Il fattore Sadr

Il sottovalutato nemico di Bush


di Yassin Musharbash (traduzione dal tedesco di José F. Padova)

SPIEGEL ONLINE - 19. April 2004, 18:13
URL: http://www.spiegel.de
La sollevazione del capo sciita iracheno Moqtada al-Sadr contro gli occupanti era prevedibile. Eppure, invece di togliere il giovane radicale per tempo fuori dalla circolazione, gli USA si cullarono per mesi su soluzioni illusorie. Adesso incombe uno showdown nella città santa di Najaf.
Berlino – All’inizio vi fu una prognosi errata: con “fiori e dolciumi”, così aveva profetizzato l’esiliato iracheno negli USA Kanan Makiya al presidente Bush in gennaio 2003, gli sciiti iracheni avrebbero accolto le truppe della coalizione. Quando due mesi dopo la guerra ebbe realmente inizio, si dimostrò in fretta quanto questa previsione fosse sbagliata. Anche nelle roccaforti sciite gli occupanti si sono scontrati con la sollevazione.
Uno dei capi sciiti si mise particolarmente in luce fin dall’inizio: mentre la maggior parte degli ecclesiastici mantennero i loro seguaci su posizioni moderate, il giovane Moqtada al Sadr, non appena i primi soldati USA ebbero messo piede nel Paese dei Due Fiumi, già ne chiedeva l’incondizionato ritiro. Eppure gli Stati Uniti non reagirono alla provocazione. Senza essere disturbato dalle truppe di occupazione nei mesi che seguirono al-Sadr fu in grado di stampare volantini antiamericani e organizzare dimostrazioni. Che là si fosse stabilito un potenziale capo di ribelli gli USA non vollero o poterono comprenderlo.
Gli sciiti non hanno mai perdonato gli americani
Il nemico del nostro nemico è nostro amico, sembra che gli strateghi militari degli Stati Uniti abbiano presupposto nei loro rapporti con gli sciiti. Poiché erano stati repressi brutalmente per decenni da Saddam Hussein, questo era il calcolo, gli sciiti non avrebbero poi attaccato alle spalle i loro liberatori USA. Un’illusione che il consigliere di Bush Makiya già da tempo ha corretto: “Ho sottovalutato quanto profonda fosse la diffidenza degli iracheni contro gli USA – soprattutto fra gli sciiti del sud, che furono ripetutamente abbandonati al loro detsino dagli americani”, ha dichiarato già in aprile 2003, poco dopo l’inizio della guerra, in un’intervista a Der Spiegel.
In quel momento gli USA non avevano ancora compreso questa lezione. Infatti, quando al-Sadr in quei mesi cominciò l’addestramento della sua “Armata del Mahdi”, gli Stati Uniti non intervennero. Essi speravano sempre di poter mettere ai margini al-Sadr con il sostegno dei capi sciiti moderati. Oggi è proprio quell’ “Esercito del Mahdi”, della forza stimata di circa diecimila uomini, che nella città santa di Najaf fronteggia con selvaggia determinazione gli americani – e la cui [ndt.: dei ribelli o della città?] distruzione gli USA hanno ora annunciato.
Che al-Sadr rinunci è inverosimile
In queste ore le truppe USA hanno accerchiato la città. Moqtada al-Sadr rimane nel frattempo all’interno della città, a poche centinaia di metri dal suo più importante sacrario. Se gli USA dovessero assaltare con la violenza la città, questo sa anche al-Sadr: la situazione minaccerebbe di inasprirsi. Nessun sciita sopporterebbe una simile profanazione della città.
In questo modo, con negligenza, gli USA si sono cacciati da sé in un tremendo groviglio: Con la loro inerzia hanno reso possibile l’ascesa di al-Sadr talmente a lungo che questi è stato in grado di costringere gli USA a uno showdown militare. Che gli USA possono soltanto perdere. Una vittoria militare o l’uccisone di La-Sadr trascinerebbe altri strati della popolazione sciita su posizioni radicali, il loro ritiro poi sarebbe interpretato come codardia e debolezza degli USA e farebbe salire la considerazione per al-Sadr. Soltanto se al-Sadr si arrendesse gli USA avrebbero una chance di salvarsi la faccia. Ma questo è inverosimile: l’ideale del martirio nell’Islam sciita è radicato troppo profondamente perché un capo ci si comprometta.
