Da Bergson appunti sulla creatività del tempo
di MARIO PORRO (il manifesto, 05.02.2005)
«Durata e simultaneità» il libro «maledetto» di Bergson scritto non per contestare la «geniale intuizione» di Einstein ma per evidenziarne «equivoci» e formulazioni ambigue. Unincursione nei territori degli scienziati di professione che suscitò la reazione stizzita del fisico, polemiche e conflitti
Apparso nel 1922, Durata e simultaneità continua ad essere giudicato un «infortunio» nel percorso filosofico di Henri Bergson. Prendendo in esame la teoria della relatività, veniva tra queste pagine ribadita la tesi del Saggio sui dati immediati della coscienza dell89: la scienza sarebbe incapace di cogliere la realtà del tempo come durata, come fluire continuo e indistinto, che si rende avvertibile alla nostra coscienza. Anche il tempo di Einstein si riduce a quel surrogato farsesco dato dal movimento dei corpi nello spazio e misurato dalle lancette degli orologi: ma questo è soltanto tempo spazializzato, traduzione dello scorrere qualitativo e differenziato in una successione di istanti tutti uguali, simile a una collana di perle. A differenza dei cicli reversibili dei moti celesti, il tempo vissuto nella nostra interiorità conserva il passato in un presente a sua volta gravido dellavvenire, come nellavvolgersi di un gomitolo; è la stessa durata, irreversibile e innovativa, che ritroviamo nellevoluzione creatrice (secondo il titolo dellopera del 1907) del vivente, dove uno slancio vitale costruisce un futuro imprevedibile. Lobiettivo di Bergson non era contestare la «geniale intuizione» di Einstein verso il quale dichiarava profonda ammirazione; si trattava invece di evidenziarne gli «equivoci», le formulazioni ambigue, il che costringeva a incursioni nei territori degli scienziati di professione. Einstein reagì sbrigativamente accusando il filosofo di scarse competenze matematiche, non senza aggiungere «che Dio lo perdoni!». Bergson finì per non ripubblicare più questo libro maledetto, anche per non suscitare nuove polemiche e astiosi conflitti; ma pur riconoscendo la sua difficoltà a seguire le complicazioni della relatività generale, avrebbe confermato le sue tesi nel Pensiero e il movimento del `34 (Bompiani, 2000). La preziosa introduzione di Fabio Polidori indica in Durata e simultaneità (Raffaello Cortina Editore, pp. 220, € 22,00) lesempio eminente dei problematici rapporti fra scienza e filosofia, delle incomprensioni che si scatenano quando vengono meno le distanze di sicurezza. Pur auspicando che i due campi possano farsi complementari, è alla filosofia comunque che spetta per Bergson dire la parola ultima sulle cose. La scienza infatti si inganna: non per ragioni di metodo, o per errori nelle formule, non perché «non pensa», ma perché fa della misura il criterio della verità oggettiva. Così il tempo che la scienza conosce rimane fittizio, simbolico e convenzionale: persa lesperienza concreta che la coscienza vive della durata, non resta che rivolgersi allo spazio e bloccare il flusso nelle istantanee, negli istanti della misura, «stati» in cui il tempo si solidifica ed inaridisce. Il tempo reale non ha istanti: una serie di fotografie di Parigi non sono la stessa cosa di una giornata passata a passeggiare per le sue strade, la molteplicità indivisibile del tempo non si può congelare nei segmenti con cui dividiamo lo spazio. La durata è memoria interna al cambiamento stesso, la stessa memoria che ci assiste quando ascoltiamo a occhi chiusi una melodia: la nostra coscienza prolunga il prima nel poi, stabilisce il collegamento fra il suono passato e quello che stiamo ascoltando e in cui già scorgiamo le tracce dei suoni a venire. Spazio e Tempo non sono accomunabili, come crede la tradizione del pensiero: solo del primo si può dire che la sua essenza si esaurisce nella misura. Parlare di spazio-tempo, come fa Einstein, o considerare il tempo una sorta di quarta dimensione dello spazio, come si dice in modo volgarizzato, non significa altro che rendere esplicito quanto già era implicito nei presupposti della scienza moderna: più che un rivoluzionario, Einstein appare un prosecutore di Cartesio, del suo progetto di geometrizzare la materia, e un erede del meccanicismo newtoniano. Mercoledì, 09 febbraio 2005 |