Die Zeit, Hamburg - Settimana 41/2002
Il doppio di Giovanni XXIII

di Emanuel Eckardt, giornalista in Amburgo (traduzione dal tedesco di José F. Padova)

L’uno era il più importante papa del 20° secolo – 40 anni fa avviava il Concilio Vaticano II. L’altro: un avventuriero, che più tardi scomparve dalle cronache della Chiesa. Una storia cattolica.


Venne un uomo, mandato da Dio, e il suo nome era Giovanni. Per Gesù il più grande in questo mondo fu Giovanni, il Battista. E Giovanni si chiamò anche il giovinetto, a lui il più caro fra i suoi Apostoli, in seguito l’Evangelista con l’aquila. Così accadde che per i 305 papi e antipapi nessun nome fosse scelto più frequentemente. Il primo Giovanni, papa dal 523 al 526, fu fatto santo. Al settimo seguì un Giovanni che non era un papa legittimo. Anch’egli è poco considerato come Giovanna, la papessa, che rimanendo in sella ad un cavallo partorì un bambino e per punizione fu lapidata. La leggenda medievale tramanda numerose versioni di questa storia. Nessuna di esse deve essere fondata e nessuna si adatta all’immagine del Santo Padre. Perché in futuro non si ripetesse nulla di simile dal 13° secolo ogni nuovo Papa dovette sottoporsi al controllo del proprio sesso. Da tempo immemorabile la dignità papale è legata ad un alto rischio professionale. L’ottavo Giovanni fu probabilmente avvelenato da parenti e finito a martellate, perché il veleno non agiva abbastanza in fretta. Il nono attrasse poco l’attenzione, il decimo divenne papa soltanto perché era l’amante della moglie di un influente senatore. Anch’egli fu probabilmente assassinato. L’undecimo era appena ventenne e cocco di mamma, il dodicesimo, di appena 18 anni, trasformò il palazzo del Laterano in un harem. Mentre giaceva nel letto con una donna maritata gli prese un colpo. Probabilmente il colpo del marito. Giovanni il tredicesimo morì probabilmente di morte naturale, il quattordicesimo fu incarcerato in Castel Sant’Angelo, dove morì di fame o fu avvelenato. Con la sua rapacità il quindicesimo Giovanni sollevò contro sé stesso la popolazione di Roma, il sedicesimo, antipapa dal 997 al 998, durante la fuga dall’esercito di Ottone III cadde prigioniero. Gli furono tagliati naso, lingua e orecchi e gli strapparono gli occhi dalle orbite. Dovette poi andare in giro per Roma, su un asino, cavalcando all’indietro. La sua vita ebbe termine in un convento. Il diciassettesimo morì dopo sei mesi, il diciottesimo si fece monaco. Il conteggio poi procedette in modo bizzarro. Al diciannovesimo fece seguito il ventunesimo, il ventesimo fu semplicemente dimenticato. Per questo l’universalmente beneamato Giovanni XXIII, che fu eletto papa nel 1958, aveva un doppio. Angelo Giuseppe Roncalli, che diventa papa all’età di 77 anni, è un buon Papa, il più importante del 20° secolo. Durante la Seconda guerra mondiale, nella sua qualità di Nunzio apostolico a Istanbul, salva dalla morte per fame centinaia di migliaia di Greci, rendendo possibile le forniture di grano dagli USA nel territorio occupato dalle truppe tedesche e italiane. Salva molte migliaia di Ebrei rilasciando loro dei certificati di battesimo con i quali possono fuggire attraverso l’Ungheria. E quando la crisi di Cuba nell’ottobre del 1962 porta il mondo sul baratro di una guerra atomica egli svolge il ruolo di mediatore fra il presidente americano John F. Kennedy e il signore dell’Unione Sovietica Nikita Krusciov.

