Le radici del delirio antisemita

di Pietro Citati (“la Repubblica”, 9 aprile 2003)

Da duemilacinquecento anni ad oggi, l’antisemitismo vive e si moltiplica lungo le rive del Mediterraneo e in Europa. Vorrei ricordarne le tappe più recenti, senza risalire alle origini precristiane. Quando gli abitanti di Alessandria, di Roma o, più tardi, di Bagdad e di Cordoba conoscevano gli Ebrei, si accorgevano che nessuno come loro, forse, amava le cose di questa terra: i commerci, i viaggi, i cibi, i libri, i lavori artigiani, le gemme, i tessuti, le tinte dei tessuti, l’esistenza nei loro quartieri, così amati, «sotto il fico e la vigna». Sebbene vivessero sovente rinchiusi e segregati, quali occhi chiari e avidi spalancarono sul mondo. Mai negarono, come i monaci cristiani, i colori dell’esistenza. Ma non c’era istante in cui Dio venisse dimenticato: attraverso le forme del reale, la mente era sempre concentrata su quel punto luminoso-oscuro, che si rivelò durante l’Esodo, tra le colonne di nube e di fuoco del cielo. Lo interrogavano, lo pregavano, si affidavano a lui, non comprendevano o discutevano la sua giustizia. Spesso si sentivano abbandonati: non capivano la creazione; anche se, quasi sempre, pensavano che anche l’abbandono fosse un segno di Dio. Alla fine dei tempi, li attendeva il Messia e il Regno. Mai un popolo portò ad un punto così alto e profondo la passione religiosa: furibonda, ardente, meticolosa, capace di sottigliezze intellettuali meravigliosamente acute, interrogando e interpretando un testo sacro o un rito o una legge. II rapporto con Dio come oggi lo conoscono cristiani e musulmani, è di origine quasi esclusivamente ebraica. Tutti siamo passati attraverso la Bibbia, il volto molteplice di Jahve, i Salmi, Giobbe, la lettura scrupolosa dei testi sacri, il sogno del Messia, l’attesa della fine dei tempi. Per questo, in primo luogo, Cristiani e musulmani odiarono gli Ebrei. Si odiano soltanto i propri padri e i propri simili. Gli Ebrei insegnarono ai cristiani e ai musulmani un’idea pericolosa: che la città di Dio debba essere attuata qui ed ora, su questa terra, con un assoluto rigore, nella purezza delle leggi e dei riti. Nessuna idea è più tragica: nessuna ha portato maggiori disastri nella storia universale. «Cosa significa la città di Dio?» diceva Goethe. «Dio non ha una città, ma un impero, non un impero ma un mondo, non un mondo ma dei mondi». Tutti i movimenti messianici e apocalittici della storia ebraica, cristiana ed islamica, e in parte la Rivoluzione francese e la Rivoluzione russa, rivelano nello sfondo la «fiamma di fuoco» che apparve a Mosé dal folto del roveto, e la fiamma divoratrice, nascosta da una nuvola densa ed oscura, con cui Jahvé discese sulla vetta del Sinai. Quei momenti di contatto o di vicinanza tra il sacro e l’umano non vennero mai dimenticati. Sia la Chiesa Cattolica sia, nella sua maggioranza, l’Islam ebbero terrore di questo contatto: si opposero quasi sempre all’incarnazione della città di Dio sulla terra. Come i rabbini di Israele, sapevano che solo la cautela e la discrezione e un infinito amore che accetta l’infinita distanza, anche nell’estasi mistica, possono permettere che Dio e gli uomini entrino in rapporto. Se la fiamma divoratrice di Dio è troppo vicina, gli uomini si infiammano, si scatenano, uccidono i propri fratelli, come accadde quando gli Zeloti difesero il Tempio di Gerusalemme contro i Romani; o abbattono le bellissime colonne doriche e corinzie dei templi greci, come fece l’imperatore cristiano Teodosio. Nel primo secolo dopo Cristo, dall’ebraismo si distaccò, come un gracilissimo albero presto destinato a diventare una foresta rigogliosa, il Cristianesimo, questa eresia giudaica. Quasi tutto il Nuovo Testamento può essere commentato, come circa