Antigone, forse più di tutte le altre tragedie, è esempio di ricca messe di significati potenziali, che le generazioni di lettori nel tempo hanno costruito su un testo di classica semplicità e, insieme, di straordinaria complessità e fecondità. Ma che esista un nucleo di significato originario autenticamente sofocleo, dettato dalle condizioni della vita della città e indirizzato agli Ateniesi di quel tempo, si deve facilmente ammettere. In generale, tutte le rappresentazioni tragiche, per il loro carattere pubblico, ubbidivano a una funzione pedagogica ufficiale.
Anche la scelta degli argomenti, per lo più legati a figure e avvenimenti regali, sempre ripresi dagli Autori tragici in veri e propri cicli (di Oreste, di Edipo o di Tebe), mostra lŽintento di promuovere e vivificare, di anno in anno, la discussione della città su temi vitali. In Antigone è evidente e pieno di insegnamento il cambiamento radicale - dallŽelogio del tiranno allŽelogio della saggezza - che si manifesta nella psiche del Coro, il Coro che rappresenta la città: allŽinizio, tutto dispiegato a giustificare la decisione sovrana del re: «Certo tu hai il potere di adottare qualsiasi misura, sia verso i morti che verso i vivi» (vv. 212 ss.); e alla fine, attraverso dolorosi passaggi, tutto ripiegato a considerare lŽinsensatezza dellŽarbitrio: «La saggezza è la prima condizione della felicità. Non si deve mai commettere empietà verso gli dei. Le parole superbe degli uomini arroganti scontano i colpi spietati del destino e in vecchiaia insegnano a essere saggi» (vv. 1348).
È questione della sepoltura di un cadavere e gli studi sul diritto funerario dellŽepoca fanno pensare a contrasti sulla condizione giuridica delle spoglie di chi - come Polinice, il fratello di Antigone - avesse preso le armi contro la patria. Il tema del funerale è ritornante. Lo troviamo, ad esempio, in Aiace, dove in due circostanze (vv. 1130 e 1343) si tratta del dovere di seppellire i morti «secondo la legge degli dei», e in Supplici (vv. 524 ss. e 531 ss.) dove lŽargomento è affrontato dal punto di vista della "legge dei Greci" o "legge panellenica". Si è anche congetturata lŽesistenza di unŽoccasione specifica, i contrasti circa il ritorno in patria dei resti di Temistocle, il difensore di Atene, lŽeroe di Salamina, datosi al re persiano e morto suicida, ciò di cui narrano Tucidide e Plutarco.
Il diritto funerario era collocato in un punto nevralgico del sistema giuridico del tempo, al confine tra il diritto del genos e il diritto del demos, il primo tradizionale e arcaicizzante, il secondo convenzionale e modernizzante. Il significato storicamente determinato di Antigone è dunque vasto. Le riforme di Pisistrato e lŽinizio dellŽesperienza democratica, fin dallŽinizio del V secolo, stavano spostando lŽequilibrio, in nome dellŽisonomia, a sfavore del diritto arcaico, non scritto, di matrice aristocratica. Dato il potere del tiranno o la volontà della maggioranza, il rischio della legge arbitraria doveva essere oggetto di riflessioni preoccupate. Tanto più che si manifestavano i primi effetti disgreganti della compagine cittadina e del suo nomos determinati dalla critica di sofisti. Mettendosi in discussione le credenze tradizionali in vista della formazione, per così dire, dellŽ"uomo di cultura" e diffondendosi punti di vista relativisti, si finiva per esaltare il diritto come pura volontà, rischiando di assecondare le propensioni tiranniche della democrazia.
È chiaro, tuttavia, che, per le generazioni che si sono abbeverate alle fonti tragiche, lŽessenziale non è il contesto storico di allora. Le innumerevoli Antigoni che dalla prima sono state tratte hanno trovato la loro verità non in una pretesa corrispondenza con un nucleo originario di pensiero autentico e storicamente determinato, consegnato al testo sofocleo, ma nella capacità sempre nuova di rappresentare lo specchio di permanenti contraddizioni dellŽesistenza umana, ovvero nella possibilità di mettere in rilievo le vie che fatalmente portano allŽepilogo tragico, per distogliere dallŽimboccarle finché si è in tempo. Questo è il legittimo "uso attuale" delle grandi figure del teatro classico: lŽinterrogazione dei testi a partire da domande concrete che cercano risposte in una riflessione generale e le trovano anche oltre quel che originariamente i testi intendevano significare, in relazione alle specifiche condizioni in cui furono scritti. In Antigone, tale fecondità di pensiero concerne le vicende del potere e della resistenza al potere. Così, quella che è stata definita la più filosofica di tutte le tragedie classiche si è dimostrata anche essere la più politica di tutte, anche se non immediatamente politica. Essa tocca i caratteri primigeni della politica ed è quindi sempre politicamente rilevante. Delineando nel modo più netto la figura della coscienza pura che si ribella alla prepotenza del despota, essa è stata ed è esempio e sostegno di chi disobbedisce per ragioni morali e pone in discussione così la legittimità del potere che pretende obbedienza. Individuo e collettività: tra questi estremi stanno i problemi maggiori di ogni filosofia politica e sta, per lŽappunto, la vicenda di Antigone. (...)