”Questo Papa è un santo”, giunge ad affermare perfino Krusciov.
Giovanni XXIII cancella il vocabolo “perfidi” riferito agli Ebrei (pro perfidis judaeis) dalla preghiera del giorno di Pasqua e insuffla vento fresco nelle impolverate strutture della Chiesa cattolica. Con la convocazione del Concilio Vaticano II – che è aperto l’11 ottobre precisamente di 40 anni fa – egli mette in scena il più grande evento nella storia della cristianità e per la prima volta invita in Vaticano rappresentanti di 18 chiese non cattoliche. La sua Enciclica Pacem in terris è il primo messaggio ufficiale di un Papa che si rivolge non soltanto ai cristiani, ma a “tutti gli uomini di buona volontà”. Quando egli muore il 3 giugno 1963, centinaia di migliaia di persone piangono sulla piazza di S. Pietro a Roma. Con lui ha fine il Medioevo nella Chiesa, riassunse il teologo di Tubinga Hans Küng. “Questo Papa è un santo”, trovava Krusciov, e la scrittrice Marie Louise Kaschnitz scrisse che egli era stato “un uomo vestito da Papa”. Ma questo lo era anche il suo sosia. Infatti il giovanotto, che si diede il nome di Giovanni XXIII molto tempo prima del beneamato Roncalli, non era affatto una vox clamans in deserto, bensì un dissoluto fra gli avidi. Al secolo il suo nome era Baldassarre Cossa. Vede la luce a Napoli nel 1365, discendente da famiglia di piccola nobiltà, che conta fra i suoi antenati questo o quel pirata, a quel tempo del resto un’attività rispettabile. Studia diritto canonico a Bologna, dove per la sua natura si farà presto detestare. È il tempo del grande Scisma occidentale. Dal 1378 due Papi rivendicano il diritto alla Cattedra di Pietro, uno a Roma, l’altro ad Avignone. Entrambi sono alleati con mezza Europa. Soltanto il Sacro Romano Impero delle Nazioni germaniche è neutrale. Per comporre finalmente la disputa si riunisce un Concilio a Pisa. Poiché lì nessuno dei due Papi si fa vedere si giunge all’idea originale di eleggerne uno nuovo e deporre gli altri due, Benedetto XIII e Gregorio XII, cosa che costoro d’altronde non accettano. Ci sono quindi ora tre Papi. Quello nuovo si chiama Alessandro V e, secondo una diceria mai smentita, è avvelenato dopo poco tempo dal cattivo Baldassarre, che si fa nominare Papa nella cittadella di Bologna in un Conclave del quale non esistono gli atti. Come Giovanni XXIII entra nella successione di Alessandro e sotto i riflettori della storia della Chiesa. Il popolo lo chiama “Papa Boldrino”, nome di un condottiero e soldato di ventura particolarmente temuto. Questo Giovanni è un Don Giovanni, che intende l’amore per il prossimo in modo del tutto pragmatico. Se ama una donna, ama ben presto la prossima e così via; il papa in corsetto di maglia di ferro [ndt.: contro spade e pugnali] fa fuori un tesoro della Chiesa dopo l’altro. Fonti peraltro serie bisbigliano che se la sarebbe fatta con almeno 200 donne. Fonti meno serie, come l’atto di accusa che più tardi porta alla sua deposizione, ritengono che egli avesse violentato soltanto a Bologna 300 suore, sedotto la moglie di suo fratello, mantenuto come concubina la sorella del cardinale di Napoli, esercitato “sodomia” (perifrasi per omosessualità) in numerosi casi e si fosse reso colpevole anche del “peccato silenzioso”, l’onanismo. Oltre a ciò, come notorio assassino di Papi, egli non avrebbe ucciso soltanto il suo predecessore, ma probabilmente anche il predecessore di questi, Innocenzo VII. Il viveur della Santa sede non dura a lungo a Roma, una città in stato di degrado con circa 20.000 abitanti, grande circa la metà dell’attuale Buxtehude. Nel 1413 egli fugge dall’invasione delle truppe napoletane e sposta la sua sede nella ricca e sontuosa Firenze. Ma anche lì non è tollerato a lungo. E a Bologna i cittadini, che non possono dimenticare il suo regime di terrore come Cardinale legato, lo cacciano dalla città. Adesso tutti i Papi sono in fuga, Gregorio ha trovato asilo a Rimini, Benedetto a Perpignano presso il confine con la Spagna. Nella sua situazione di emergenza Giovanni gioca la carta tedesca e si rivolge per aiuto al re Sigismondo. Questi vede nell’alleanza con un Papa una chance per rafforzare la sua posizione, perché nel Sacro Romano Impero due re, e nell’anno 1410 perfino tre re, sono l’uno contro l’altro armati. Il re Sigismondo è una figura imponente, parla cinque lingue, viaggia spesso e volentieri in missione diplomatica e si trova sempre a corto di denaro. I due si incontrano a Lodi, in Lombardia. Il re convince il Papa a convocare un Concilio sul suolo del Sacro Romano Impero. Cossa può nutrire la speranza di essere confermato come futuro Papa dell’unità, anche e specialmente perché i suoi rivali sono già stati deposti a Pisa. Il Concilio di Costanza dovrebbe diventare il più importante del Medioevo, una specie di parata militare della fede, con la partecipazione dei laici, dei giureconsulti e delle università, l’istanza più alta che lo stesso Papa tenga di riserva nei suoi cassetti. Egli arriva con un grande seguito, con i cardinali da lui nominati, i prelati e un paio di centinaia tra segretari, funzionari di curia e servitori. Ma ha il presentimento di nulla di buono in vista. È superstizioso. Sui monti innevati dell’Arlberg la sua carrozza si rovescia e lo scaraventa a terra, un cattivo presagio.