ottant’anni or sono hanno fatto due studiosi tedeschi, L. Strack e P.Billerbeck, con frasi che appartengono alla tradizione ebraica. Certo, queste frasi non contengono mai l’affermazione che Gesù è il figlio di Dio incarnato (perché per gli Ebrei e l’Islam è scandaloso che Dio assuma un corpo umano); né che è morto e risorto (affermazione ancora più scandalosa). Queste furono le fondamenta della nostra fede. Per gli Ebrei, Gesù era soltanto un falso Messia: un Messia eretico; qualcuno di loro lo trovava «un uomo saggio»; qualche altro (non Pilato) lo fece uccidere. Una generazione più tardi, il sommo sacerdote sadduceo, Anano, ordinò di lapidare Giacomo, fratello di Gesù, capo della comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme. Molti Farisei, ancora vicini ai giudeo-cristiani, non approvarono questa uccisione. Dopo la metà del secondo secolo dopo Cristo, Israele rinunciò (sebbene non completamente) a realizzare il regno ebreo, talvolta magari solo di Dio. Quando il Tempio di Gerusalemme venne arso, gli Ebrei sciamarono verso ogni angolo del mondo, dall’India alla Persia alla Russia alla Francia all’Italia alla Spagna, per ché erano destinati a diventare il sale della terra. Non c’era città o paese, dove un viaggiatore non incontrasse qualche ebreo, talvolta solo uno, che faceva il tintore. Israele accettò di porre il collo "sotto il giogo del potere straniero", come aveva detto Geremia. Visse in segreto, viaggiando, commerciando, pregando, leggendo la Bibbia, scrivendo il Talmud e lo Zohar, interpretando i testi sacri secondo la lettera, i simboli e le speculazioni numeriche, leggendo libri arabi, cristiani e greci, subendo l’influenza della mistica islamica e cristiana (e, a sua volta, influenzandole), creando miti cosmogonici e teologici, come nel sedicesimo secolo la Cabbala di Izchak Luria. Il mondo era una grande tessitura religiosa dai fili inestricabili. In quei secoli, il cuore della esistenza ebraica erano i paesi del Medio Oriente e la Spagna, dominati dall’Islam. Vi furono manifestazioni di feroce fanatismo antiebraico, specie, sotto gli Almoravidi e Almohadi. Ma Israele visse relativamente bene sotto il dominio dei califfi e dei signori islamici, immerso nel profumo dell’Islam, come ha raccontato stupendamente Abraham B. Yehoshua in Viaggio alla fine del Millennio. Nei paesi cristiani, era accaduto il più sinistro paradosso della storia: segno che la storia è dominata dal caso, che si fa beffe di noi. I sacerdoti ebrei avevano fatto uccidere Gesù Cristo, credendo che fosse uno dei molti Messia che apparivano e sparivano in Palestina, suscitando improvvise fiammate di entusiasmo e furore. Ma Gesù non era soltanto un Messia ebraico: era anche il dio incarnato della nuova religione, sorta dal giudaismo. Da questo piccolissimo errore di giudizio storico, uno delle migliaia che i potenti commettono ogni minuto, sorse la tremenda catastrofe di Israele. Gli Ebrei vennero perseguitati per il deicidio che avevano commesso (e che avevano effettivamente commesso, senza saperlo): sfruttati, derubati, uccisi con la spada, sgozzati, bruciati, stuprati, costretti con la forza alla conversione. La causa principale di questo massacro sono i Vangeli, le Lettere di san Paolo, gli Atti degli Apostoli, e soprattutto l’Apocalisse tutti fatalmente antisemiti, perché la nuova religione si liberava con violenza dall’antica Madre. L’effetto si prolungò nei venti secoli. Ancora settant’anni fa, durante le loro incursioni nelle università tedesche, i giovani nazisti gridavano un versetto dell’Apocalisse contro i professori e gli studenti ebrei. Un tempo, i cristiani ricordavano: la letteratura era un solo ricordo, le parole della Bibbia, dei Vangeli e dei Padri rinascevano nei nuovi libri, la stessa immagine veniva