Il bambino spaventato che dorme alle radici del male
«Riprendersi la vita» Esce il nuovo saggio di Alice Miller sull’origine dell’orrore
In ogni terrorista o dittatore, come Hitler, si cela un’infanzia gravemente umiliata
di Alice Miller (l’Unità, 13.05.2009)
Da oggi è in libreria per Bollati Boringhieri un nuovo saggio di Alice Miller, la psicoanalista che ha dedicato la sua vita allo studio delle conseguenze di violenza e anaffettività sui bambini. Ne anticipiamo un brano.
In ogni dittatore, sterminatore o terrorista, per terribile che esso sia, si cela sempre e comunque un bambino che un tempo è stato gravemente umiliato e che è sopravvissuto solo grazie alla totale negazione dei propri sentimenti di assoluta impotenza. Tuttavia questa completa negazione della sofferenza subìta produce uno svuotamento interiore, e assai spesso blocca lo sviluppo della capacità innata di provare compassione per gli altri. Queste persone non hanno difficoltà a distruggere altre vite umane, persino la propria stessa vita vuota di senso. Oggi siamo in grado di vedere sullo schermo del computer le lesioni cerebrali che si producono nei bambini che hanno subìto percosse o che sono stati abbandonati. Ne riferiscono numerosi articoli di ricercatori di neurobiologia, in particolare di Bruce D. Perry, che è anche psichiatra infantile.
Dal mio punto di vista e sulla base delle mie ricerche sull’infanzia dei dittatori più efferati, come Hitler, Stalin, Mao e Ceausescu, vivo il terrorismo e gli ultimi attentati terroristici come la macabra, ma precisa dimostrazione di ciò che accade a milioni e milioni di bambini di tutto il mondo dietro il pretesto dell’educazione, e che purtroppo viene ignorato dalla società. Tutti noi in quanto adulti abbiamo dovuto conoscere ciò che molti bambini vivono nella loro quotidianità. Se ne stanno impotenti, muti e tremanti davanti all’imprevedibile, incomprensibile, brutale e indescrivibile violenza dei loro genitori che vendicano sui figli le sofferenze della propria infanzia, non rielaborate perché negate.
Dobbiamo solo ricordarci dei sentimenti che abbiamo provato l’11 settembre per immaginare la portata di una simile sofferenza: siamo rimasti tutti sopraffatti dall’orrore, dal raccapriccio e dal terrore. E tuttavia i rapporti esistenti tra vicende dell’infanzia e terrorismo continuano a essere minimizzati. È tempo di prendere sul serio il linguaggio dei fatti.
PRIMO, NON PICCHIARE
In base alle statistiche, più del novanta per cento della popolazione mondiale è fermamente convinta che i bambini vadano picchiati per il loro bene. Poiché quasi tutti noi abbiamo sperimentato l’umiliazione derivante da tale mentalità, la sua crudeltà non ci risulta affatto evidente. Ma ora il terrorismo mostra - come in precedenza è accaduto per l’Olocausto e per altre forme di barbarie - quali siano le conseguenze del sistema punitivo in cui siamo cresciuti.
Ciascuno di noi può osservare sullo schermo televisivo gli orrori del terrorismo, mentre quelli in cui crescono i bambini vengono raramente mostrati dai media, poiché noi tutti abbiamo imparato già nella prima infanzia a reprimere il dolore, a far finta di non vedere la verità e a negare l’assoluta impotenza di un bambino umiliato. Noi non veniamo al mondo - come si credeva un tempo - con un cervello già completamente formato; esso si sviluppa solo nei primi anni di vita. Ciò che il bambino ha vissuto in quel periodo lascia spesso dietro di sé tracce sia del bene sia del male che durano tutta la vita. Il nostro cervello conserva infatti la completa memoria fisica ed emotiva, anche se non quella mentale, di ciò che ci è successo.
SECONDO, SOCCORRERE
Senza la presenza di un Testimone soccorrevole il bambino impara a esaltare quello che ha incontrato: crudeltà, brutalità, ipocrisia e ignoranza. Ogni bambino infatti impara solo dall’imitazione e non dalle belle parole che si cerca di propinargli. Se, più tardi, quel bambino cresciuto senza la presenza di un Testimone soccorrevole arriverà a posizioni di potere, potrà essere uno sterminatore, un serial killer, un boss mafioso o un dittatore, e infliggerà allora a molte altre persone, o addirittura a intere popolazioni, lo stesso terrore che ha sperimentato nella propria infanzia sulla propria pelle. Se poi non ha un potere diretto, aiuterà i potenti a esercitare il terrore.
Purtroppo la maggioranza di noi non vuol vedere queste correlazioni. Così rimane ferma alla strategia dell’infanzia, alla negazione. Ma il proliferare della cieca violenza in ogni parte del mondo dimostra che non possiamo proseguire in un simile atteggiamento, che non possiamo più permetterci di essere ciechi.
Dobbiamo uscire dal sistema tradizionale che si orientava sulla punizione e la vendetta, che voleva combattere il male presente nell’altro. Ovviamente non dobbiamo trascurare la nostra protezione. Ma non ci resta quasi altra alternativa: occorre andare alla ricerca di altre forme di comunicazione, diverse da quelle apprese nella nostra educazione, e provare a metterle in pratica, forme di comunicazione basate sul rispetto, che non portino a nuove umiliazioni. È ormai tempo di destarsi da un lungo torpore.
Da adulti non corriamo più il pericolo di morte che nell’infanzia ha realmente minacciato molti di noi e che ci faceva agghiacciare dalla paura. Solo da bambini eravamo costretti a negare per sopravvivere. Da adulti possiamo imparare a non ignorare più il sapere del nostro corpo. Può infatti rivelarsi pericoloso non cogliere i veri moventi del nostro agire e non riuscire a comprenderli. Intanto la conoscenza della nostra storia ci può liberare dall’impiego di strategie inservibili e dalla cecità rispetto alle nostre emozioni. Oggi abbiamo la possibilità di guardarci intorno, di apprendere dall’esperienza e di cercare nuove soluzioni creative per i conflitti.
L’umiliazione dell’altro non produrrà mai una vera e durevole soluzione, ma sia nell’educazione che in politica creerà nuovi focolai di violenza. Anche se da bambini non abbiamo potuto apprendere ad aver fiducia in una comunicazione rispettosa, non è mai troppo tardi per impararla. Questo processo di apprendimento mi pare una significativa e promettente alternativa all’autoinganno fondato sull’esercizio del potere.
(...) Se la Bibbia e il Corano avessero proibito a chiare lettere di picchiare i bambini potremmo guardare al futuro con maggiori speranze. Le autorità spirituali che ci fanno da guida si rifiutano purtroppo pervicacemente di accogliere nella loro coscienza nuove informazioni di vitale importanza sui danni che le percosse possono produrre al cervello infantile. Non pensano minimamente a impegnarsi affinché i bambini vengano trattati con rispetto e a favore di un migliore futuro dell’umanità, perché tutti quanti, come bambini completamente terrorizzati, e come un tempo Martin Lutero, Calvino e anche numerosi filosofi, badano soprattutto a proteggere e a onorare l’immagine immacolata della propria madre.
Si tratta dell’immagine idealizzata della madre, che si vuol credere avesse agito bene, quando castigava senza pietà i propri figli. Mentre si scrivono tante belle parole sull’amore, ci si rifiuta di vedere come la capacità di amare venga distrutta quando si è ancora bambini.
Mercoledì 13 Maggio,2009 Ore: 09:44