JUSTITIA, ID EST DEUS. PER LA CRITICA DELL'ECONOMIA POLITICA - E DELLA TEOLOGIA MAMMONICA (Deus caritas est, 2006)
LA BILANCIA DELLA GIUSTIZIA, GLI ABISSI DELLA RICERCA DI ADRIANO PROSPERI, E LA SOSTA STUPITA DI ROSSANA ROSSANDA DI FRONTE AL PROBLEMA DEI PROBLEMI, L'EQUIVALENTE UNIVERSALE...
a cura di Federico La Sala
BENDATA O NON BENDATA? IMMAGINI DELLA GIUSTIZIA La bilancia E IL VELO Raffigurata come una bella signora che tiene nella sinistra una bilancia e nella destra una spada, la Giustizia ha a volte gli occhi bene aperti, a volte nascosti da una benda che le impedisce di vedere. Da qui ha preso le mosse Adriano Prosperi nel suo ultimo saggio, «Giustizia bendata», uscito per Einaudi, che analizza i mutevoli significati di un concetto centrale per la nostra società di Rossana Rossanda (il manifesto, 10.12.2008) Adriano Prosperi è uno di quei maghi che prende un frammento di storia e, girandolo fra le mani come un cristallo, ne moltiplica faccette e riflessi. In Giustizia bendata (Einaudi, 2008) la domanda che ha mosso la sua curiosità sembra semplice: perché la Giustizia, sempre raffigurata come una bella donna (il codice maschile ci ha considerate inferiori e però ha dato vesti femminili a idee, valori, virtù, arti, eccetera, va a capire) a volte è bendata e a volte no? Di regola è una bella signora che tiene nella sinistra una bilancia e nella destra una spada, ma sugli occhi può avere una benda o non averla. Proprio lei che deve discernere il torto dalla ragione! Prosperi ci inoltra in un labirinto, non senza metterci in guardia da conclusioni frettolose, incluse quelle di qualche grande iconologo (Panofski), che talvolta ignora la vastità del retroterra culturale e sociale dal quale a un certo momento sorge un simbolo in figura. È tutta un’avventura, occidentale e moderna, quella della benda messa sugli occhi della Giustizia; e riflette concetti diversi della Giustizia medesima, che restano parte nel dibattito odierno. È bellissima e bendata la giustizia che ha condannato un innocente, con la quale se la prende violentemente Edgar Lee Masters nell’Antologia di Spoon River. Ma non sempre la benda ha indicato una giustizia ingiusta. Chi si vanta di vivere tutto sul presente non sa quanto di noi rivela il passato e quanto poco innocente sia lo scordarsene. Disobbedienze fatali La vicenda comincia nel rinascimento. I greci avevano naturalmente un’idea della giustizia, grosso modo Dike, e distinta dai concetti del giudicare, grosso modo Temi. Nessuna delle due aveva la benda e neanche la spada; del resto giustizie non scritte ma figurate non vengono facilmente in mente. Gli dèi dei greci non sono particolarmente giusti, non l’irascibile Zeus e neppure Pallade Atena, che spesso è chiamata a giudicare ma per capriccio ha fatto impazzire Aiace, diventato una furia. Perché negli umani più che di malvagità o colpa si tratta sempre di un oscuramento della ragione, un errore, «amartìa». Quanto a Roma, più che di figurazioni mitiche si è occupata di dare alla coesistenza fra gli uomini concetti, regole, procedure, delle quali sappiamo ancora oggi, e che rispuntano nei secoli in Europa ogni volta che la giustizia è riportata con i piedi a terra. Nell’ebraismo, e di là nel cristianesimo, la giustizia implica una trascendenza, perché apparentata con la colpa originaria all’inizio dell’umanità. Il primo libro della Bibbia, la Genesi, narra della disobbedienza fatale di Adamo ed Eva, con conseguente perdita del paradiso, morte e dolore. La prima spada è quella dell’arcangelo che ci caccia all’est dell’Eden. Da allora la storia è un tempestoso dialogo degli imperfetti e quindi ingiusti uomini con Dio - il solo Dio, il solo nel quale sono conoscenza e giustizia. Justitia, id est Deus, titola un suo capitolo Prosperi. Una colpa inseparabile Dio non può essere cieco, quindi a lungo l’occidente cristiano lascia integra e vedente questa Giustizia, virtù cardinale. E così la rappresentano, bella creatura severa, Giotto e i senesi. La benda resta un attributo della volubile Fortuna, che di virtuoso e divino non ha proprio niente. È agli inizi del 1400 che appare una prima Giustizia bendata, in un contesto secolarizzato, una specie di aurora della Riforma, quando già corre il bisogno di un cambiamento della Chiesa. Ma sarà a fine secolo che nelle illustrazioni della Nave dei folli di Sebastian Brant (1494), giurista e poeta, una incisione rappresenta la signora con spada e bilancia mentre un pazzo le annoda una fascia sugli occhi. È un folle con il copricapo a sonagli, simile al fool di Shakespeare che spiattella impunemente in faccia al re acerbe verità, cosa che a un cortigiano normale non sarebbe permessa; l’ambiguità della follia, della quale sa molto Erasmo, fa capolino. Da quel momento - la Nave dei folli è a suo tempo un bestseller - la giustizia bendata dilagherà in quadri, incisioni e statue: specie nel XVI secolo. Ma cambiando segno per strada. In Brant era sicuramente negativo, impedire che la Giustizia vedesse era cosa da pazzi. Ma Lutero è gia là e separerà aspramente da Dio la giustizia del mondo, in coerenza con il pensiero tragico di Agostino: la colpa è inseparabile dagli uomini, siamo inchiodati al peccato originale, saremo salvati o dannati per grazia, non per le opere. La giustizia degli uomini non