ripetuta, arricchita e moltiplicata, commenti commentavano i testi, nuovi commenti commentavano i primi commenti, lo stile si imbeveva del profumo di Giovanni e di Agostino. Ora, i cristiani non ricordano più, e non sanno più scrivere. Le parole dei teologi hanno perso ogni eco biblica: nei seminari non si studiano i Padri della Chiesa, che hanno esplorato i misteri di Dio, né i mistici e le mistiche cristiane, che hanno condotto all’estremo la tensione della mente umana. La tradizione religiosa è affidata a qualche monaco, a qualche editore e soprattutto a molti lettori, che talvolta non credono in Dio e amano Agostino e Hildegarde von Bingen, come fossero testi moderni. I cristiani hanno anche dimenticato quali siano stati gli episodi della persecuzione antisemita, che infuriò in Europa sino a ieri. Ne ricordo solo pochi momenti, perché oggi qualcuno sostiene che l’antisemitismo moderno non ha origini cristiane. Sopravvissuti alle persecuzioni romane, gli Ebrei vennero perseguitati dagli imperatori bizantini e dai re visigoti: massacrati in Francia e in Germania nell’undecimo e dodicesimo secolo: massacrati a Gerusalemme nel 1099, all’arrivo dei crociati: nel 1215 discriminati dal quarto concilio Lateranense, che stabilì gli abiti che dovevano indossare: espulsi dall’Inghilterra nel 1290, dalla Francia nel 1306 e nel 1394: accusati di profanare ostie e di commettere omicidi rituali, come si diceva già nel primo secolo: accusati di cospirare con i lebbrosi, avvelenare i pozzi e spargere la peste nera: il 4 giugno 1391, massacrati a Siviglia: cacciati dalla Spagna il 31 luglio 1492, dopo tre mesi di preavviso: poi dal Portogallo: inquisiti e condotti al rogo, se avevano finto di convertirsi nel 1615 espulsi dalla Francia e poi dalle isole francesi d’America: nel 1648-49 massacrati nella cattolicissima Polonia e, senza fine, ancora in Polonia, nella ortodossissima Russia e nella cattolicissima Lituania... Si dice che gli Ebrei abbiano il culto della memoria. Ma sono molto più dominati dalla dimenticanza, se sopportano di vedere un cristiano e di parlare con un cristiano. Intorno al 1454, prima dellacacciata dalla Spagna, un rabbino di origine francese, Isaak Zarfati, scriveva una lettera ai suoi correligionari: lettera che diventò famosa. «Conosco le terribili sventure, più amare della morte, che schiacciano i nostri fratelli tedeschi - i decreti tirannici, i battesimi imposti e gli ordini di esilio che sono la loro sorte quotidiana. Quando fuggono da un luogo, mi dicono che una sorte ancora più tragica li aspetta altrove... In ogni parte, non sono che angosce dell’anima e tormenti del corpo: esazioni commesse da oppressori senza pietà. Il clero e i monaci, questi falsi sacerdoti, si volgono contro l’infelice popolo di Dio... Hanno stabilito una legge secondo la quale ogni ebreo scoperto a bordo di una nave cristiana che faccia vela verso Oriente sarà gettato in mare. Ahimè, come i Figli di Israele sono maltrattati in Germania: le forze li hanno abbandonati! Sono sballottati di qua e di là, e perseguitati perfino nella morte... Fratelli e maestri, amici e conoscenti! Io, Isaak Zarfati, ... ve lo dico, la Turchia è un paese d’abbondanza dove, se volete, troverete riposo. Di qui, la strada vi è aperta verso la Terra Santa. Non è meglio vivere sotto il dominio dei musulmani, piuttosto che sotto quello dei cristiani? Qui, ogni uomo può vivere un’esistenza pacifica all’ombra della sua vigna e del suo fico. Qui, nessuno vi impedirà di portare gli ornamenti più belli, mentre, nei paesi cristiani, non osate vestire i vostri bambini in rosso o in blu, colori che noi amiamo, per paura di esporli ai colpi e agli insulti, e siete obbligati ad andare e venire miserabilmente vestiti di colori cupi... O Israele! Perché dormi? Alzati