofia. Filosofia e insegnamento, XXI, 61 (maggio-agosto 2004 - numero dedicato allultimo Ricoeur), p. 88 [4] Cfr. E. Pulcini, “Il sé mimetico e il falso riconoscimento”, in M. Calloni, A. Ferrara, S. Petrucciani (a cura di), Pensare la società, Carocci, Roma 200, pp. 108-109; B. Carnevali, Romanticismo e riconoscimento. Figure della coscienza in Rousseau, il Mulino, Bologna 2004, in particolare, pp. 34-43. [5]Al contrario di quanto avviene in Ricoeur, in altri pensatori francesi la prospettiva honnethiana è stata accusata di essere eccessivamente ottimista e di aver privilegiato la funzione integratrice del conflitto, anziché quella antagonistica. Cfr. S. Haber, “Hegel vu depuis la reconnaissance”, in Revue du Mauss, I semestre 2004, pp. 70-87. Una lettura più radicale della concezione hegeliana del riconoscimento è oggi proposta in Francia da F. Fischbach (Fichte et Hegel. La reconnaissance, Paris, PUF 1999) e E. Renault (Mépris social, Éditions du Passant, Bègles, 2000). Critiche esplicite a Honneth e alla sua declinazione della teoria del riconoscimento sono state formulate da Y. Cusset (“Lutte pour la reconnaissance et/ou témoigner du différend: le mépris entre tort et reconnaissance”, in E. Renault, Y. Sintomer, Où en est la Théorie critique?, La Découverte, Paris 2003 e F. Fischbach, “Axel Honneth et le retour aux sources de la Théorie critique”, in op. cit. [6]Cfr. P. Ricouer, “La pluralità delle istanze di giustizia”, in Id., Il Giusto, Società editrice internazionale, Torino 1998, pp. 101-120. [7] E dallo stesso Hénaff che, molto probabilmente, Ricoeur trae lidea di proporre il dono come processo di riconoscimento pacificato, alternativo alla hegeliana lotta per il riconoscimento, cfr. M. Hénaff, Le prix de la vérité. Le don, largent, la philosophie, Éditions du Seuil, Paris 2002, n. 63, p. 183, dove si legge che il modello hegeliano di lotta per il riconoscimento presuppone la scomparsa dello spirito del dono e che allaproccio di Honneth manca letologia dellincontro presente nellantropologia del dono. Persino nella forma più agonistica di scambio di doni, come il Potlac, non si tratta mai, secondo Hénaff, di vero conflitto, semmai di una forma di rivalità ludica o ginnica. [8]E questo uno dei punti su cui Hénaff si è trovato a polemizzare con i teorici del MAUSS. Su questopera di Hénaff e i suoi rapporti con la te oria del dono del MAUSS, cfr. J. T. Godbout, “De la continuité du don”, Revue du Mauss, I semestre 2004, pp. 224-241, e la Correspondence entre Alain Caillé, J.T. Godbout e M. Hénaff, in op. cit. Il dibattito polemico tra Hénaff e quelli del MAUSS ha preso il via da unintervista che Hénaff ha rilasciato alla rivista Esprit (febbraio del 2002). [9] M. Hénaff, Le prix de la vérité. Le don, largent, la philosophie, cit., p. 156. Mercoledì, 25 maggio 2005 |