L’esercito americano nello scompiglio
Il vicolo cieco, nel quale gli USA adesso si trovano infilati, avrebbe potuto essere evitato. Gli occupanti hanno lasciato passare numerose occasioni di togliere dalla circolazione Moqtada al-Sadr in tempo utile . Quando il 10 aprile 2003 fu assassinato Sajjid Abd al-Madschid al-Chui, capo sciita amico degli USA e concorrente di al-Sadr, i sospetti si orientarono subito su quest’ultimo. Un giovane giudice iracheno svolse indagini sul caso e giunse alla conclusione che l’uccisione sarebbe avvenuta per ordine di al-Sadr. Nell’agosto 2003 egli emise quindi un mandato di cattura contro il predicatore, 31enne per propria ammissione, ma probabilmente di soli 25 anni.
Per paura che un arresto potesse radicalizzare i suoi seguaci gli USA rinunciarono a catturare al-Sadr. Due volte i relativi piani per la cattura furono bloccati all’ultimo minuto, come riferisce il settimanale americano “Newsweek” nella sua edizione attuale. Una pericolosa sorta di appeasement, come ogi si dimostra. Eppure la cattura di al-Sadr avrebbe aiutato i capi sciiti moderati, come Ali al-Sistani – e proprio in direzione favorevole agli interessi americani. Ci sarebbero stati forse un paio di giorni di disordini, sicuramente una pessima stampa per gli occupanti e accuse di aprire un nuovo fronte – ma è possibile che l’attuale sollevazione avrebbe potuto essere impedita.
Sottovalutazione del potenziale sciita
Nell’ottobre del 2003 vi fu una ulteriore buona occasione per rendere al-Sadr inoffensivo. Il taurino demagogo aveva allora dichiarato che avrebbe instaurato un suo proprio governo iracheno. Tre giorni dopo i suoi seguaci prendevano l’edificio della Posta a Kerbala. Furono fermati soltanto all’ultimo momento prima che si impadronissero del pingue ammontare delle offerte religiose di quella meta di pellegrinaggi. Ciononostante al-Sadr retsò un uomo libero. A questo punto il governo degli USA sperava, come riferisce a “Newsweek” un collaboratore della Casa Bianca, che i servizi di sicurezza iracheni sarebbero presto stati in grado di catturare al-Sadr. Anche questa fu chiaramente una supposizione frutto di un ottimistico abbaglio.
Gli errori, che gli USA commisero nel loro rapporto con al-Sadr, sono la conseguenza di una fondamentale sottovalutazione del potenziale di una sollevazione sciita. Gli USA speravano, con quattro gatti di sciiti dalla loro parte, di allettare sufficientemente gli iracheni e guadagnarli alla loro causa; non c’era una strategia più sofisticata per guadagnarsi gli sciiti, che costituiscono un buon 60 percento della popolazione totale.
Ma Ahmad Chalabi, membro sciita del Consiglio di Governo, per la maggior parte degli sciiti passa per corrotto e poco credibile. Il predicatore al-Chui è morto. E anche l’ecclesiastico al-Hakim, fatto rientrare dall’esilio con un aereo americano, è stato pure assassinato – molti ritengono anch’egli dalla gente di al-Sadr.
Ormai ci sono due autorevoli dirigenti degli sciiti: l’ajatollah al-Sistani, moderato e e dovunque bene accetto per la sua autorità di teologo, e poi il poco preparato teologicamente, ma per questo ancora più determinato Moqtada al-Sadr, che attira tutti coloro per i quali al-Sistani è troppo equidistante e pronto al compromesso – e cui non piace che al-Sistani sia di discendenza iraniana. Al contrario al-Sadr è un iracheno purissimo e rampollo di una dotta famiglia sciita, dei cui membri molti trovarono la morte nel martirio della resistenza.
Non si può per nulla prevedere quanto a lungo al-Sadr resisterà. Di sicuro per lo meno c’è questo: egli è convinto che per lui ora è arrivato il momento di mettere i piedi nelle orme dei suoi predecessori.

