FILOLOGIA E TEOLOGIA: IL PESCE VIVO ("ICHTHUS"), IL PESCE MORTO ("ICTUS"), E IL MESSAGGIO EVANGELICO. CON LA SUA "DEUS CARITAS EST", BENEDETTO XVI, IL PONTEFICE MASSIMO, HA TOLTO AL PESCE ("I.CH.TH.U.S.") E ALL'AMORE DIVINO ("CHARITAS") L’ACCA ("H"), E HA INFERTO IL COLPO DEFINITVO ("ICTUS") ALLA CREDIBILITA' DELLA CHIESA CATTOLICO-COSTANTINIANA ...
UN MESSAGGIO CIFRATO PER BENEDETTO XVI. AL PONTEFICE MASSIMO E ALLA SUA EMPIA PRETESA DI AVERE UN POTERE PARI A DIO, IL GIORNALE DEI VESCOVI RICORDA LA LEZIONE DI GIOVENALE. Due articoli di Ilaria Ramelli sulla IV Satira.
(...) Giovenale designa Domiziano anche come «calvo Nerone» (v. 38), collegando Domiziano all’altro precedente persecutore dei cristiani, Nerone appunto, come farà Tertulliano chiamando Domiziano dimidius Nero («mezzo Nerone» ).
a cura di Federico La Sala
È san Giovanni il «pesce» fritto in padella da Giovenale? di Ilaria Ramelli (Avvenire, 09.03.2010) La IV satira di Giovenale, che ho studiato su Gerión nel 2000, è una critica a Domiziano per un fatto apparentemente ridicolo: una convocazione del Senato per decidere che fare di un enorme pesce recato all’imperatore. La satira è generalmente interpretata come una denuncia dell’oltraggioso trattamento spesso riservato al Senato da Domiziano e delle numerose condanne a morte di illustri membri della nobiltà romana. Ciò è corretto; tuttavia si è sottovalutato il valore specifico dell’episodio del pesce. Hanno attirato l’attenzione su questo e l’hanno interpretato in senso religioso Deroux e Luisi, il quale ha colto nella satira il riferimento a un episodio storicamente accaduto: Giovenale alluderebbe alla condanna della Vestalis Maxima Cornelia da parte di Domiziano ad essere sepolta viva. La profonda padella ( testa alta , v. 131) destinata al pesce rappresenterebbe la fossa che accolse Cornelia. Colpisce il ruolo di Pontefice Massimo attribuito a Domiziano e non giustificato dalla decisione sulla modalità di cottura di un pesce. Tuttavia, la padella per la cottura del pesce non assomiglia alla fossa terragna in cui fu calata Cornelia e il tenui muro del v. 132, proprio perché sottile, non corrisponde alla fossa; non si adattano a Cornelia né il carattere di «straniero» attribuito al pesce ( peregrina est belua, v. 127) né la denuncia al fisco ( res fisci est, v. 55; cfr. vv. 47-56). Tertulliano sembra illuminare meglio l’episodio riferito da Giovenale. L’apologista nel De praescriptione haereticorum, in un passo in cui ricorda il primato della Chiesa di Roma fra le Chiese cristiane e associa ad essa Pietro, Paolo e Giovanni (36,2-3), offre una breve notizia ignota alla tradizione precedente: Giovanni fu a Roma e vi subì un terribile supplizio, l’immersione nell’olio bollente ( in oleum igneum demersus), dal quale uscì illeso, dopo di che fu relegato in un’isola. Gerolamo, riferendosi poi allo stesso episodio, attesta che il contenitore dell’olio bollente in cui Giovanni fu calato era una giara di terracotta ( dolium ). La modalità del supplizio, inusitato nel mondo romano, è identica a quella della cottura del «pesce» di Domiziano in un’enorme e profonda padella di terracotta ( patina, v. 133; testa alta, v. 131): così fu l’immersione di Giovanni nell’enorme giara di terracotta piena d’olio bollente. L’esame della satira evidenzia anche altri elementi che fanno supporre la volontà di Giovenale di riferirsi al supplizio di Giovanni. La vittima è un pesce (un rombo di straordinarie dimensioni: spatium admirabile rhombi, IV 39), e il simbolismo cristiano del pesce, per l’acrostico del suo nome greco, era invalso nel II secolo, quando Giovenale era ancora in vita. Questo pesce viene da lontano, per mare, è «straniero, forestiero» come Giovanni, e approda in Italia presso Ancona (ibidem, v. 40), il che fa pensare a una provenienza dall’Oriente. Non offre resistenza alla cattura (v. 69). A causa degli innumerevoli delatori (vv. 47-48: plena et litora multo delatore), viene recato dal pescatore da Ancona ad Alba (v. 61), dove si trova Domiziano. In questa sezione è massima l’insistenza sui delatori, secondo i quali tutti i «pesci» dell’impero appartengono al fisco. Supponendo il valore cristoforo del pesce, la delazione poteva riguardare il fiscus Iudaicus, che Domiziano inasprì secondo Svetonio e che pretese di riscuotere anche dagli improfessi qui Iudaicam viverent vitam, i cristiani, che furono così costretti a venire allo scoperto e che vennero accusati di «ateismo» e di «costumi giudaizzanti» secondo Dione Cassio. Il dibattito sul «pesce» avviene ad Alba: là fu convocato il Senato (vv. 72-73) e