Traffici coloniali
Chi ha pianificato il saccheggio dei musei nazionali iracheni?

R. N. per il Réseau Voltaire, 17 avril 2003
www.reseauvoltaire.net


(traduzione dal francese di José F. Padova)

In una settimana i sette più grandi musei nazionali iracheni sono stati messi a sacco e la Biblioteca nazionale è stata incendiata. Il più antico Stato del mondo è stato spossessato dell’essenza dei suoi tesori archeologici e artistici sotto lo sguardo impassibile delle Forze della Coalizione. Tuttavia, quando questi avvenimenti sono stati presentati dalle agenzie di stampa statunitensi come una conseguenza del del caso nel quale il Paese è piombato, personalità internazionali non hanno tardato a denunciare una vasta operazione di spoliazione organizzata da un gruppo di mercanti d’arte occidentali. L’UNESCO ha richiamato il divieto di commercializzare le opere rubate. Il presidente Chirac ha definito queste ruberie «crimini contro l’umanità», facendo capire che avrebbero potuto essere organizzati da un governo. Per evitare che lo scandalo si ripercuota sulla Casa Bianca il Consigliere agli Affari culturali del presidente Bush ha presentato le sue dimissioni.
I saccheggi hanno avuto luogo nelle città «liberate» dalla Coalizione. Asif Mohammed, conservatore del museo di Mossul, che fa parte delle istituzioni culturali messe a sacco, ha confermato ai nostri colleghi del Guardian la presenza in città delle truppe statunitensi quando il saccheggio ha avuto luogo.
Ciononostante nessun provvedimento è stato preso per proteggere il museo. Stessa scena durante la depredazione del Museo Nazionale di Bagdad, dove l’80% dei circa 150.000 pezzi sono stati rubati, secondo Moayyed Saïd al-Damergi, consigliere dell’ex ministro della Cultura. «I carri armati americani erano stazionati davanti all’entrata principale del Museo quando i predatori l’hanno svaligiato sotto il naso dei soldati
», afferma il signor Damergi, professore di Archeologia all’Università di Bagdad, riferisce un dispaccio dell’AFP, «abbiamo chiesto aiuto ai soldati per fermare i saccheggiatori, ma ci hanno risposto che non avevano istruzioni di intervenire».
I più eminenti archeologi avevano avvertito la Coalizione dei rischi di ruberie dalle disastrose conseguenze. Specialisti statunitensi si erano fatti ricevere al Pentagono molto prima dell’inizio dei combattimenti con lo scopo di rendere attenti i militari sulla «probabilità di saccheggi dei siti storici», e avevano consegnato elenchi dei siti da proteggere: «Erano stati informati. Tutto ciò si sarebbe potuto evitare», denuncia Jeremy Black, specialista di Iraq antico all’Università di Oxford. Ma paradossalmente, malgrado la messa in guardia da parte degli esperti internazionali, nulla è stato fatto per impedire l’ hold-up dei musei.
La Coalizione in un primo tempo ha argomentato affermando che questa missione non era di sua competenza, ma poi, di fronte all’emozione internazionale, pone ora sé stessa come prode difensore del patrimonio culturale iracheno. Il Segretario di Stato USA, Colin Powell, ha dichiarato a Washington il 14 aprile che «gli Stati Uniti chiedono alla popolazione di restituire ogni oggetto rubato e danno le istruzioni relative a come fare. L’Ufficio della ricostruzione e degli Affari umanitari aiuterà gli Iracheni e gli esperti internazionali per la restituzione degli oggetti e per la ricostituzione dei cataloghi danneggiati dai saccheggiatori». Sciaguratamente troppo tardi. Non si può che deplorare come l’esercito statunitense non abbia avuto il medesimo zelo nel proteggere i musei che ha invece applicato a salvaguardare i pozzi di petrolio.
A Bagdad il solo edificio ufficiale protetto dalle forze coalizzate durante i saccheggi era il ministero del Petrolio. È ordinariamente ammesso che il petrolio iracheno è appetito dagli statunitensi. Ma altri fatti fanno pensare che le loro brame non si fermino lì.
La professionalità dei saccheggi prova che non possono essere opera della sola popolazione irachena. Se normali cittadini vi hanno senza dubbio preso parte, tutto sembra indicare che vi abbiano ugualmente partecipato dei professionisti del mercato d’arte antica. Donny George, direttore delle ricerche e degli studi del Museo Nazionale Iracheno di Bagdad è convinto che i ladri erano professionisti. In una dichiarazione all’AFP afferma «che [i predatori] non hanno toccato le copie, hanno rubato gli originali. Si tratta di un’operazione di furto organizzato». Il direttore del Museo medesimo parla di complicità interne, perché i ladri hanno messo le mani sulle opere più preziose quando queste erano state messe in cassaforte all’inizio dei bombardamenti. Secondo The Independent i computer del Museo Nazionale di Bagdad, che contenevano l’inventario delle collezioni, sono stati vandalizzati al punto che si ignora tutt’ora se le informazioni registrate sui dischi fissi si possono ricuperare o no. La sparizione di questi cataloghi intralcerebbe in particolare le disposizioni rivolte ad impedire la rivendita delle opere sul mercato internazionale. In altre parole, i professionisti non avrebbero potuto fare meglio.