Testo originale

Der Sadr-Faktor
Bushs unterschätzter Feind
Von Yassin Musharbash
SPIEGEL ONLINE - 19. April 2004, 18:13
URL: http://www.spiegel.de/

Der Aufstand des irakischen Schiitenführers Muktada al-Sadr gegen die Besatzer war vorhersehbar. Doch anstatt den jungen Radikalen frühzeitig aus dem Verkehr zu ziehen, setzten die USA monatelang auf illusorische Lösungen. Nun droht ein Showdown in der heiligen Stadt Nadschaf.
Berlin - Am Anfang stand eine falsche Prognose: Mit "Blumen und Süßigkeiten", so hatte der in den USA lebende Exil-Iraker Kanan Makiya dem US-Präsidenten George W. Bush im Januar 2003 prophezeit, würden die irakischen Schiiten die Koalitionstruppen empfangen. Als der Krieg zwei Monate später tatsächlich begann, zeigte sich schnell, wie unzutreffend diese Vorhersage war. Auch in den schiitischen Hochburgen stießen die Besatzer auf Widerstand.
Besonders einer der Schiitenführer fiel dabei von Beginn an auf: Während die meisten Kleriker ihre Anhänger zur Zurückhaltung anhielten, forderte der junge Muktada al-Sadr, kaum dass die ersten US-Soldaten das Zweistromland betreten hatten, schon wieder deren bedingungslosen Abzug. Doch die USA reagierten nicht auf die Herausforderung. Unbehelligt von den Besatzungstruppen konnte al-Sadr in den Folgemonaten anti-amerikanische Flugblätter drucken und Demonstrationen organisieren. Dass sich hier ein potenzieller Rebellenführer etablierte, wollten oder konnten die USA nicht verstehen.
Die Schiiten haben den USA nie verziehen
Der Feind unseres Feindes ist unser Freund, scheinen die US-Militärstrategen in ihrem Umgang mit den Schiiten vorausgesetzt zu haben. Weil sie vom Tyrannen Saddam Hussein jahrzehntelang brutal unterdrückt worden waren, so das Kalkül, würden die Schiiten ihren US-Befreiern schon nicht in den Rücken fallen. Eine Illusion, die Bush-Berater Makiya schon längst korrigiert hat: "Ich habe unterschätzt, wie tief das Misstrauen der Iraker gegen die USA war - vor allem unter den Schiiten im Süden, die wiederholt von den Amerikanern allein gelassen wurden", erklärte er bereits im April 2003, kurz nach Kriegsbeginn, in einem Interview mit dem SPIEGEL.
Die USA hatten diese Lektion zu diesem Zeitpunkt noch nicht begriffen. Denn selbst, als al-Sadr in diesen Monaten mit der Bildung seiner "Mahdi-Armee" begann, schritten die USA nicht ein. Noch immer hofften sie, al-Sadr durch die Unterstützung gemäßigter Schiitenführer wieder an den Rand drängen zu können. Heute ist es eben jene auf rund zehntausend Mann geschätzte "Mahdi-Armee", die den USA in der heiligen Stadt Nadschaf wild entschlossen die Stirn bietet - und deren Zerstörung die USA jetzt angekündigt haben.
Dass al-Sadr aufgibt, ist unwahrscheinlich
Zur Stunde haben die US-Truppen Nadschaf umzingelt. Muktada al-Sadr hält sich derweil im Inneren der Stadt auf, nur wenige hundert Meter von ihren wichtigsten Schreinen entfernt. Sollten die USA die Stadt gewaltsam stürmen, das weiß auch al-Sadr, droht die Lage vollends zu eskalieren. Kaum ein Schiit würde eine solche Entweihung der Stadt hinnehmen.
Fahrlässig haben sich die USA so selbst in eine Zwickmühle manövriert: Durch ihre Tatenlosigkeit haben sie den Aufstieg al-Sadrs so lange ermöglicht, bis jener in der Lage war, die USA zu einem militärischen Showdown zu zwingen. Den können die USA nur verlieren: Ein militärischer Sieg oder die Tötung al-Sadrs würde weitere Teile der Schiiten radikalisieren; ein Abzug wiederum würde den USA als Feigheit und Schwäche ausgelegt werden und al-Sadrs Ansehen steigen lassen. Nur wenn al-Sadr aufgäbe, hätten die USA eine Chance, ihr Gesicht zu wahren. Doch das ist unwahrscheinlich: Das Ideal des Märtyrertums ist im schiitischen Islam zu tief verankert, als dass ein Anführer sich diese Blöße geben könnte.