Al centro dello scontro tra Antigone e Creonte cŽè un corpo, conteso tra pietà familiare e ragion di stato. Antigone, sorella, lo vuole sepolto; Creonte, re, insepolto. La prima fa valere la legge del sangue; il secondo, la legge della città. Per quanto lontani dalla pietas antica verso i defunti, neppure oggi potremmo sminuire il contrasto. Nella cultura antica, il defunto privo di onori funebri era destinato a vagare senza patria: non più quella dei vivi e non ancora quella dei morti. La profanazione del corpo di un morto è oltraggio a quanto cŽè di più santo nellŽidentità di una famiglia. Lo spregio più odioso è la profanazione dei sepolcri. Il diritto funerario è fondamento di tutte le civiltà, dallŽantichità più remota. Se noi meno ne avvertiamo lŽimportanza fondativa delle società dei viventi, se la sorte dei cadaveri è diventata quasi esclusivamente problema di spazi e igiene pubblici, è solo perché lŽeffimero mondo dei vivi è venuto ad assorbire ogni energia, speranza e attenzione. Il ludibrio del corpo che marcisce insepolto è rituale di annientamento. Essere consegnati alle mani dei propri cari, dopo morti, è invece lŽultima difesa contro la disperazione, è tornare a casa, alla "terra nativa" (v. 1203) dove cŽè pace e vita che continua nella pietà del ricordo. «Cara mamma», scrive un condannato a morte della Resistenza di 18 anni, «oggi 17 alle ore 17 fucilati innocenti. La mia salma si trova [notare il tempo presente] di qua dalla scuola cantoniera dove sta Albegno, di qua dal ponte. Potete venire subito a prendermi [notare: non a prenderla]. Mi sono tanto raccomandato, ma è stato impossibile intenerire questi cuori. Mammina, pregate per me, dite ai miei fratelli che siano buoni, che io sono innocente. Mentre scrivo ho il cuore secco, mamma e babbo cari venite subito a prendermi. LŽanello datelo alla mia Maria, che lo tenga per ricordo».
Alle prese con un cadavere, carico di ricordi e significati simbolici e affettivi, è Antigone, una giovane donna di nobili natali (gli eroi tragici sono sempre tali, quasi che la gente semplice - come il nunzio nei vv. 223 ss. - non sia capace di sentimenti elevati), promessa sposa del figlio di Creonte stesso, Émone, anche lui una vittima. Fino ad allora, nulla diceva che fosse unŽestremista, una ribelle. Non esistono, né in Antigone né in tutto il ciclo di Tebe, segni della predestinazione a un simile ruolo: anzi, i precedenti la mostrano fanciulla saggia, desiderosa di preservare sé e la sua famiglia da ulteriori sciagure decretate dal destino. I giovani devono sopravvivere alle maledizioni dei padri. Veniva infatti da una genia particolare e la maledizione di Edipo che, per i suoi inconsapevoli delitti, si era strappato dagli occhi (I sette contro Tebe, stasimo II), incombeva sui suoi figli-fratelli e sulle sue figlie-sorelle. LŽEdipo a Colono preannuncia il conflitto mortale tra Eteocle e Polinice, figli di Edipo, per il governo di Tebe dalle sette porte. Antigone aveva cercato di dissuadere il fratello prediletto, Polinice, dallo scontro mortale, ma senza successo: «Nelle mani di dio, del nostro dèmone, sta lŽessere e il mutarsi delle cose», questi aveva risposto (vv. 1849-1850). Levato un esercito di Argivi, lŽaveva mosso contro Eteocle e Tebe. I due fratelli si erano affrontati in armi e si erano dati lŽun lŽaltro la morte. Creonte, fratello della lor madre Giocasta, aveva assunto il potere e, come primo atto decretando funerali solenni per Eteocle, il difensore della città, e lŽesposizione del cadavere alle fiere e agli uccelli rapaci per il traditore Polinice, ad ammonimento per tutti coloro che avessero tramato contro la città e il suo re. Chi avesse violato il divieto di sepoltura sarebbe stato messo a morte.
Mercoledì, 11 maggio 2005
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