In una lettera indirizzata agli Stati membri della Coalizione, pubblicata sul Guardian, nove eminenti archeologi invocano la protezione delle istituzioni culturali e la vigilanza internazionale per impedire la vendiat di oggetti d’arte iracheni rubati. Questi esperti denunciano ugualmente con indignazione un gruppo creato nel 1994,
l’American Council for Cultural Policy (ACCP), che secondo il New York Times ha negoziato con il Dipartimento di Stato e con il Dipartimento della Difesa degli USA, prima dello scoppio del conflitto, perché fosse ammorbidita la legislazione che protegge l’Iraq dalla spoliazione del suo patrimonio storico. Lo scopo sarebbe quello di poter esportare dall’Iraq le antichità, commercio vietato, dalla fine del mandato britannico nel 1924 in poi, da una legge resa più severa nel 1975. Questi archeologi temono che gli Stati Uniti approfittino del governo di amministrazione fiduciaria che installano ora in Iraq per modificare e rendere più blanda la legislazione locale sulle esportazione delle opere d’arte e delle antichità e acconsentire così alle richieste dell’ACCP.
L’eredità culturale irachena è minacciata? La Coalizione ostenta ufficialmente una certa preoccupazione di risparmiare i siti storici dai bombardamenti. Non manca anche di far sapere di aver messo in piedi una sezione incaricata «della protezione del patrimonio iracheno», diretta da un ufficiale della riserva, antropologo nella vita civile, e fa sfoggio di grandi cure per non provocare catastrofi archeologiche. Ma le trattative della Coalizione con l’ACCP e il non intervento dei soldati accrediatno la tesi di un sacheggio organizzato nella più pura tradizione coloniale.
Lo scopo principale riconosciuto dal presidente dell’ ACCP,
Ashton Hawkins, avvocato specializzato nel commercio d’arte, è quello di unire i suoi membri influenti come contrappeso alle legislazioni «intralcianti» dei Paesi ricchi di patrimoni archeologici. L’ ACCP auspica ugualmente la revisione del Cultural Property Implementation Act (Convenzione statunitense del 1983 destinata a frenare il saccheggio culturale e storico), per ridurre a zero gli sforzi fatti dalle nazioni straniere per bloccare l’importazione negli Stati Uniti delle loro antichità. La terza battaglia ufficiale dell’ ACCP è rivolta a scoraggiare il ricorso alla giurisprudenza acquisita, conosciuta sotto il nome di1977 US v McClain, che si appoggia sul National Stolen Property Act (legge USA che punisce tanto il ladro quanto il ricettatore. Nel febbraio 2002 ha permesso la condanna di Frederick Schultz, grande commerciante americano di antichità, già presidente della National Association of Dealers in Ancient, Oriental and Primitive Art, per aver ricevuto consapevolmente da un negoziante inglese alcune antichità egiziane rubate).
Convinto sostenitore della dottrina liberale dell’amministrazione Bush,
Ashton Hawkins ci tiene a precisare che, per l’ ACCP, «la dispersione del materiale culturale attraverso il mercato è uno dei mezzi migliori per proteggerlo».Da quando l’ambiente archeologico denuncia sulla stampa i suoi maneggi, l’ ACCP smentisce ogni accusa di voler fare modificare la legislazione irachena sulle antichità e al contrario avanza l’offerta che avrebbe fatto al Pentagono di portare un aiuto finanziario e materiale per la conservazione delle opere e per la ricostruzione degli istituti culturali iracheni. Nondimeno le trattative indirizzate alla liberalizzazione del mercato dell’arte antica, avviate con il governo degli Stati Uniti, erano state giudicate «incoraggianti» prima dell’inizio delle razzie.
Su istruzioni del segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, il direttore generale dell’UNESCO,
Koïchiro Matsuura, ha moltiplicato le iniziative. Con l’aiuto del British Museum ha inviato sul posto una missione per valutare l’ampiezza dei furti. Questa mattina, 17 aprile, ha organizzato a Parigi un consulto di esperti per definire una strategia adeguata. All’uscita da questa riunione uno dei partecipanti, McGuire Gibson, professore all’Università di Chcago, ci ha dichiarato : «I saccheggi sono stati pianificati dall’esterno dell’Iraq». Koïchiro Matsuura ha annunciato la creazione di un fondo speciale per il patrimonio culturale iracheno e poi ha lanciato un appello per statuire un embargo internazionale sugli oggetti d’arte iracheni. Soprattutto ha reclamato l’adozione di una risoluzione ad hoc da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, facendo così sapere che la responsabilità dei saccheggi ricade su degli Stati. Senza atendere oltre Martin Sullivan, presidente del Comitato consultivo degli Affari culturali USA, ha presentato al presidente Bush le sue dimissioni affinché lo scandalo non ricada sulla Casa Bianca.



Mercoledì, 23 aprile 2003