si decise la sorte del «pesce». La Porta Latina, ove ebbe luogo secondo la tradizione l’immersione di Giovanni in olio bollente e ove furono eretti la basilica di S. Giovanni in Porta Latina e l’oratorio di S. Giovanni in Oleo, era quella da cui entrava a Roma chi proveniva da Alba. Il Senato dovette decidere del «pesce»; mancava una padella delle dimensioni giuste: sed derat pisci patinae mensura (v. 71); analogamente, il contenitore dell’olio bollente per Giovanni era di dimensioni inusuali. Poiché non si volle tagliare il pesce (v. 130-131), si decise di costruire una padella apposita d’argilla, enorme e profonda (vv. 131-135), identica alla giara dello stesso materiale (il dolium ) colma di olio bollente per Giovanni. *** * *** Giovenale: una satira «dalla parte dei cristiani» Lo scrittore si scaglia contro il persecutore Domiziano, segno che gli intellettuali latini stimavano la nuova fede di Ilaria Ramelli (Avvenire, 16.03.2010) Nella Satira IV, che probabilmente allude al supplizio di san Giovanni a Roma (come dicevamo la scorsa settimana), Domiziano è designato da Giovenale come Pontefice massimo ( «pontifici summo», v. 45). Questa caratterizzazione come supremo custode della religione pagana si adatta perfettamente alla condanna di Giovanni, responsabile di una colpa religiosa in quanto esponente di una superstitio illicita. Che Giovenale alluda al supplizio di Giovanni in questa satira è suggerito anche dal fatto che tutto il contesto della satira in cui è inserita la condanna del «pesce» sembra ricco di riferimenti alla persecuzione domizianea contro i cristiani. Giovenale designa Domiziano anche come «calvo Nerone» (v. 38), collegando Domiziano all’altro precedente persecutore dei cristiani, Nerone appunto, come farà Tertulliano chiamando Domiziano dimidius Nero («mezzo Nerone» ). Domiziano è aspramente criticato da Giovenale per la sua empia pretesa di avere una dis aequa potestas («un potere pari agli dei», vv. 70-71) e, soprattutto, l’accusa all’imperatore è motivata dalla condanna a morte di Acilio Glabrione, il quale era con ogni probabilità un cristiano ( vv. 94- 102). Inoltre, un altro passo importante rivela che l’intero contesto della satira evoca in vari punti Domiziano anche come persecutore dei cristiani: è l’osservazione conclusiva di Giovenale che aiuta a comprendere ancor meglio la chiave di lettura dell’intera satira: Domiziano cadde solo quando spaventò la plebe, i cerdones del v. 153, dietro a cui è stata intravista un’allusione ai cristiani. In effetti alla congiura di Sigerio e Partenio, che fu fatale a Domiziano, secondo Svetonio prese parte anche uno schiavo della famiglia di Clemente, Stefano, procuratore di Domitilla. Dice Filostrato che egli volle vendicare in tal modo l’uccisione di Clemente, decisa da Domiziano suo parente: anche se non risulta che Stefano fosse cristiano, nondimeno si seppe - e lo seppe anche Giovenale - che un membro della familia del cristiano Clemente aveva partecipato all’assassinio del persecutore Domiziano, con l’espresso intento di vendicare il suo padrone, che era stato messo a morte da Domiziano proprio perché cristiano. L’interesse di Giovenale per il supplizio di Giovanni, dunque, si inscriverebbe perfettamente in una satira che mira a denunciare la politica, soprattutto religiosa, di un imperatore che si era fatto pari agli dèi ( con una « dis aequa potestas » ) e nella quale il tema di Domiziano persecutore dei cristiani sembra costituire un motivo portante. Tale interesse si situa in un contesto storico in cui il fatto cristiano, in età neroniana e in età domizianea, sembra aver destato l’attenzione degli intellettuali pagani più di quanto comunemente non si supponga. Certo, l’atteggiamento di Giovenale verso i cristiani quale emerge dalla satira IV non è di indistinta simpatia: egli ammira certamente Acilio Glabrione e coloro che sanno opporsi al tiranno professando ad alta voce le loro convinzioni e dando la vita per la verità («verba animi proferre et vitam inpendere vero», v. 91), ma rivela una sfumatura di disprezzo verso i cerdones del v. 153: come Tacito, che ha rispetto per Pomponia Grecina (Annales, XII 32) e che mostra pietà verso i cristiani condannati ingiustamente nel 64, ma che li disprezza ricordandone i presunti flagitia (Annales, XV 44), Giovenale sembra nutrire stima per gli aristocratici cristiani che si erano opposti al tiranno, ma pare anche mostrare uno sdegnoso distacco verso la massa dei cristiani, appunto i cerdones _________________________________ Sul tema, in rete, si cfr.:
Martedì 16 Marzo,2010 Ore: 13:55 |