e lascia per sempre questo paese maledetto!». Più di cinque secoli sono passati. Il grande Impero ottomano è crollato. Gli Ebrei di Salonicco, che formavano la maggioranza della popolazione cittadina, sono stati deportati nei campi tedeschi. Non è giunto il tempo di vivere all’ombra della vigna e del fico: né di indossare i brillanti colori blu e rosso che la immaginazione ebraica amava. Sono ancora i tempi dei colori cupi. Due secoli or sono, i ghetti si aprirono. Gli Ebrei vennero alla luce, ebbero un cognome, entrarono all’Università, scrissero, composero musica, studiarono la scienza e il diritto, insegnarono, diressero Banche, industrie, giornali, e case editrici. Obbedendo alle loro tradizioni, formarono l’elemento sovranazionale dell’Europa; e il legame tra i diversi gruppi di ogni società. Assunsero tutti i ruoli: vicini alle corti, alle aristocrazie, alla grande burocrazia, sindacalisti, socialisti, rivoluzionari. Fu i’espiosione più grandiosa della storia europea: una immensa vitalità e intelligenza percorsero all’improvviso le nostre vene. Questa esplosione ha una sola analogia: quella dell’Islam, nel settimo, ottavo e nono secolo, quando gli Arabi conquistarono paesi, appresero il greco, studiarono le scienze, fabbricarono automi, costruirono moschee imitando le basiliche cristiane, assorbirono la eredità della religione zoroastriana, raccontarono al mondo le Mille e una notte. Quale forza trassero gli Ebrei da una vita vissuta, per diciotto secoli, sotto il segno dell’immaginazione religiosa e della intelligenza talmudica. La letteratura, la scienza e la psicologia del diciannovesimo e specialmente del ventesimo secolo sono, per metà, dovute ad Ebrei, o a mezzi Ebrei, nei quali la goccia del sangue giudeo dava nuovo vigore a quello cristiano. Venuti dalla Russia, dalla Spagna, dalla Polonia, dal Medio Oriente, gli Ebrei diventarono Francesi, Tedeschi, Italiani, Inglesi meglio dei Francesi, dei Tedeschi, degli Italiani e degli Inglesi. Con la loro straordinaria qualità di metamorfosi, diventarono come noi. Le sofferenze e i massacri erano dimenticati: non c’era più né Bibbia, né Shechinah vagabonda, né le scintille delle Sefirot, né il suono delle trombe d’argento davanti al Tempio, né il nome segreto di Dio. In Francia, forse, l’assimilazione fu quasi completa. Nella famiglia Proust e in quella Weil, c’era lo squisito profumo della Francia borghese - con in più qualcosa di eccentrico, una tenerezza, uno scrupolo e una malinconia, che ricordavano secoli di esclusione. In Germania, gli ebrei cercarono di diventare tedeschi con uno slancio d’amore, e talvolta un’«ebbrezza senza limiti»: volevano essere assorbiti, parlare tedesco, scrivere tedesco, indossare uniformi militari tedesche. Secondo Scholem, «quando credevano di parlare ai tede parlavano a se stessi... La fusione dell’essenza germanica e dell’essenza giudaica fu soltanto un coro di voci ebraiche». In questa entusiastica aderenza alla civiltà occidentale, gli Ebrei guadagnarono e persero molto. Qualcuno di loro, come Simone Weil, odiò (senza conoscerla) la propria eredità biblica. Qualcuno la ignorò completamente. Avevo un amico carissimo, Giorgio Bassani, che era vissuto a Ferrara, borghese ebreo tra borghesi cattolici, con appena un lieve ricordo di cucina giudaica e di candelabro dalle sette braccia. Molti anni fa, gli feci leggere un mio saggio su Nachman di Breslav, un narratore chassidico del diciottesimo secolo. Mi guardò coi suoi dolcissimi e durissimi occhi azzurri e mi disse: «Pietro, che cose strane hai raccontato!». Quasi soltanto Kafka comprese che qualsiasi sradicamento dalla tradizione si paga. Con ogni probabilità, anche noi, cristiani, lo pagheremo. Ma gli Ebrei lo pagarono troppo. Tra le scoperte degli Ebrei, oltre alla