”Se penso al lago di Costanza, mi fa male il borsellino”
”Deve avere questo aspetto una trappola con la quale si catturano le volpi”, pare abbia detto quando furono in vista le torri di Costanza. Sotto un baldacchino dorato fa il suo ingresso nel duomo e apre il Concilio con le parole del profeta Zaccaria: “Ditevi l’un l’altro la verità e procedete sulla retta via e che la pace sia alle vostre porte”. Il re porta la corona dell’Impero e i paramenti di semplice diacono, nella cui veste egli serve messa al papa. La messa solenne è l’ultima grande comparsa sulla scena del Papa. Il Concilio acquisisce molto rapidamente una propria autonomia. Teologi come l’autorevole Pierre d’Ailly, vescovo di Cambrai (nominato cardinale da Giovanni) e rettore dell’Università di Parigi, come pure il suo allievo e successore Jean de Gerson, danno il tono. Presto Papa e Re si ritrovano in un ruolo insignificante, almeno sotto l’aspetto teologico. Il Concilio doveva durare quasi quattro anni, dal novembre 1414 all’aprile 1418, una adunanza di nazioni, con tornei e banchetti. Lo stato maggiore del Papa risiede nel palazzo del vescovo di Costanza. Impiegati, segretari e scrivani sbrigano la routine burocratica delle prebende e delle promozioni. Mercimonio delle cariche e corruzione funzionano, ben lubrificati. Sono rappresentate 30 grandi banche, per regolare gli affari dei prestiti e dei pagamenti, per rinnovare le ipoteche su città e campagne. Al team del Papa si è aggiunto Cosimo de’ Medici, come rappresentante dell’emergente Casa bancaria fiorentina. La riunione di tanti rappresentanti di disparati interessi della Chiesa e dell’aristocrazia è una fiera della vanagloria. Con eleganti mantelli di zibellino siberiano, segni della loro carica, , gli uomini di chiesa si pavoneggiano in città come cortigiani, membri della Corte papale. Più tardi il termine assunse il significato che ha oggi. C’erano naturalmente anche loro, le “donne pubbliche”, che alloggiavano nei bordelli, il “dolce angolo” di Costanza, e le “donne segrete”, graziosette, che erano a disposizione dei signori. Un cavalleresco cronista riferisce di aver contato circa 700 donne pubbliche e stima suppergiù della medesima grandezza il numero di quelle segrete. Il poeta Oswald von Wolkenstein mette in rima: ”Se penso al lago di Costanza, mi fa male il borsellino”. Eppure il Concilio si era riunito soprattutto per ristabilire nuovamente l’unità della Chiesa e per intervenire contro l’eresia che si espandeva a macchia d’olio per l’Europa, da quando dall’Inghilterra gli insegnamenti di un certo John Wicliff confondevano le anime. Dappertutto nell’Impero circolano scritti oltraggiosi contro i principi della Chiesa. Essi sono diffamati come ipocriti, fratelli di sangue dei sodomiti e ossessi compagnoni di Satana. Predicatori fustigano le follie della moda come il copricapo bicorne delle dame e le calze aderentissime dei signori, le cui parti nobili, le “noci del pudore”, mettevano in maggior risalto piuttosto che nascondere. Essi inveivano contro il commercio delle reliquie, con cui si offrivano ampolle col latte della Madre di Dio come pure, a prezzi vertiginosi, paglia della stalla di Betlemme e gli agognati resti mortali dei santi più recenti, corredati da certificati di autenticità. Gli eretici che si pronunciano contro le Crociate sono particolarmente pericolosi, perché predicano contro un’importante fonte di entrate del Papa. Un uomo di questo genere è il Mastro Jan Hus in Boemia, che con irremovibile caparbietà si scaglia contro l’autorità ecclesiastica e polemizza contro la brama di denaro del clero, contro le tasse per i sacramenti, contro le imposte sulle campane, contro il leasing degli uffici e il mercato delle indulgenze. Non il Papa sarebbe il capo della Chiesa, ma Cristo. Non il Papa, ma soltanto il Padre celeste in cielo potrebbe rimettere i peccati. Poiché questo Hus è un predicatore dotato e un tribuno del popolo, che ottiene sempre maggiore ascolto, l’arcivescovo di Praga invia al papa cavalli di pregio e gioielli perché finalmente pronunci la grande scomunica contro Hus. Molto si può eccepire contro Giovanni, ma non che egli manchi di aumentare le ricchezze della Chiesa, che poi fa correre nelle sue tasche. La scomunica colpisce duramente il Boemo. In tutte le chiese suonano le campane. Si accendono i cosiddetti ceri della messa al bando che poi sono gettati a terra. Contro la casa di Jan Hus volano le pietre. Nessuno può più dargli cibo, fuoco o anche soltanto acqua. Nessuno può aver contatti con lui,nessuno può parlargli. Dovunque egli si fermi, si interrompono i servizi divini. Ma Hus non si lascia intimorire. Poiché il re gli garantisce il salvacondotto per i suoi spostamenti, su un cavallo di nome Grabstyn egli cavalca verso Costanza, per difendersi davanti al Concilio. ”L’oca non è ancora arrostita e neppure teme di diventarlo”, egli scrive a casa. Un gioco di parole sul suo nome: hus, l’oca. Ma la parola del re vale nulla. Hus è gettato in carcere, in un processo-spettacolo è accusato di eresia e alla fine condannato. Poiché si rifiuta di revocare tesi che egli mai ha pronunciato è messo al rogo e bruciato a Costanza. Tuttavia la volpe, che era stata il destino dell’oca, è già ella stessa una prigioniera. All’inizio del Concilio Giovanni XXIII aveva ancora sperato di diventare il papa dell’unità della Chiesa, ma presto avverte che il clima dei Padri conciliari gli si volge contro. I severi signori vedono nella Chiesa un “mostro con tre teste”, che tutte dovrebbero essere tagliate, e aprono il procedimento di insolvenza. Il Papa offre le sue dimissioni e ne legge ad alta voce il testo, con le lacrime agli occhi, nella cattedrale di costanza. Commossi i presenti si mettono in ginocchio. Il re si toglie la corona dal capo e si getta ai piedi del papa. Ma la comparsata diventa presto un dramma quando Giovanni, che crede la sua causa ormai perduta, segretamente se la squaglia. Approfitta del trambusto di un torneo per fuggire a cavallo dalla città, vestito da soldato, con una balestra sulla spalla. Fugge verso Sciaffusa, ma presto è catturato e messo agli arresti in casa. Adesso si trova sotto accusa davanti al Concilio che egli stesso aveva convocato. L’elenco dei suoi misfatti comprende 54 punti; per non trascinare totalmente nel fango la reputazione della Chiesa l’incriminazione ha fatto scivolare qualche altra imputazione sotto il tavolo. Il Papa, ansioso di trovare un accomodamento, propone un risarcimento di 30.000 gulden e così la questione sarebbe risolta. Ma il Concilio non conosce misericordia. Il 29 maggio 1415 i Padri conciliari lo dichiarano spodestato. Non deve bruciare, perché non è sotto giudizio per eresia, ma rimane in detenzione. La sentenza lo dichiara incorreggibile, notorio libertino, sodomita e assassino. Oltre a tutto questo si è arricchito smodatamente vendendo i beni della Chiesa, mediante estorsioni e affari sospetti. Un testimone afferma: “Avrebbe venduto Dio stesso, se ne avesse ricavato un proprio interesse”.