tiri Dio in ballo, sia espressione dell’autorità in terra cui - e lo impareranno duramente i contadini di Thomas Müntzer - ci si deve inchinare. In un mondo segnato incancellabilmente dal peccato, gli uomini sono ex origine soggetti alla tentazione e così ogni loro istituzione. E a meno di quarant’anni dal libro di Brant, nella edizione della Costituzione penale di Worms del 1531, quella benda diventa positiva: con un velo sugli occhi la giustizia si preclude dal vedere le parti che ad essa ricorrono, il ricco e potente che le porge una borsa d’oro e il povero niente di niente. Soltanto così potrà difendere le vedove e gli orfani che si riparano sotto la sua sfolgorante ma cieca immagine. Anzi meglio sarebbe che i giudici fossero anche senza mani con le quali afferrare l’oro. O, se loro ci vedono, è bene che sia bendato il sovrano, massima autorità in terra. Giustizie cieche e paci vedenti si abbracciano cordialmente. La benda è diventata garanzia di imparzialità. Perciò sono bendate le giustizie fanciulle che spesso sovrastano le fontane sulle piazze, perché come l’acqua la giustizia dev’essere un bene comune. Pietà per colpevole e boia Da allora restano bendate fino ai nostri giorni alcune statue che si ergono solennemente davanti ai tribunali. Non sapere chi si giudica sarebbe garanzia che la legge è uguale per tutti. Non la pensa così Rawls, ma è bendata la piccola Giustizia che la Corte suprema degli Stati Uniti tiene in mano e contempla meditabonda. È il colmo della secolarizzazione: non è una grande Giustizia che tiene in mano una piccola Corte, ma viceversa. Non basta. La benda ha una ambiguità di suo. È bendato il Giusto per eccellenza, il Cristo, quando viene flagellato da personaggi feroci e ghignanti, specie nel nord, ma non sempre: Gruenewald lo benda, qualche altro no - uno sconcertante Cristo dal viso fermo, le mani sulle ginocchia, ha alzato la benda sopra gli occhi sulla fronte e guarda lontano (Jorg Breu il Vecchio a Augsburg). Ma succede anche nelle nostre meno spaventevoli, perfino assurdamente serene, flagellazioni; l'Angelico lo benda, Piero della Francesca a Urbino no. Anche nel nord, subito dopo la flagellazione, non ha più benda quando gli viene imposta la corona di spine. Sono due visioni diverse della tradizione cristiana, ma anche del dipingere; nei nordici a cavallo fra il XV e il XVI secolo, eccezion fatta per Duerer che ha l’impronta del sud, le immagini della Passione riproducono i lineamenti stravolti e i corpi devastati conosciuti nelle rivolte del secolo appena trascorso. E poi, quando il figlio di Dio è bendato, perché lo è? Perché si trova nella più cieca impotenza umana? Perché non veda chi lo supplizia? O perché gli occhi dei tormentatori non incontrino i suoi? Anche ai condannati alla fucilazione si offriva la benda (gli eroi la rifiutavano) e «ciechi» erano i soldati del plotone che doveva sparare, ognuno ignorando se il suo fucile fosse fra quelli caricati a salve o no. La benda non evitava la pena ma un poco la celava. All’impiccato il cappuccio è imposto per non vederne il volto sotto la stretta. È la pietà per il colpevole, anche per il boia che colpevole è e non è. Misericordia cristiana. Più cattolica che protestante. Femminile anch’essa, speciale della Vergine che intercede per il peccatore. Ancora sulla mutevolezza di significati del vedere e non vedere. I giudici interrogavano e decidevano in segreto, era pubblico soltanto il supplizio. In democrazia diventa pubblico il processo e viene allontanata dagli occhi della folla la pena (l’esecuzione può essere vista, come concessione alla vendetta privata, in alcuni fra gli Stati Uniti). La pubblicità del processo è un cardine della democraticità come controllo popolare sul potere. Però da qualche tempo in qua la tv tenta di frugare davvicino il volto dei giudici e quello degli accusati - ne fa spettacolo. Ma fare spettacolo significa mostrare il vero? O banalizzarlo? O concedere al voyeurismo, al sadismo? Il giudice che si sa ripreso da una camera parla e decide come se non lo fosse? Nel dubbio, giudici o imputati possono rifiutare l’occhio della tv. Alla fine del volume, Prosperi ci mostra una Lady Giustizia in jeans che impugna un mitra e una daga. Sparita la bilancia, bendata. Cieca e repressiva. Metri e misure A proposito, la bilancia sembra della giustizia lo strumento più antico e indiscusso. Stava già accanto, segnala Prosperi, alla dea egizia Ma’at e pesava meriti e demeriti dei morti. Ma che significa pesare se non misurare? E la misura ha un metro convenzionale. Ma qual è il metro con il quale si misura la giustizia? La bilancia serviva allo scambio delle merci. La giustizia che scambia? Uno stupro vale tot di grano, dicono le prime tavole di Gortyna; ancora adesso «si paga» con la galera o i soldi. Che hanno in comune? Nulla, diversamente dal feroce occhio per occhio, dente per dente. La bilancia della giustizia sottintende un equivalente universale fra dolore e colpa, colpa e pena. O cielo. Non è la prima volta - penso a Tribunali della coscienza e a Dare l’anima - che Adriano Prosperi si affaccia su questi abissi. __ Sul tema, nel sito, si cfr.: CHI SIAMO NOI IN REALTA’? Relazioni chiasmatiche e civiltà. Lettera da ‘Johannesburg’ a Primo Moroni (in memoriam)
Giovedì 11 Dicembre,2008 Ore: 18:29 |