Recherche, Il Castello, la psicanalisi e la Teoria della relatività generale, ci fu anche, in buona parte, la Rivoluzione russa. Fu una scoperta meno felice. Come scrisse Soma Morgenstern, molti giovani ebrei portavano in sé, senza saperlo, «un forte anelito alla liberazione»: erano posseduti da idee messianiche laicizzate; avevano il desiderio di realizzare con la forza il regno di Dio in terra, come diciannove secoli prima i Giudei Zeloti. Era il vecchio sogno: il vecchio peccato. Stalin li espulse, li esiliò, li massacrò, li accusò di congiure immaginarie. Anche in Russia, paese dell’impossibile, gli Ebrei restarono separati, diversi, stranieri: anche là erano altrove, non appartenevano alla terra, della quale non hanno mai veramente fatto parte. Questa è la benedizione, che ancora oggi versano sul nostro capo. Non ho mai voluto conoscere l’immensa letteratura antisemita del diciannovesimo e del ventesimo secolo. Mi vergognavo per i loro autori e per me stesso. Ho fatto male: bisogna conoscere sino infondo l’idiozia e il delitto. Soltanto ora ne ho letto una piccola parte, e credo che molti dovrebbero imitarmi. Sullo sfondo di questa letteratura stava sempre il vecchio antisemitismo cristiano: perfino l’accusa di commettere omicidi rituali e di profanare ostie. Ma al vecchio antisemitismo si mescolò un antisemitismo nuovo, che avvelenò l’Europa. Gli Ebrei venivano odiati perché erano conservatori, legati ai vecchi imperi, austroungarico e ottomano: odiati perché borghesi, liberali, e qualche volta rivoluzionari: odiati dai banchieri, dai medici, dagli ingegneri, da gli scrittori, dagli avvocati, dai giornalisti, dagli scienziati cattolici e protestanti, perché più intelligenti e fantasiosi di loro: odiati dagli aristocratici, dagli operai e dalla populace, dalla destra e dalla sinistra: odiati perché diversi; accusati di non essere creativi, accusati di avere un eccesso di potere sessuale, naturalmente sottratto ai cristiani, accusati di formare una potentissima società segreta, diffusa in tutto il mondo, come una volta i Gesuiti. In Francia, qualcuno propose di scorticare gli ebrei come Marsia nel mito greco, o di cuocerli vivi nell’olio o di ucciderli a colpi d’ago o di circonciderli fino al collo o di provare su di loro un modernissimo tipo di cannone. Il culmine dell’orrore intellettuale venne raggiunto in Europa negli anni dal 1920 al 1940, quando gli intellettuali erano in buona parte comunisti o fascisti, e su ogni cosa gravava un’aria da ultimo giudizio che nasceva, disse Hannah Arendt, «da qualche irrimediabile e stupida fatalità». Mentre leggiamo faticosamente e penosamente questi libri e articoli, non osiamo credere ai nostri occhi. Coloro che li scrissero, non erano soltanto sciocchi o nazisti, ma giornalisti e scrittori di un certo decoro e persino di un certo talento e di una certa grazia: persone, come si usava dire, per bene. La buona educazione venne dimenticata. All’improvviso si risvegliarono tutta l’idiozia, l’abiezione, la turpitudine, la volgarità, la bassezza, la viltà, la ferocia, il terrore, che abitavano le viscere del ventesimo secolo. Queste energie risvegliate avevano un solo obiettivo: gli ebrei. Sopra gli Ebrei i cristiani rovesciarono i sogni, le immaginazioni, i deliri che li possedevano. Per quanto si cerchi, non è possibile affacciare nessuna spiegazione storica di questo delirio. C’è soltanto una spiegazione metafisica. Per qualche anno, il Male si incarnò sulla terra, scegliendo Israele come capro sacrificale. Una parte di Israele fu immolata nei lager. Il Male sembrò soddisfatto. Ma da qualche tempo si è risvegliato: il vecchio antisemitismo cristiano, quello della sinistra e della destra sono rinati, sebbene non vogliano riconoscere il proprio nome.



Mercoledì, 23 aprile 2003