Die US-Armee in der Zwickmühle
Die Bedrouille, in der die USA nun stecken, hätte durchaus verhindert werden können. Gleich mehrere Gelegenheiten ließen die Besatzer verstreichen, Muktada al-Sadr frühzeitig aus dem Verkehr zu ziehen. Als am 10. April 2003 der konkurrierende, US-freundliche Schiitenführer Sajjid Abd al-Madschid al-Chui getötet wurde, richtete sich der Verdacht schnell gegen al-Sadr. Ein junger irakischer Richter untersuchte den Fall und kam zu dem Ergebnis, dass al-Sadr den Tod in Auftrag gegeben habe. Im August 2003 erließ er deshalb einen Haftbefehl gegen den nach eigenen Angaben 31 Jahre alten, vermutlich aber erst 25 Jahre zählenden Prediger.
Aus Angst, eine Festnahme könnte seine Anhänger radikalisieren, verzichteten die USA allerdings darauf, al-Sadr festzusetzen. Zwei Mal wurden entsprechende Pläne in letzter Minute gestoppt, berichtet das amerikanische Magazin "Newsweek" in seiner aktuellen Ausgabe. Eine gefährliche Art von Appeasement, wie sich heute zeigt. Denn eine Gefangennahme al-Sadrs hätte den gemäßigten schiitischen Führern wie Ali al-Sistani geholfen - und das wäre durchaus im US-Interesse gewesen. Vielleicht hätte es ein paar Tage Unruhen gegeben, mit Sicherheit auch eine schlechte Presse für die Besatzer und Vorwürfe, eine neue Front aufzumachen - möglicherweise hätte aber der gegenwärtige Aufstand verhindert werden können.
Unterschätzung des schiitischen Potenzials
Im Oktober 2003 gab es einen weiteren guten Anlass, al-Sadr unschädlich zu machen: Er werde eine eigene irakische Regierung aufstellen, erklärte damals der bullige Demagoge. Drei Tage später nahmen seine Anhänger das Postamt von Kerbela ein. Erst im letzten Moment konnten sie davon abgehalten werden, sich der reichen Spendengelder der Pilgerstadt zu bemächtigen. Al-Sadr blieb trotzdem ein freier Mann. Die US-Regierung hoffte zu diesem Zeitpunkt, zitiert "Newsweek" einen Mitarbeiter des Weißen Hauses, dass irakische Sicherheitsdienste bald in der Lage sein würden, sich al-Sadrs anzunehmen. Auch das war freilich eine verblendet-optimistische Annahme.
Die Fehler, die den USA im Umgang mit al-Sadr unterliefen, sind die Folge einer grundsätzlichen Unterschätzung des Potenzials für einen schiitischen Widerstand. Mit gleich drei pro-amerikanischen Schiiten hofften die USA, die Iraker ausreichend ködern und für sich gewinnen zu können; eine ausgefeiltere Strategie, die rund 60 Prozent der Bevölkerung ausmachenden Schiiten für sich einzunehmen, gab es nicht.
Doch Ahmad Tschalabi, schiitisches Mitglied des Regierungsrates, gilt den meisten Schiiten als korrupt und wenig gläubig. Der Prediger Al-Chui ist tot. Und der von den USA aus dem Exil eingeflogene Kleriker al-Hakim wurde ebenfalls ermordet - viele vermuten, ebenfalls von al-Sadrs Leuten.
Nur zwei maßgebliche Schiitenführer gibt es nun noch: den Ajatollah Ali al-Sistani, gemäßigt und wegen seiner theologischen Autorität weithin akzeptiert; und eben den theologisch kaum geschulten, dafür umso entschlosseneren Muktada al-Sadr, der all jene anzieht, denen al-Sistani zu ausgeglichen und kompromissbereit ist - und denen es missfällt, dass al-Sistani iranischer Abstammung ist. Al-Sadr dagegen ist ein lupenreiner Iraker und Nachfahre einer schiitischen Gelehrtenfamilie, von deren Mitgliedern viele den Märtyrertod im Widerstand fanden.
Noch ist kaum abzusehen, wie lange al-Sadrs Atem wirklich reicht. Sicher aber ist zumindest eines: Er ist überzeugt, dass jetzt für ihn der Zeitpunkt gekommen ist, in die Fußstapfen seiner Vorfahren zu treten.





Lunedì, 26 aprile 2004