Quattro anni nelle segrete del castello di Heidelberg
Tuttavia vi sono voci che lo difendono, anche se con molti secoli di ritardo. “Difficilmente può essere stato un uomo cattivo”, scrive Richard Friedenthal nella sua biografia di Jan Hus del 1972. Manifestamente il Papa sarebbe stato spudoratamente calunniato per evidenti motivi, gli sarebbero mancate le forze perfino per commettere cattiverie. Baldassarre Cossa trascorre quattro anni prigioniero nel castello di Heidelberg. Eppure la sua banca di fiducia non lo lascia cadere. Il padre di Cosimo, Giovanni di Bicci de Medici, fondatore della banca, ne riscatta la libertà per l’esorbitante, enorme somma di 25.000 gulden. Il peccatore si getta ai piedi di Martino V, il nuovo papa, che in seguito a ciò lo nomina cardinale-vescovo di Tuscolo. Baldassarre Cossa muore nel 1419. E affinché questa sua vita sia ricordata per tutti i tempi, il banchiere Bicci appaga anche l’ultimo desiderio del suo amico. Gli fa erigere dallo scultore Donatello un magnifico monumento funebre nel battistero di Firenze; collabora all’opera il giovane, più tardi non meno famoso artista e architetto Michelozzo. Fino ad oggi la tomba porta l’iscrizione Iohannes quondam papa XXIII, Giovanni XXIII; già Papa. Ma questa è storia dell’arte. Nella storia della Chiesa questo Papa non potrà più esserci. L’autore è giornalista e vive ad Amburgo.



Giovedì, 17 ottobre 2002